La moto scoppiettò mentre passava su un ponte bianco, anch’esso intasato di vetture. Sotto, il fiume Sacramento rifletteva stancamente i raggi del sole. Più avanti, dopo una curva, il traffico diminuì. Bishop accelerò e cambiò corsia passando fra due macchine che tentavano di stringerlo; poi girò in Main Street che, anche se il suo nome significava «via principale», in realtà era semideserta. I centri commerciali e i grandi magazzini ne avevano risucchiato la vita. Rimanevano solo un buco con pretese di teatro, uno squallido locale chiamato Clover Leaf e un hotel del quale sarebbe stato difficile stabilire se fosse aperto o chiuso. Un uomo con un braccio solo e un cappello militare barcollava ubriaco sul marciapiede; un altro, con la barba ispida, era piantato su un angolo, con il cartello REDUCE. SENZA TETTO. AIUTATEMI. Bishop passò oltre con la sua potente motocicletta.
Si diresse verso la periferia. Nelle vie laterali, case di legno o lamiera, dai tetti spioventi, erano stipate su esigue chiazze verdi, dove donne grasse, in camicetta senza maniche, annaffiavano giardini stentati al suono delle risate dei loro figli, impegnati a giocare sotto i getti d’acqua.
Le risate si dissolsero in lontananza, insieme alla città. Ancora poche desolate abitazioni e poi i campi aperti, bruciati dalla calura, lucenti e distesi fino ai piedi delle alture. Lontano, quasi in una vagheggiata dimensione di sogno, le bianche pareti di dimore estive abbagliavano Driscoll dall’alto della loro posizione sopraelevata. Bishop aveva raggiunto il limitare della città, il confine con le foreste del Nord.
Svoltò in un viottolo sterrato e percorse l’ultimo mezzo chilometro che lo separava dal campo di aviazione.
Nell’hangar vi erano due uomini, entrambi in tuta. Nel vecchio, calvo e rugoso, si riconosceva una vecchia volpe; nel giovane, il sorriso ebete tradiva la scarsa intelligenza. Stavano parlando, appoggiati all’ala di un Piper Tomahawk. Chiacchieravano, ridacchiavano. Fu il più anziano dei due, mentre si puliva le mani con uno straccio, a vedere per primo l’uomo che avanzava verso la porta dell’hangar.
Bishop aveva lasciato il casco appeso al manubrio della Harley e si era tolto la giacca di pelle, gettandola sulla spalla. Attraversava l’area di parcheggio con studiata lentezza, e altrettanto lentamente esaminava il campo con gli occhi chiari, dietro le lenti da aviatore. All’epoca doveva avere trent’anni, mi pare. Non era molto alto — poco più di un metro e settanta — ma largo di spalle e muscoloso, come si vedeva dai bicipiti e dai pettorali scolpiti sotto la T-shirt intrisa di sudore. Dall’andatura sicura e tesa si intuivano la velocità e la potenza del suo fisico. Il viso era ovale, con lineamenti fini e capelli castano chiaro. E anche se aveva un’aria ironica, come se stesse ridendo di nascosto di una barzelletta che gli altri erano troppo stupidi per comprendere, non ingannò il vecchio, che era in giro da un pezzo e ne aveva incontrati altri, di tipi come lui. Sentì come un pugno nello stomaco e la saliva azzerarsi, quando lo vide avvicinarsi.
Bishop passò dal sole caldo dell’esterno all’ombra fresca dell’hangar. Giunto all’altezza del timone dell’aereo, si fermò.
«Chi di voi è Ray?» chiese.
«Sono io», rispose il vecchio. «Sono io Ray. Ray Gambling.»
«E io sono Frank Kennedy», ribatté Jim Bishop senza scomporsi. «Il vostro nuovo pilota.»
2
Se la prima reazione di Ray Gambling alla vista di Bishop era stata di tensione, la seconda fu di aperto nervosismo. Parlava a voce troppo alta, come un attore scadente che sta imparando la parte, intercalando di continuo le frasi con una risatina idiota.
«Siamo una piccola ditta… eh, eh. Non posso offrirti un lavoro fisso. È l’estate la stagione più affollata, senza dubbio, la primavera e l’estate… eh, eh.»
Aveva condotto Bishop in un corridoio climatizzato, di fianco all’hangar. Il pilota seguiva il vecchio lungo il corridoio, fissando con durezza la sua nuca e sperando che si calmasse.
Ray balbettò qualcosa da sopra la spalla: «Ci sono i soliti avvocati che vanno e vengono da Arcata, dove c’è la sede della contea, per i loro processi e i loro pasticci… eh, eh. Poi, nella stagione calda, ci sono quelli della forestale, che controllano gli incendi e devono portare l’attrezzatura nei boschi. Trasportiamo anche merci, documenti da Weaverville e così via. Ricordati di portare sempre il cercapersone e mi raccomando di osservare le pause e i turni di riposo… eh, eh. Vedrai che probabilmente sarai in aria tutti i giorni da qui a settembre. Questa è Kathleen».
Dal retro erano arrivati nell’ufficio, un grande spazio diviso a metà da un bancone: sul davanti si apriva una vetrina che dava sull’area di stazionamento, con i piccoli aeroplani allineati in sosta. Lungo la stessa vetrina, alcune sedie e un tavolino coperto di riviste formavano una sorta di sala d’aspetto per i clienti in attesa di pagare, quando ce n’erano (e non era questo il caso). Di qua dal bancone c’erano scrivanie, computer, schedari e carte accatastate in modo disordinato. Kathleen era in piedi davanti a uno schedario e stava inserendo una pratica in un cassetto.
Quando i due uomini entrarono, la voce di Ray si fece ancora più acuta, la risatina più nervosa. «Kathleen Wannamaker; questo è Ji… No, Frank, vero? Frank, hai detto?… eh, eh. Scusami sai, con l’età la memoria fa cilecca… eh, eh. Frank Kennedy, il nostro nuovo pilota. Kathleen manda avanti la baracca, dirige le operazioni e tappa i buchi quando necessario. Devi essere gentile con lei se vuoi avere un futuro qui… eh, eh. Vero, Kathleen?»
La donna alzò lo sguardo senza sorridere. Aveva un’espressione dura e priva di fascino, ma era abbastanza attraente. Poteva avere dai trenta ai quarant’anni; era bassa, con la vita stretta, robusta sui fianchi e sul seno, e vestiva una gonna marrone chiaro con una camicetta bianca. Portava i capelli castani lunghi e flosci, con la riga in mezzo; quando vide Bishop, ne ravviò alcune ciocche dietro l’orecchio con un gesto automatico.
«Piacere», disse, mentre lo squadrava dalla testa ai piedi. I suoi lineamenti regolari sarebbero potuti apparire cordiali, ma in realtà non era così.
Bishop si tolse gli occhiali e incrociò il suo sguardo.
Ray continuò a blaterare. «Frank è quello di cui ti ho parlato; deve trovare un posto dove stare. Kathleen ha una casa da affittare, quindi… ecco fatto… eh, eh. Vero, Kathleen? Per te va bene? Hai detto che la casa è aperta e che non manca niente. Kennedy si fermerà per l’estate al massimo, quindi non ci dovrebbero essere problemi… eh, eh.»
La donna non rispose subito; stava ancora sostenendo il suo duello di sguardi con Bishop. Prima di proseguire, è necessario chiarire un concetto: le donne si innamoravano di Bishop all’istante. Accadeva immancabilmente: si innamoravano e venivano trascinate da una passione travolgente, rimanevano impantanate nelle sabbie mobili del sentimento. In gran parte era per il suo aspetto, i muscoli, lo sguardo tagliente, e poi per le moto e gli aerei, certo; ma doveva esserci dell’altro. Forse si trattava del fatto che era un bastardo ma a suo modo sincero, senza secondi fini. Era un bastardo e non gli importava di nessuno. Gli uomini gli erano grati per questo: per loro era sufficiente che passasse senza causare troppi danni. Ma per le donne era diverso: cercavano disperatamente di suscitare in lui un interesse, ognuna voleva essere la prima di cui lui si prendesse realmente cura.