Mio Dio, pensò Weiss. «E tu hai sentito…»
«Ero nella mia stanza, lì accanto.»
E perché non l’hai fermato, brutto pezzo di merda, pensò, e quasi lo disse a voce alta. Ma ricacciò le parole in gola, insieme alla rabbia. «E ora tu sei l’unico a sapere dove si trova», disse invece. «L’unico.»
«Sono l’unico», sussurrò Pomeroy.
Ketchum era stato ad ascoltare fino a quel momento, ma ora ne aveva abbastanza. Era sempre più nervoso e disse: «Stai cercando di dirci che ti sei fatto rinchiudere in questa succursale dell’inferno, che hai addirittura contrattato per ottenere questa magnifica sistemazione, perché sei l’unico a conoscere la nuova identità della ragazza e temi che questo fantomatico Shadowman possa rintracciarti ed estorcerti l’informazione?»
«Lui verrà», rispose Pomeroy. «Non lo conoscete, lui verrà. Ha torturato Crouch e verrà anche qua. Quando si è reso conto che Julie se ne era andata, e che Crouch sapeva qualcosa, l’ha torturato finché non ha spifferato tutto. Crouch gli ha detto di me, della falsa identità, perciò lui sa. Sa che sono l’unico che può aiutarlo.»
«D’accordo, verrà», incalzò Ketchum. «Ma allora perché tu non dovresti parlare? Dannazione, non ti sei mai fatto molti scrupoli. Perché semplicemente non gli dici quello che vuole sapere? Che cosa te ne frega di quello che succederà alla ragazza?»
Pomeroy alzò il mento, come in un moto di orgoglio. Ma fu Weiss a rispondere: «Perché Shadowman lo ucciderà comunque». E Pomeroy lasciò cadere nuovamente la testa. «Lo deve uccidere, in un modo o nell’altro, perché sa che Whip l’ha sentito… supplicare, l’ha sentito piangere e dire alla ragazza che aveva bisogno di lei. È così, Pomeroy?»
«No, non perché ho sentito lui.»
Weiss chiuse gli occhi per un istante. Poi capì, tutto gli apparve chiaro. «Ti vuole uccidere perché hai sentito lei. Perché hai sentito la risposta che Julie gli ha dato.»
Pomeroy annuì rassegnato. «Mi deve uccidere a tutti i costi», sussurrò, quasi cantilenando, «perché l’ho sentita ridere.»
Nella stanza blindata era sceso nuovamente il silenzio. Si sentiva solo il rumore delle catene leggermente scosse dal tremore del prigioniero. I tre uomini erano ancora lì, immobili e zitti, con quella strana storia che aleggiava nell’aria fra loro. L’uomo peggiore del mondo si era innamorato. L’uomo peggiore del mondo si era innamorato di Julie Wyant.
«Hai una possibilità, Pomeroy», riprese Weiss dopo un po’. «Una sola. Devi dirci subito dove si trova Julie. Dirci qual è la sua nuova identità, così possiamo trovarla. Vi proteggeremo entrambi, io e la polizia, vi proteggeremo tutti e due, te lo prometto.»
«Proteggerci?» La testa di Whip era improvvisamente balzata in avanti e persino Weiss si ritrasse davanti a quegli occhi sempre più grandi che lo fissavano dal volto trasparente, mentre le labbra esangui si piegavano in grottesco, doloroso sorriso. «Non potete proteggerci, né me né lei. Non potete proteggere nessuno. Non da lui. Niente può fermarlo, niente. Arriva ovunque, raggiunge chiunque. E anche questa volta lo farà, per lei.» Pomeroy tornò ad appoggiarsi allo schienale e parve scomparire. «Non si può fermarlo. Niente può fermarlo. Mai.»
38
Dopo che le guardie ebbero recuperato Pomeroy per riportarlo in cella, Weiss rimase seduto dov’era ancora per un po’. Teneva le mani sulle gambe e fissava la barriera trasparente dietro la quale, ormai, non c’era più nessuno. Ketchum gli era accanto e, stranamente, non parlava.
«Dannazione», sospirò finalmente Weiss.
«Be’, almeno una cosa positiva c’è», disse Ketchum. «Non ci ha detto il nome, ma finché si trova qui, il nostro amico, Shadowman, non può certo raggiungerlo.»
Weiss annuì, poco convinto. Ketchum poteva anche aver ragione, ma c’era qualcosa… quel senso di urgenza che non lo abbandonava, quella visione di lui che saliva le scale, con i minuti contati.
Comunque, in quel momento, non c’era altro da fare. Si alzò pesantemente e avanzò verso la porta, seguito da Ketchum. Suonò e aprì il battente.
Prima di imboccare il corridoio, si voltò un’ultima volta a guardare la sedia vuota al di là del vetro. «Forse hai ragione», disse. «Penso che qui sia al sicuro.»
Uscirono e, per un po’, la stanza, il parlatorio numero tre del carcere di massima sicurezza di North Wilderness, rimase vuoto. Vuoto e deserto per mezz’ora, quaranta minuti, non di più. Poi la porta ronzò e si aprì di nuovo per lasciar passare un uomo magro con il vestito grigio scuro. Teneva le mani unite davanti a sé, i gomiti stretti ai fianchi. Sembrava una persona pignola e sprezzante.
L’assistente di Bernard Hirschorn, Alex Wellman, si sedette su una delle sedie di plastica e aspettò. Dopo qualche minuto, la porta al di là del vetro si aprì ed entrarono due guardie, con un prigioniero incatenato. Era l’uomo chiamato Ben Fry.
39
Sono ora costretto a ritornare, brevemente, sulle mie meno avvincenti avventure.
Avevamo lasciato l’eroe — cioè io — in preda a un dilemma morale. La mia brillante investigazione mi aveva fatto scoprire lo scomodo segreto del reverendo Reginald O’Mara. Per dirla tutta, nel momento m cui aveva presumibilmente visto il nostro cliente derubare e menomare per la vita un ragazzo dell’università, era intento a pratiche ben poco ortodosse con un parrocchiano del suo stesso sesso. Ora, io non sono cattolico, e neanche un moralista. Non mi importa certo di chi si inchiappetta chi, a patto che entrambi siano consenzienti e adulti. Ma mi rendevo conto che non tutta l’opinione pubblica o, peggio, i parrocchiani del reverendo la potevano pensare come me. Ciò mi portò alla conclusione che padre O’Mara fosse, per dirla con i teologi, nella merda fino al collo. Se avessi fatto rapporto a Sissy, come mi aveva chiesto, avrei distrutto la carriera di un uomo giusto, che aiutava i poveri e i disperati, per salvare il nostro cliente, cioè, come ho già detto, un delinquentello che non meritava altro che di finire in carcere, dove la testimonianza del sacerdote l’avrebbe spedito senza alcuna difficoltà, purché si ignorasse la faccenda dell’inchiappettamento.
Però, se avessi fatto finta di niente, sarei venuto meno al mio dovere professionale. Ecco perché ero in un bel dilemma. Da un lato c’erano tutte le belle parole sulla giustizia, Sissy che mi chiamava «mio caro», il fatto che, almeno nella mia testa, questo caso mi dava la possibilità di diventare un eroe come quelli dei romanzi che leggevo da piccolo e di avere nuovi incarichi assieme a Sissy e quindi, così speravo, di andare a letto con lei. Argomentazione che per un uomo ha un’indubbia validità. Ma, d’altro canto, la prospettiva di diventare un rovina-preti per liberare un delinquente non mi piaceva proprio. Così mi arrovellai finché non mi venne in mente che, quando si ha un problema morale, ci si rivolge a un prete.
Brad Murphy — l’inchiappettato — mi combinò un incontro con il reverendo O’Mara davanti al palazzo della Legione d’Onore, proprio sotto la statua del Pensatore, ciò che mi sembrò opportuno, visto quanto avrei dovuto pensare ancora prima di riuscire a stendere un qualsiasi rapporto.
Il palazzo, per chi non l’ha mai visto, è una costruzione maestosa, con un arco neoclassico fiancheggiato da imponenti colonnati. Davanti c’è un tempietto con una piccola piramide di vetro e al di là dell’ampia corte c’è una vasca d’acqua, che in quel momento rifletteva in modo molto scenografico il cielo divenuto basso e grigio come metallo. Ancora più in là svettavano esotici eucalipti, oltre i quali si stendevano le acque immense del Pacifico. Tutta questa maestosa grandezza mi faceva sentire ancora peggio. La figura del detective alla Marlowe che impersonavo un paio d’ore prima era in quel momento offuscata da quella di un viscido guardone che scava senza pietà nei segreti più reconditi degli altri.