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Kathleen confermò la regola nel momento stesso in cui esitò prima di rispondere a Ray: esitò e continuò a guardare Bishop. E Bishop continuò a guardarla a sua volta, indifferente e tranquillo, sorridendo appena e facendo le sue valutazioni.

Finalmente Kathleen sospirò e sbatté le palpebre come se si stesse risvegliando. «Fanno quattro e cinquanta», annunciò. «L’affitto. Quattrocentocinquanta dollari al mese. La casa è pronta; puoi entrare subito, se ti va bene.»

«Mi sembra accettabile», replicò Bishop.

«Perfetto», Ray aveva quasi urlato. «È stato facile! Eh, eh. Siamo d’accordo…»

«Kennedy», disse Bishop.

«Kennedy! Frank, vero? All’inferno la mia memoria per i nomi… eh eh… Frank. Inizieremo a istruirti subito e a farti provare gli aeroplani sui quali volerai.»

Bishop non aprì bocca. Guardava Kathleen e lei ricambiava lo sguardo, con il petto palpitante d’emozione.

«Ehi, Kathleen», intervenne Ray. «Ecco tuo marito.»

Bishop spostò lo sguardo al di là del vetro. Un Cessna 340 stava fendendo l’aria tremolante di calore, adagiandosi lentamente sulla pista. La spinta delle eliche fece tremare il velivolo.

Kathleen non si girò subito; indugiò ancora un istante su Bishop, poi si costrinse a guardare fuori.

L’aeroplano raggiunse l’area di sosta, i motori si spensero e le eliche si fermarono. I tre nell’ufficio videro il pilota che slacciava le cintare, scendeva dalla cabina e passava da un’ala all’altra per fissare l’aereo al suolo.

«Quello è Chris, il marito di Kathleen», disse Ray a Bishop. «È il mio primo pilota. È anche un controllore di volo e un istruttore, perciò sarà quello che ti farà provare i vari aeroplani.»

Chris Wannamaker stava avanzando a grandi passi verso di loro, facendo oscillare la borsa dei documenti di volo che gli pendeva dal pugno. Un gran figlio di puttana, lo valutò Bishop senza s comporsi. Un vero figlio di puttana, e cattivo.

Proprio così, pensò. E non credo che gli farà piacere quando inizierò a scoparmi sua moglie.

3

La casa di Kathleen, quella che affittava, non era lontana dal campo di aviazione. Era di legno, a due piani, talmente in cattivo stato che sembrava reggersi a malapena sull’erba bruciata del prato. Al piano terra c’erano la cucina e il soggiorno; di sopra, un solaio con pretese di camera da letto. Il mobilio, se così si poteva chiamare, cadeva a pezzi.

Era sera quando Kathleen vi accompagnò Bishop. Dalle case vicine provenivano suoni di risate infantili e il fruscio dell’acqua degli irrigatori; i cani abbaiavano e si sentiva il tipico richiamo delle mamme: «È pronto!» C’era ancora un po’ di luce — era solo giugno — ma dalle finestre del soggiorno entrava la prima aria fresca della giornata, che scuoteva le tende sottili.

In camera, invece, l’aria era soffocante. Nello spazio angusto del sottotetto, quando si trovarono vicini sotto il soffitto spiovente, Bishop poté sentire l’odore del sudore di Kathleen mescolato al suo profumo. Gli piaceva; e gli piaceva la sensazione che gli suscitava.

«Qui sopra il condizionatore è quasi sempre necessario», spiegò Kathleen. «Fa un po’ di rumore, ma funziona bene.»

Bishop guardò fuori dalla finestra e rimase soddisfatto. Anche da lassù, come dalla finestra rivolta a sud, al piano terra, poteva vedere il soggiorno della casa accanto, quella in cui vivevano Kathleen e il marito. Tutto procedeva al meglio.

Si volse verso la donna. Poi si avvicinò di un passo.

«Qualsiasi mobile tu voglia portare, per me va bene», Kathleen disse, alzando gli occhi sul viso di lui. «Posso mettere questa roba da mio zio; la tengo qui solo nel caso un inquilino ne abbia bisogno, ma tu puoi sistemare come…» La sua voce si spense mentre Bishop le osservava il viso, i capelli che incorniciavano le guance, i contorni della bocca carnosa. «Come vuoi tu», concluse la donna.

Bishop lasciò vagare lo sguardo dalle sue labbra agli occhi, alla fronte, e poi ancora agli occhi.

«Va benissimo così», le rispose.

4

L’uomo dai baffi grigi arrivò proprio quella prima sera. Bishop era seduto al buio in soggiorno, su una sedia di legno. Stava fumando una sigaretta nascondendo l’estremità accesa con la mano, in modo che non fosse visibile dalla casa accanto. Osservava il soggiorno di Kathleen attraverso le tendine mosse dall’aria.

L’uomo dai baffi grigi era con il marito di Kathleen, Chris, che stava sul divano con la schiena curva e il volto contratto in un sorriso torvo e sottomesso. Beveva una birra dopo l’altra e Bishop sentiva la sua voce quando urlava a Kathleen di portargliene un’altra.

L’uomo dai baffi grigi si era accomodato su una poltrona imbottita; sul tavolino davanti a lui c’era un bicchiere di whisky, ma Bishop poté notare che in tutta la sera lo sorseggiò solo una volta.

Passò circa un’ora e mezzo, poi l’uomo dai baffi grigi si alzò e uscì. Bishop lo seguì con lo sguardo finché raggiunse la Mercedes color argento posteggiata dietro il pick-up Dodge sotto la tettoia. Chris rimase seduto dov’era a finire l’ultima birra. Poi si alzò a fatica e si diresse barcollando fuori dal soggiorno. Bishop non lo vide più, ma restò alla finestra senza muoversi. Poco dopo, udì la voce di Chris provenire dal retro della casa. La voce tradiva una collera sorda che stava trasformandosi in rabbia. Kathleen gli rispose a voce alta. Doveva trovarsi vicino alla porta a zanzariera della cucina, e Bishop poté distintamente udirne le parole: «La casa è mia. Non devo chiedere il tuo dannato permesso per affittarla!»

Chris imprecò e Kathleen lanciò un urlo: evidentemente era stata picchiata. Bishop la sentì lamentarsi con rabbia mentre lottava con il marito e ancora gridare sotto un secondo colpo. Chris imprecò nuovamente e Bishop lo sentì muoversi a passi incerti. Kathleen rimase a piangere vicino alla porta della cucina.

«Brutto bastardo», furono le sue parole.

Poi la casa cadde nel silenzio. Bishop portò la sigaretta alle labbra e tirò una lunga boccata; il sudore gli imperlava le tempie. Il silenzio continuava. Bishop infine si alzò, spense la sigaretta nel posacenere e salì in camera.

L’aria fresca del condizionatore fu una gradita sorpresa. Si chinò sulla borsa da viaggio nera che aveva appoggiato ai piedi del letto e frugò tra i vestiti. Trovò il computer portatile, lo posò sul tavolino vicino alla parete, aprì la piccola tastiera e lo accese.

Era uno di quei palmari in grado di inviare la posta elettronica sulla rete wireless. Bishop preferiva le e-mail; erano più difficili da intercettare delle telefonate, non potevano essere ascoltate da un’altra linea. La tastiera era di dimensioni ridotte ma Bishop vi era abituato. Digitò rapidamente il messaggio con gli indici.

«Weiss», iniziò, «sono qui…»

5

«Qualcuno vuole uccidermi», stava dicendo l’uomo con la faccia da topo.

Il petto formidabile di Scott Weiss si gonfiò e si ritrasse come un’onda del mare. «Sono un investigatore privato, signor Spender», disse. «Se qualcuno sta cercando di ucciderla, deve rivolgersi alla polizia.»

«Non posso andare alla polizia. Non posso proprio.»

«E perché mai non dovrebbe?»

Il Topo — come Weiss l’aveva già soprannominato — si chinò in avanti con aria affannata. «Perché quello… quello che vuole uccidermi ha le sue ragioni; mi vuole ammazzare perché gli ho violentato la sorella.»

Weiss rimase impassibile, ma sarebbe potuto anche scoppiare a ridere: non credette a quella panzana neanche per un istante.

I due uomini si trovavano nell’ufficio di Weiss in Market Street, al settimo piano di un alto palazzo in cemento sormontato da un rosso tetto spiovente. Al piano terra c’era una banca, che occupava anche i locali dei sei piani immediatamente superiori. Al settimo c’eravamo noi, l’Agenzia, e uno studio legale aveva sede agli ultimi due. Lo studio Jaffe Jaffe passava molto lavoro all’Agenzia, e quindi trovava comodo averla in affitto al settimo piano, che era di sua proprietà.