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Mentre ero intento a questi pensieri, ecco arrivare il reverendo O’Mara, con la faccia più plumbea del cielo di quel pomeriggio. Aveva circa cinquant’anni ed era abbastanza alto, con le spalle larghe e la vita sottile. Il volto era regolare, incorniciato da capelli che iniziavano a tingersi di grigio. Non indossava l’abito, né aveva il collarino bianco; solo un dolcevita grigio e dei pantaloni anonimi. Gli tesi la mano, ma lui l’ignorò, e ciò peggiorò la mia sensazione di essere un individuo meschino e piccolo, molto, molto piccolo.

C’era un gruppo di giapponesi che fotografavano la statua, perciò ci spostammo verso la corte. Eravamo affiancati, ma il reverendo non mi guardava. Teneva lo sguardo davanti a sé, parlando come se si stesse confidando con l’aria.

«Presumo che voglia del denaro», disse.

Sgranai gli occhi. «Non voglio soldi, santo cielo, no. Sono qui per aiutarla.»

Sbuffò in un modo che mi fece vergognare ulteriormente. Stavamo passando sotto l’arco e i nostri passi rimbombavano.

«Mi vuole aiutare?» disse.

«Esatto. Non credevo certo di imbattermi in una situazione del genere, durante le indagini.» Entrammo nella corte e le nostre voci non riecheggiarono più. «Stavo solo controllando la testimonianza, questo era il mio compito, e così ho scoperto…» Mi sentivo come in confessionale.

Procedemmo fino alla vasca e ci fermammo a fissare l’acqua. Finalmente lui si girò a guardarmi. Lo vedevo solo di scorcio, ma mi sembrò che stesse cercando di valutarmi.

«Che sorpresa», disse in tono più mite. «Un investigatore privato con una coscienza.»

«In effetti… sono nuovo del mestiere», risposi.

«Capisco. Comunque, siamo davanti a un bel problema.»

«Mi ascolti, lei sembra una persona per bene, padre. Io non voglio distruggerle l’esistenza, ma non posso neanche far andare in prigione il mio cliente.»

«E perché? Ha sparato a una persona.»

«Lo so, ma… è un cliente», dissi quasi dispiaciuto.

«Capisco.»

Una folata di vento freddo ci raggiunse e io mi infilai le mani in tasca, incurvando le spalle. Lo guardai. Teneva gli occhi rivolti lontano, come se stesse contemplando l’arrivo della catastrofe. Aveva un aspetto nobile, in quel momento. Nobile e triste.

«Non ha preso in considerazione l’idea di ritrattare?» riuscii finalmente a dire.

«Che cosa significa?»

«Be’, forse non ha visto quello che dice di aver visto. Forse non ne è così sicuro, non può testimoniare.»

Aveva capito, naturalmente. Alzò il mento e sorrise. «Vuole che menta per salvarmi. Che lasci andare quel delinquente per salvare me stesso.»

«Senza offesa, reverendo, ma lei ha già mentito.»

Mi guardò, sempre sorridendo. Penso che dopotutto, se non mi sono sbagliato, avesse pietà di me. Un giovanotto invischiato in una faccenda più grande di lui. «Qualche volta può essere necessario variare leggermente la verità. In ogni caso, non l’ho fatto per proteggere me stesso, anche se non mi aspetto che lei mi creda. Ci sono tante persone che dipendono da me, dal lavoro che faccio. E molte altre che sarebbero danneggiate dallo scandalo, anche se non c’entrano.»

«Capisco», dissi. Avevo davanti agli occhi i bambini poveri che aiutava, e suo fratello, il governatore: sarebbero affondati tutti, insieme a lui. Non c’erano speranze.

Colse l’espressione che probabilmente avevo sul volto e rise mentre mi diceva: «Che cosa vuole che le dica? Penso che sia lei a dover decidere».

«Fantastico, bell’aiuto, da un prete.»

«Lei è cattolico?»

«No.»

«Oh, allora è in un bel guaio.»

Risi anch’io, pur senza convinzione. Spinsi le mani più a fondo nelle tasche, guardando le nuvole riflesse sulla superficie dell’acqua.

«Quanti anni ha?» mi domandò.

«Ventidue», risposi.

«Poco più di un bambino.»

Non ebbi il coraggio di protestare; ero solo contento che né Weiss, né Bishop mi vedessero in quel momento.

Il prete allungò un braccio e mi afferrò la spalla. «Questo però posso dirglielo: lei è migliore di quel che crede. Una soluzione la troverà.»

Lo vidi dirigersi a lunghi passi verso il parcheggio, sotto quel cielo sempre più scuro.

Grandioso, pensai. «Merda», dissi.

40

Erano le cinque del pomeriggio e Jim Bishop — l’uomo che Chris e Kathleen Wannamaker conoscevano come Frank Kennedy — era ancora in casa. L’attesa aveva fiaccato i nervi di Chris, che non si sentiva per niente bene.

«Dannazione», imprecò guardando fuori dalla finestra per scorgere qualche movimento di Bishop. «Dobbiamo farlo uscire. Se è un poliziotto, devo scoprirlo.»

Kathleen, seduta sul letto dietro di lui, non rispose. Ma, dopo aver riflettuto un attimo, prese il telefono e compose un numero. Chris sentì il telefono squillare nella casa accanto.

«Sono Kathleen», sentì che la moglie diceva. «Devo parlarti.»

Chris si ritrasse. La figura di Kennedy era apparsa nel vano della finestra dell’altra casa, con il telefono in mano, lo sguardo rivolto verso di loro.

«No», stava dicendo Kathleen. «Ti devo parlare di Hirschorn, di Chris e Hirschorn. È importante, non posso dirtelo per telefono. Ci vediamo fra dieci minuti davanti al K-mart, al centro commerciale River. Fai in fretta, ti prego.»

Riattaccò la cornetta e si alzò per raggiungere Chris, ma lui le fece segno di stare indietro. «Non avvicinarti, sta guardando da questa parte», disse.

Kennedy aveva messo giù il telefono ma era ancora alla finestra. «Vedrà il furgone», sussurrò Chris, molto piano, come se l’altro potesse sentirlo. «Vedrà il furgone e capirà che sei qui.»

Kathleen parlò con voce più alta. «Sa che prendo l’autobus, quando non ci sei. A volte ci vado addirittura a piedi, al centro commerciale.»

«Sta facendo qualcosa.»

Kennedy si era ritratto dalla finestra ed era sparito nella stanza buia. Passò un lungo minuto, poi Chris, eccitato, disse: «Guarda! Sta funzionando. Ecco che se ne va».

Kathleen era seduta sul letto e guardava il pavimento, ancora coperto di fazzoletti bagnati del suo pianto. Ora però non aveva più lacrime, solo amarezza e rabbia. Kennedy, umiliandola, l’aveva resa così. Voleva fargli del male, come lui ne aveva fatto a lei.

«Se ne va, se ne va», sussurrò Chris, con aria di trionfo.

Kathleen udì Kennedy che avviava la motocicletta e partiva. Il rombo del motore diventò sempre più debole a mano a mano che si allontanava. Poi scomparve.

«Vai», disse a voce alta al marito. «Tornerà in fretta, quando si accorgerà che non ci sono. Perquisisci la casa, le chiavi sono nella mia borsa in cucina.»

Chris le obbedì, affrettandosi. Kathleen sentì che scendeva le scale e si sedette, nella penombra, con lo sguardo fisso sul pavimento, sui fazzoletti.

Vaffanculo, Frank, pensò.

41

Era pomeriggio inoltrato, ma il caldo era opprimente. Nonostante avesse solo attraversato il prato fino alla porta della casa a fianco, Chris era completamente sudato. Aveva il volto lucido e la maglietta grigia gli si era appiccicata al petto e alla schiena.