Si passò la mano sopra la bocca secca. No, era improbabile che già lo sapesse. Come avrebbe potuto? Guardò ancora verso la casa di Bishop e la finestra della camera da letto. Aveva la nausea e respirava male per la paura, ma la sua voce rimase ferma e quasi impassibile, come se fosse un altro a parlare.
«Devo andare a vedere», disse. «Bisogna stanare quel figlio di puttana, così posso entrare e scoprire che cosa diavolo sta succedendo.»
35
Proprio in quel momento, Weiss aveva trovato il negozio che stava cercando e bussava alla porta a vetri, tentando di sbirciare all’interno. PROPRIO PER TE, l’insegna recitava, PARRUCCHE E TUPÈ. L’orario indicava la chiusura per il pranzo fino alle due, ma Weiss, dal suo appostamento nel bar di fronte, aveva visto un uomo entrare.
Il negozio era ai margini di Haight Ashbury, incastrato fra una botteguccia di articoli da fumo che serviva gli ultimi hippy della zona e un grande magazzino che aveva per clientela la nuova borghesia. Un altro investigatore sarebbe stato ben più riluttante ad andarci; avrebbe pensato a un ennesimo buco nell’acqua nella faticosa perlustrazione dei negozi della città. Ma Weiss sapeva che il suo bizzarro istinto, specializzato nel capire la mente altrui, raramente sbagliava. E ora lo faceva sentire vicino alla meta.
Quando bussò di nuovo sul vetro, un volto rotondo e pallido apparve nella penombra del negozio. L’uomo inscenò una specie di pantomima battendo sull’orologio da polso, per far capire che non era aperto. Ma Weiss insistette finché l’altro non venne ad aprire, alzando gli occhi al cielo.
Si trattava del proprietario, Patrick Fandler, che per Weiss incarnava tutte le caratteristiche del tipico omosessuale di città: belloccio, capelli cortissimi, il corpo senza fianchi inguainato in pantaloni e maglioncino aderenti.
«Che cosa ci dice il cartellino sulla porta?» chiese, infastidito, socchiudendo appena la porta. «Pausa pranzo. È solo un negozio di parrucche, penso che qualunque cosa lei voglia possa attendere.» Poi, guardando meglio i capelli brizzolati di Weiss, aggiunse: «O forse no? In effetti non vorrei chiudere la porta in faccia a un caso di vera emergenza».
Weiss introdusse il suo biglietto da visita nell’apertura. «Mi chiamo Weiss e sono un investigatore privato.»
«Davvero? Come nei film?»
«Più o meno. Posso entrare a farle un paio di domande?»
Fandler osservò il biglietto ancora per un momento, poi disse: «Mi casa es tu casa» e si fece da parte per far entrare Weiss.
Il detective lo seguì fino al bancone, in fondo al negozio, dove i resti di un tramezzino all’insalata di tonno giacevano sopra una distesa di parrucche e capelli artificiali. Le ciocche bionde e castane sottovetro sembravano code di animali, trofei di caccia. Weiss vi posò sopra la fotografia di JulieWyant.
Patrick Fandler la guardò solo una volta. «Sì», disse. «Non potrò mai dimenticare quei capelli.»
Weiss annuì: ci aveva sperato davvero. Nessuno, secondo lui, avrebbe potuto scordarseli. L’espressione del volto non mutò, ma internamente tutto in lui si mosse: era agitato.
«E quel viso!» stava continuando Fandler. «Era così bella da farmi quasi desiderare di essere una lesbica.»
Weiss abbassò il mento per far capire di aver inteso la battuta. «È stata qui circa tre mesi fa?» Voleva esserne certo.
«Direi di sì.»
«E ha comprato qualcosa?»
«Be’, certo, ecco perché me ne ricordo: ha comprato una parrucca.»
Weiss riuscì a rimanere ancora impassibile, ma dovette respirare a fondo. «Una parrucca?»
«Sì, una parrucca, e io mi sono chiesto perché una ragazza con simili capelli sentisse la necessità di coprirli.»
«Bene», disse Weiss, e pensò: è viva. Ne era certo ormai, se lo sentiva. Julie Wyant era viva. Aveva finto di suicidarsi, si era travestita ed era scappata.
«Ora che ci penso, ne ha comprate tre», aggiunse Fandler. «Una bionda e due brune, una con qualche colpo di sole color mogano. Le ha provate proprio qui», e così dicendo scostò una tenda lasciando vedere un piccolo spogliatoio con uno sgabello, un tavolino, uno specchio illuminato. Weiss osservò tutti gli oggetti e il cuore gli balzò in petto: lei si era seduta lì, si era guardata in quello specchio… ed era ancora viva.
«Ha detto una cosa veramente divertente», aggiunse Fandler.
Weiss lo guardò. «Cioè?»
«Stava provando la parrucca bionda e io gliela pettinavo, per vedere come andava. Lei studiava l’insieme, girando la testa da una parte e dall’altra. A un certo punto le ho chiesto: ‘Va tutto bene?’ perché sembrava così triste, terribilmente triste, come se stesse per piangere. E lei mi ha risposto — lo ricordo chiaramente — guardandomi nello specchio: ‘Sono sempre io, comunque’.»
Weiss diede un’ultima occhiata al camerino ripensando a Julie, con il cuore in gola.
«’Sono sempre io’», stava ripetendo Fandler, a bassa voce.
Il cellulare di Weiss cominciò a suonare, riportandolo alla realtà. Lo prese e disse: «Weiss».
«Sono Ketchum.» La voce dell’ispettore all’altro capo era chiara e decisa. «Vieni più presto che puoi al comando. Ti porto dal nostro uomo.»
Weiss si limitò ad annuire, poi ripose il telefono. Si fermò a guardare un’ultima volta il tavolino e lo specchio.
Sono sempre io, pensò.
Julie Wyant era viva.
36
Solo due ore più tardi, Weiss guardava fuori dal finestrino di un bimotore de Havilland che stava attraversando un sottile strato di nebbia prima di atterrare. Sotto di lui c’erano solo foreste a perdita d’occhio, una sconfinata macchia di un verde azzurrognolo che si perdeva nel mare.
«Spero che apprezzerai quello che sto facendo per te, Weiss», mormorò fra i denti Ketchum. «Ho dovuto promettere favori che neanche ti immagini. Mi sono quasi messo in ginocchio davanti a quei fottuti federali… e tu sai quanto li odio.»
Le lamentele dell’ispettore erano poco più di un brontolio sommesso. Nessun problema. Weiss comunque non lo ascoltava. Continuava a guardare fuori dal finestrino, con il mento appoggiato sul pugno. La nebbia era scomparsa e il campo d’atterraggio si stendeva davanti a loro, due piste incrociate in riva all’oceano.
Shadowman. Anche la nebbia nella mente di Weiss — un misto di impressioni, fatti, deduzioni — stava iniziando a dissiparsi e la vicenda acquistava contorni sempre più nitidi. Il senso di urgenza rasentava ormai la frenesia, tutta la frenesia che la sua natura solida gli permetteva di provare. Come il video in cui la ripresa di Julie Wyant che ammiccava allo spettatore si ripeteva ad anello, così il sogno a occhi aperti si ripeteva ossessivamente. Lui che saliva le scale e abbatteva la porta, la ragazza sul letto. I minuti contati.
Shadowman.
«Merda, come odio tutto questo», riprese Ketchum un momento dopo, una volta scesi a terra, mentre Weiss guidava l’auto noleggiata lungo la strada costiera. «Guarda», disse, indicando il panorama. La distesa azzurra del mare si confondeva con quella del cielo e appariva e scompariva secondo l’andamento delle curve. «Sto peggio su queste strade secondarie che su quel dannato aeroplano.»
Shadowman. Weiss era stato uno dei primi poliziotti ad arrivare sulla scena del cosiddetto massacro di South Bay. Era presente quando i sommozzatori avevano riportato a riva i corpi dei bambini. Se ne ricordava in particolare una, con il volto in parte sfigurato dagli spari, il corpo divorato dai pesci, ma un profilo ancora intatto, dolce, come se stesse dormendo.