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Bishop andò a fermarsi davanti alla scala; mentre spegneva il motore, la porta d’ingresso si aprì. Apparve un uomo piccolo e magro, dal portamento rigido e altezzoso come quello della casa, anche se le dimensioni non erano in proporzione. Le labbra erano strette, il naso arricciato come se sentisse un cattivo odore. L’assistente personale, pensò Bishop, Alex Wellman.

Scese dalla moto, si tolse il casco e lo appese al manubrio. Poi salì le scale andando incontro a Wellman, che introdusse Bishop nella stanza principale della casa. Le numerose porte finestre rendevano l’ambiente molto luminoso. C’erano tappeti in stile spagnolo e pesanti mobili in quercia, piccole statuine in bronzo di cavalli e bisonti sui tavolini e sugli scaffali. Una domestica messicana era indaffarata a pulire l’enorme camino di pietra. I pesanti stivali da motociclista di Bishop pestarono rumorosamente sul pavimento nel passare accanto alla donna.

I due uomini raggiunsero la porta della biblioteca.

«Signor Hirschorn, il signor Kennedy è qui per l’appuntamento», disse Wellman, molto formale.

Hirschorn stava girando intorno alla sua immane scrivania, con la mano protesa e il sorriso sul volto abbronzato. Era in maniche di camicia. Doveva avere circa sessant’anni, ma l’aspetto era quello di un uomo forte e solido.

«Signor Kennedy», disse, stringendo energicamente la mano del pilota. Lo squadrò e annuì, come se trovasse in lui qualcosa che gli piaceva. «Venga, venga, si accomodi.»

Bishop entrò e vide i due gorilla, appoggiati uno accanto all’altro a una parete. Uno era il primate dalla faccia ebete del Clover Leaf; l’altro era un tipo piccolo e vagamente isterico, tutto nervi e occhi.

Hirschorn indicò il più grosso. «Ha già conosciuto il mio autista, il signor Goldmunsen.» Spostò poi il braccio verso il più piccolo, che si sollevava sulle punte incapace di stare fermo, come se dovesse partire a razzo verso il soffitto, e aggiunse: «Questo è il suo collega, il signor Flake».

Wellman, intanto, indietreggiava quasi invisibile, nascosto nell’ombra, lui stesso un’ombra che si dissolse nell’aria accompagnata dal rumore della porta che si chiudeva.

Hirschorn raggiunse il lato della scrivania dove si trovava una poltrona di pelle, e vi si sedette come se fosse il suo trono. Non chiese a Bishop di accomodarsi e il pilota rimase in piedi, nel centro della stanza, osservato dai due gorilla.

«La farò sedere tra poco», disse il vecchio. «Ma prima, il signor Goldmunsen le darà un pugno nello stomaco. Lei probabilmente cadrà piegato dal dolore e resterà senza fiato per qualche minuto.»

Bishop sorrise appena, in modo forzato. Guardò Goldmunsen, poi Hirschorn, e disse, senza scomporsi: «Ne è certo?»

«Oh, sì.» L’uomo dai capelli d’argento emise una breve risata. «Lo sono perché, se non glielo permetterà, chiederò al signor Flake di estrarre la pistola e di spararle nei testicoli. Sono certo che preferisce il pugno.»

Bishop smise di sorridere. Goldmunsen si fece avanti, mentre il pilota scrutava Flake. Non aveva estratto la pistola, ma Bishop credette sulla parola che ne aveva una e che l’avrebbe usata se Hirschorn glielo avesse chiesto. Goldmunsen era davanti a lui, sogghignante.

Bishop dovette fare un grande sforzo per controllarsi e non opporre resistenza. Indurì i muscoli addominali, ma non servì a molto. Il pugno del gorilla si rivelò molto potente e il pilota crollò sul pavimento piegato in due, come Hirschorn aveva predetto.

«Grazie signori, è tutto», disse il boss ai gorilla.

Passò qualche istante e Bishop si rese conto che i due se ne erano andati.

Pochi minuti dopo, Hirschorn disse: «Ora può sedersi, signor Kennedy».

Bishop si trascinò fino al divano e si tirò su. Era di pelle come la poltrona di Hirschorn, ma morbido, e ci si sprofondava dentro. Appoggiato a un bracciolo, le mani strette allo stomaco, dovette allungare il collo per vedere in faccia il vecchio che lo scrutava dal suo trono.

«A proposito di quell’incidente al Clover Leaf, l’altra sera», disse Hirschorn, «lei deve capire che Wannamaker è un mio impiegato e, oltretutto, il figlio di un mio compagno di scuola, che ha lavorato con me finché è morto, l’anno scorso.» Teneva la mano alzata come per prevenire qualsiasi intervento del suo interlocutore. Ma Bishop non era ancora in grado di parlare. «Mi rendo conto che di tanto in tanto insorgano questioni personali e che sia necessario affrontarle. Siamo uomini e conosciamo le regole.» Sorrise e gli occhi azzurri furono attraversati da un lampo. Ma il messaggio non era che la vita è un’allegra cavalcata in cui ci si può prendere delle libertà; il messaggio era che, se lo avesse voluto, quell’uomo poteva far spazzare via Bishop dalla faccia della terra come una macchia di merda dalla biancheria. Per il pilota, ancora senza fiato e privo di forze, quell’occhiata fu come un essere strisciante e appiccicoso che gli fosse salito su per la spina dorsale.

«Comunque», proseguì Hirschorn, «in questa città — la mia città — le cose vengono affrontate in un certo modo… il mio modo. E se lei ha una questione aperta con un mio impiegato, personale o non, deve chiarirla prima con me. Perché, come spero la lezione le abbia insegnato, ci sono cose peggiori di un pugno nello stomaco. E se lei mi disturba, signor Kennedy, quelle cose potrebbero accaderle senza che lei quasi se ne accorga. Ci siamo capiti?»

Bishop si asciugò il sudore dalla fronte con il dorso della mano, riuscì a raddrizzarsi un poco e annuì. «Sì», sussurrò.

«Bene.» Hirschorn si alzò per continuare in un tono più colloquiale. Era passato al lavoro, adesso. «Vediamo ora che cosa possiamo fare uno per l’altro.»

Andò alla finestra dietro la scrivania e si piantò davanti ai vetri, con le gambe leggermente divaricate e le mani dietro la schiena. Osservava le sue montagne, le sue valli, il suo potere. Dava le spalle a Bishop per fargli una volta di più capire il messaggio: il pilota era in suo potere, ma non valeva la pena di avere paura. Bishop tuttavia non aveva bisogno di altre precisazioni; sapeva di non dover temere un pericolo… almeno per il momento. Aspettò appoggiato allo schienale, con gli occhi inespressivi, il fiato ancora corto, lo stomaco dolorante.

Hirschorn infine si girò. L’espressione del volto, in ombra per la forte luce del sole che lo colpiva alle spalle, era indecifrabile. Fu una sagoma circondata da un alone luminoso che disse: «Qualche settimana fa, ho ricevuto un incarico da… un mio socio. Si tratta di un incarico molto importante, così come è molto importante il mio socio; è richiesta la presenza di un pilota esperto».

«Chris», gracchiò Bishop, cercando di scandire ogni lettera con il maggior disgusto possibile.

Hirschorn abbassò il mento, forse per sorridere. «Già, Chris. Il pilota doveva essere lui. Avevo poco tempo e, come ho detto, lui è il figlio di un mio vecchio amico che, per giunta, aveva bisogno di una mano. Perciò l’ho coinvolto.» Compì un gesto di rassegnazione. «Si cerca di essere generosi, di essere leali con gli amici e… non sempre funziona. Come lei ha sicuramente notato, Chris non è molto attento nei suoi rapporti con il prossimo, soprattutto quando è ubriaco. Cosa che, sembra, accada alquanto spesso. Quindi la situazione è questa: ho bisogno di un pilota, adesso.» Avanzò, uscendo dal raggio di luce. Guardò Bishop dall’alto in basso e aggiunse: «Lei diceva di volere un lavoro…»

«Esatto», rispose Bishop, tirando il fiato.

«Molto bene, anche perché il suo curriculum sembra perfetto per l’occasione.» Hirschorn tornò a sedersi alla scrivania e aprì una cartellina appoggiata sul piano. «Frank Kennedy, nato a Santa Maria, California, da Steve e Marcy. Una sorella minore, Susan. Arruolato nell’esercito… molte le assegnazioni… Texas, Louisiana eccetera eccetera… Perfetto, ha volato con la Compagnia Bravo in Medio Oriente ed è anche stato insignito della stella d’argento oltre che della medaglia al valore… Da allora si è dato da fare, a quanto vedo. Qualche guaio con la legge, arrestato per violenza aggravata a… Seattle… no, a Phoenix. Le accuse sono cadute. A Seattle si è trattato di aggressione con uso di un’arma letale, ridotta poi a un’accusa per semplice atto di violenza. Tre mesi di condanna. È fuori in libertà vigilata. Il suo garante sarà alquanto spazientito di non averla vista in giro, recentemente.» Bishop lo guardò, per coglierne il sorriso soddisfatto. «Spero che sia impressionato dalla nostra abilità nell’ottenere tutte le informazioni che vogliamo.»