Entrò con le chiavi di Kathleen e salì subito le scale, superando i gradini a due per volta. Quando entrò nella camera da letto ansimava e colava sudore.
Il condizionatore era ancora acceso; ciò significava che Kennedy sarebbe rientrato presto. Il cigolio dell’apparecchio rendeva Chris nervoso e gli prosciugava la gola. Non lo avrebbe mai ammesso, neanche con se stesso, ma l’idea di affrontare un’altra volta Kennedy lo faceva letteralmente tremare. Doveva fare in fretta, prima che tornasse.
Esaminò la stanza con lo sguardo. Era abbastanza buio, ma adesso un raggio di sole entrava dalla finestra e formava un disegno sul pavimento. Così, Chris vide la borsa da viaggio di Kennedy sul letto, chiaramente piena. Quindi, pensò, stava per andarsene.
Chris si avvicinò e aprì la cerniera lampo. Gli sembrava che mancasse l’aria, gli pareva di soffocare, forse per la paura, ma si sforzò di continuare. Gocce di sudore caddero sui vestiti di Kennedy. Cercò fra gli indumenti, raggiunse il fondo della borsa con la mano e non gli ci volle molto per trovare il computer palmare.
Non aveva dimestichezza con simili aggeggi, ma non gli fu difficile accenderlo. Dopotutto era un pilota e conosceva gli strumenti computerizzati di bordo. Lo appoggiò sulla scrivania e si asciugò il sudore dalla fronte. Teneva le orecchie aperte, per sentire l’eventuale rombo della moto di Kennedy, e guardava di tanto in tanto fuori dalla finestra. Iniziò a sfogliare i file: note, rubrica, e-mail…
Chris respirava a bocca aperta mentre leggeva su quello schermo minuscolo. Lì dentro gli sembrava di soffocare, come se una mano fosse serrata sulla sua gola. Ma la mente era comunque vigile. Se questo Kennedy era davvero un poliziotto, pensò, se davvero aveva usato Kathleen per arrivare a Hirschorn… be’, l’avrebbe pagata cara. Hirschorn non aveva mezze misure, la sua vendetta sarebbe stata rapida e definitiva. Su Kennedy, certo, ma anche su lui e Kathleen… A meno che non fossero proprio loro ad avvisare Hirschorn, a fargli sapere di Kennedy, a metterlo in guardia. Forse allora sarebbero stati risparmiati, perdonati. Hirschorn si sarebbe comunque arrabbiato, ma forse non così tanto, forse gli avrebbe solo detto di controllare meglio sua moglie.
Le guance di Chris avvamparono. Sua moglie. Sentì una rabbia pungente stringergli lo stomaco. In quell’ultima ora aveva cominciato a farsi l’idea che Kathleen non gli avesse detto tutta la verità. Lui si era così preoccupato del fatto che Kennedy fosse un poliziotto, si era così spaventato all’idea di che cosa potesse fare Hirschorn, da trascurare gli altri particolari della vicenda. Ma dentro di lui, comunque, era nato il sospetto che Kathleen stesse in parte mentendo su Kennedy. Era stata a letto con lui, ecco la verità. Aveva origliato le sue conversazioni con Hirschorn e le aveva riferite a Kennedy, ma non in ufficio. No. Gliele aveva confidate a letto.
Chris ne era ormai certo e il suo stomaco ribolliva, in fiamme. Doveva però ricacciare il pensiero e concentrarsi su quello che stava facendo.
Imprecò. «Maledizione.» Non c’era niente, non trovava niente. Nomi, indirizzi non significavano niente. Come diavolo poteva sapere chi fossero quelle persone?
Ma non c’era altro, quindi continuò a leggere, e arrivò ad aprire la cartella della posta elettronica.
C’era un unico messaggio non inviato, uno solo. Bishop era sempre attento a queste cose, ma quella volta era stato interrotto da Kathleen e quindi l’aveva salvato, dimenticandosene subito. Non l’aveva finito e non l’aveva spedito. Chris l’aprì.
Weiss, ha funzionato. Wannamaker è fuori, io sono in gioco. Stasera alle sei sarò in volo verso una destinazione ignota. Quando sarò là, mi daranno le istruzioni sul mio incarico e ti farò sapere. Se abbiamo fortuna, possiamo portare a termine la missione senza comprometterci…
Chris smise di pensare, smise quasi di respirare. Era ammutolito e il cuore sembrava volergli uscire dal petto, tanto batteva forte, riempiendogli la testa di un rumore pulsante.
«Wannamaker è fuori, io sono in gioco.»
Cristo, era ancora peggio di quanto avesse pensato. Era la cosa peggiore che potesse accadere. C’era un solo modo per essere fuori con Bernie Hirschorn. I suoi uomini potevano arrivare da un momento all’altro. Doveva affrettarsi, avvisare Hirschorn di Kennedy, doveva risolvere lui la situazione, in modo che Hirschorn non lo uccidesse.
I suoi occhi scorsero disperatamente il messaggio, cercando di memorizzarne le parole. Weiss… aveva già visto quel nome, nella rubrica del computer.
Sforzandosi di non tremare, digitò le lettere sulla tastiera e l’informazione apparve. Solo «Weiss» e un numero con il prefisso di San Francisco.
Chris alzò il telefono e lo compose.
Suonava libero. Aspettò cercando di respirare, ma il suo respiro pesante era quasi soffocato dal battito del cuore.
Wannamaker è fuori.
Un altro squillo. Forza, pensò. Poi una voce femminile rispose: «Weiss Investigations».
Chris non riusciva a parlare, gli sembrava di avere la gola chiusa.
All’altro capo, la donna continuava: «Weiss Investigations, pronto?»
«Siete un’agenzia di investigatori privati?»
«Sì, l’agenzia di investigazioni private Weiss.»
La mente di Chris vorticava, i pensieri si accavallavano. Kennedy era un investigatore privato, uno spione. Aveva usato Kathleen e ora stava per volare con Hirschorn. Mio Dio…
«Posso esserle utile?» stava chiedendo la donna all’apparecchio.
Ma proprio in quel momento, mentre era ancora con l’apparecchio in mano, Chris sentì un rumore all’esterno. Un motore. Kennedy era di ritorno, pensò. Ma non si trattava di una moto, sembrava invece un’auto. La vide dalla finestra, fra gli alberi.
Il sudore che gli colava dalle tempie si raggelò. Tutto il suo sangue si raggelò. Lentamente, come in trance, abbassò il ricevitore.
«Signore, come posso…» Sentì la voce della centralinista, lontana, e poi agganciò.
Rimase immobile, con la mascella abbassata, senza forze, paralizzato, annientato dalla paura. La BMW nera era una delle auto di Hirschorn, ne era certo. E si stava fermando proprio davanti a casa sua.
Chris guardò, senza fiatare, sudando. La testa gli ronzava, la stanza lo soffocava. Due uomini stavano scendendo dall’auto, dalle portiere anteriori. Non appena li vide, Chris emise un rauco lamento.
Erano gli uomini di Hirschorn, Goldmunsen, il gorilla, e Flake, l’isterico. Chris aveva sentito delle storie su quest’ultimo. Si diceva che Goldmunsen usava le armi da fuoco, mentre Flake era uno specialista del coltello. Gli piaceva tagliuzzare la gente.
I due uomini stavano percorrendo il vialetto che portava alla casa di Chris. Erano venuti a prenderlo.
Lui era immobile, raggelato, con gli occhi fissi su di loro e le gambe molli. Goldmunsen stava suonando il campanello.
«Non rispondere», sussurrò Chris, come se Kathleen potesse sentirlo.
Ma con la coda dell’occhio vide Kathleen, all’interno della casa, che si avvicinava alla porta. Gli venne in mente che anche Kennedy aveva potuto osservarla dalla finestra, anzi, osservarli tutti e due, vedere tutto quello che facevano. Doveva aver assistito alle visite di Hirschorn. Tornò a ribollire di rabbia, e una visione di sua moglie e quell’investigatore a letto insieme, a parlare di lui, gli attraversò la mente…
Kathleen aprì la porta e Chris vide che Goldmunsen le parlava. Flake non riusciva a stare fermo. Il gorilla sembrava gentile, calmo, sorrideva anche; ma l’altro non era in grado di contenersi. Cercava di sbirciare fra Kathleen e lo stipite, o sopra la sua spalla, per vedere se Chris era in casa.
Il volto di Chris era coperto di sudore che gli faceva bruciare gli occhi. Non riusciva quasi più a respirare, stava soffocando. Se Kathleen si fosse girata… se avesse indicato loro la casa a fianco… se avesse detto che lui era lì, sarebbe finita. Sarebbero venuti a prenderlo, e l’avrebbero portato via.