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Chris emise un lamento, un suono che non aveva mai sentito uscire dalla sua bocca, un suono terribile. Era paralizzato dalla paura, torturato da una rabbia impotente. Odiava sua moglie con tutte le forze, perché aveva scopato con Kennedy e perché ora aveva la sua vita nelle mani. Tutto quello che poteva fare era rimanere lì fermo a guardare, ad aspettare tremando.

Ma Kathleen non lo tradì. Non si voltò verso di lui e si limitò a scuotere la testa, probabilmente dicendo ai due uomini che non sapeva dove fosse suo marito. Aveva capito. Aveva intuito che cosa stava succedendo e perché erano venuti a cercarlo. Mentiva per proteggerlo, per salvargli la vita.

Chris vide Goldmunsen annuire, crederle. Flake si agitava. Kathleen continuò a parlare; stava dicendo loro qualcosa… qualche balla. Forse che Chris era al bar, o all’aeroporto o qualcos’altro.

E poi, sollevato, Chris vide che i due se ne andavano, ritornavano alla macchina. Si sentì quasi sospeso in quell’aria stantia mentre aspettava che salissero e che accendessero il motore. Poi l’auto partì, si allontanò dal marciapiede, scomparve. Chris ebbe la sensazione di cadere fuori dal nulla, ritornando nel suo corpo. Improvvisamente era di nuovo in grado di respirare, pur ansimando, e sentiva di nuovo il battito cardiaco pulsargli nelle orecchie.

La macchina se n’era andata. Kathleen rimase per un attimo sulla porta, poi fece un passo fuori di casa e guardò verso la finestra dove era Chris. Aveva uno sguardo atterrito.

Chris le rivolse un sorriso tirato. In quel momento avrebbe voluto metterle le mani al collo.

Ritornò in sé e si diede un’occhiata intorno. Spense il computer e, per un attimo, pensò di portarselo via, di mostrarlo a Hirschorn, per metterlo in guardia e in cambio salvarsi la vita. Forse avrebbe anche potuto recuperare il suo lavoro di pilota. Sarebbe stato in gioco e non fuori…

Ma si accorse subito che il piano non era buono. Se avesse rubato il portatile, Kennedy se ne sarebbe accorto, si sarebbe sentito scoperto, avrebbe chiamato la polizia, quella vera, e rovinato tutto.

No. Doveva fermarsi un attimo e ragionare, anche se era molto spaventato. Non aveva bisogno del computer. Il messaggio non provava niente. Avrebbe anche potuto scriverlo lui stesso, per incastrare Kennedy. Hirschorn non era sciocco. Chris gli avrebbe parlato e poi lui avrebbe fatto i suoi controlli, avrebbe scoperto che era tutto vero. Doveva solo andare da lui il più presto possibile. Subito.

Sempre sudando, col respiro affannoso, Chris ripose il computer nella borsa, dove lo aveva trovato. Guardò l’orologio e si accorse che erano quasi le cinque e mezzo. Kennedy sarebbe partito alle sei, dall’aeroporto, con Hirschorn. Se si affrettava, poteva anticiparli, dire tutto a Hirschorn e fare il salvatore della patria. Allora gli scagnozzi sarebbero andati a cercare Kennedy per portarlo via. In macchina.

Si fermò un istante, mentre il sudore gli colava a rivoli sulle guance, e in quell’istante i suoi occhi s’illuminarono come quelli di un bambino che stia per compiere una marachella. Kennedy gli aveva preso la moglie, il lavoro, il rispetto degli amici e, praticamente, la vita. Kennedy gli aveva tolto tutto quello che faceva di lui un uomo. E ora, proprio quando Kennedy pensava di essere in vantaggio, era tempo di rendergli la pariglia. Chris avrebbe detto a Hirschorn la verità e le cose avrebbero preso un’altra piega.

Doveva affrettarsi, perché Hirschorn non rispondeva più alle sue telefonate. Doveva andare di persona all’aeroporto e arrivarci prima del decollo.

Si diresse verso la porta.

42

Il furgone di Chris si allontanò dal quartiere proprio nel momento in cui la moto di Bishop imboccava la strada dall’altro capo.

Dopo aver parcheggiato accanto alla casa, Bishop smontò e raggiunse la porta di corsa. Non perse tempo a guardare verso l’altra abitazione, quella di Kathleen. Non si chiese nemmeno perché lei non fosse venuta all’appuntamento. Ci era andato solo perché lei gli aveva parlato di Hirschorn, per non rischiare di perdersi qualcosa di importante. Ma in effetti non ci aveva creduto molto; pensava invece che si trattasse di una manovra di Kathleen per cercare di farlo ritornare da lei. Quando non l’aveva vista, non si era molto preoccupato, e di certo ora non aveva tempo di pensarci. Doveva andare subito all’aeroporto, per scoprire che cosa stava macchinando Hirschorn.

Salì le scale rapidamente, due gradini alla volta, come aveva fatto Chris. Entrò in camera e si avvicinò alla borsa ancora posata, aperta, sul letto. Chiuse la cerniera, afferrò i manici e si fermò a dare un’ultima occhiata alla stanza.

Ma aveva troppa fretta: non notò che qualcuno aveva frugato tra le sue cose, e non gli venne in mente che non aveva inviato l’ultimo messaggio per Weiss.

Si mise la borsa in spalla e nell’avviarsi alla porta spense il condizionatore.

Un minuto dopo, la motocicletta rombava sulla strada.

43

Chris arrivò per primo: fermò bruscamente il furgone davanti all’ingresso dell’hangar e saltò giù. Le suole dei suoi stivali risuonarono pesanti sul cemento mentre raggiungeva a lunghi passi il bimotore parcheggiato all’interno.

Ray Gambling stava vicino all’aereo, in tuta da lavoro e chino sulla cappottatura aperta, una chiave inglese in mano. Un altro meccanico, Wilson Tubbs, era sdraiato dentro la cabina di pilotaggio, con i piedi che spuntavano dalla portiera.

Chris li raggiunse in fretta e afferrò Ray prima che questi avesse il tempo di alzare gli occhi e riconoscerlo. Lo spinse indietro contro la cassettiera porta-attrezzi, le cui ruote erano bloccate. Ray gemette nell’urtare con la spina dorsale un cassetto aperto, e indietreggiò inciampando mentre il cassetto si chiudeva. Chris gli tolse la chiave inglese dalle mani e lo minacciò, urlando. «Dov’è Hirschorn?»

«Oddio, Chris… Oh Gesù…»

«Non fare la commedia con me, pezzo di merda. Sei tu che l’hai chiamato, Kennedy. L’hai messo dietro a mia moglie. Dovrei ammazzarti subito!» Chris alzò l’attrezzo come per colpire.

«Io non…»

«Kennedy l’hai chiamato tu, vero? È tutta opera tua.»

Tubbs, il meccanico, si era accorto solo in quel momento di quello che stava accadendo e stava cercando di uscire dall’aereo.

Ray si mise una mano sul petto. «Te lo giuro su Dio, Chris», balbettava. «Te lo giuro…»

«Dannazione, dov’è?» urlò Chris. «Dov’è Hirschorn? Che aereo deve prendere?»

«Ti prego, Chris, te lo giuro…»

«Ehi!» Era Tubbs, un ragazzo di circa trent’anni, basso ma svelto e reattivo. Era riuscito a svincolarsi dall’aereo e si trovava alle spalle di Chris. Gli afferrò il polso e cercò di fargli mollare la chiave inglese. «Che cosa diavolo stai…»

Chris liberò il braccio dalla presa e assestò una gomitata sul naso a Tubbs, che venne spinto contro l’aeroplano. Cadde seduto sul cemento e poi si sdraiò sul fianco, le mani sul viso insanguinato.

Chris brandiva ancora la chiave inglese sopra la testa di Ray. «Dimmi dov’è o ti spacco la testa in due.»

«Chris, io…»

Dietro di loro si udì uno stridore di pneumatici. Chris si girò per guardare fuori dall’hangar.

E questa volta furono i suoi occhi a riempirsi di terrore. Sul piazzale c’era la BMW nera degli uomini di Hirschorn, che probabilmente lo avevano seguito fin lì, dopo essersi appostati vicino a casa. Goldmunsen e Flake si stavano affrettando a scendere dalla macchina. L’espressione minacciosa sul volto di Chris si era tramutata in sgomento. Il suo urlo divenne un lamento e gli si seccò in gola.