Era buio ormai quando giunsero al luogo dell’esecuzione. Avevano guidato a lungo.
Chris Wannamaker, abbandonato sul sedile posteriore della BMW, solo allora stava iniziando a percepire il movimento dell’auto. Gli occhi si aprirono e si richiusero lentamente. Tutto il suo corpo grosso e muscoloso sembrava cascante, senza forza. Non riusciva a muovere la testa appoggiata contro il finestrino, e neanche a chiudere la mascella che penzolava aperta. Aprì di nuovo lentamente gli occhi e vide che fuori era notte.
Flake era davanti, al volante, mentre Goldmunsen era dietro, al suo fianco, un braccio da gorilla appoggiato sulla pancia. All’estremità del braccio da gorilla c’era una mano da gorilla serrata su una pistola, una Glock, puntata nel vuoto. Quando Chris si mosse, Goldmunsen sorrise, come si fa quando qualcuno si sveglia. Poi spostò la mano con la Glock e la puntò verso Chris.
Questi si mosse ancora e lasciò sfuggire un lamento. La testa gli girava e aveva la sensazione che stesse per accadergli qualcosa di terribile. Voleva che quel tormento finisse, voleva chiudere gli occhi e ritrovarsi nel suo letto quando li avesse riaperti. Ci provò: nessun risultato. Era sempre in macchina e la macchina continuava a viaggiare, a macinare chilometri, avvolta nella notte.
Cercò di mettere a fuoco il paesaggio, ma non si vedeva molto. C’erano degli alberi e la strada tortuosa, qualche squarcio di cielo scuro fra i rami. Erano da qualche parte nella foresta, e lui cominciava ad avere paura, molta paura. In quel bosco gli sarebbe successo qualcosa di terribile. Doveva cercare di impedirlo. Doveva pur esserci qualcosa da fare in quel breve intervallo di tempo.
Ma il tempo a sua disposizione era terminato. Flake stava lasciando la strada e Chris sentì lo sterrato sotto le ruote. Fu sballottato sul sedile e, ancora confuso, cercò di alzare la testa. Vide Flake che guidava. Vide che Goldmunsen, al suo fianco, gli sorrideva. E vide l’arma che teneva in mano.
«No», disse con la voce impastata. «Non…»
Improvvisamente si ricordò tutto: capì che stavano andando alla sua esecuzione, e il terrore gli fiaccò ulteriormente le forze.
«No, no», balbettò. «Dovete…»
«Fermati qui, mi pare che vada bene», stava dicendo Goldmunsen a Flake.
«Fammi allontanare ancora un po’ dalla strada. Qualche poliziotto stronzo ci potrebbe vedere», replicò Flake.
«Va bene», ribatté l’altro, «andiamo avanti ancora un po’.»
Chris cercò di portarsi la mano alla fronte dolorante. Per un momento sembrò che l’interno della macchina fosse immerso nella nebbia. Poi tutto tornò orribilmente a fuoco.
«Mio Dio, no…»
«Fallo tacere, per favore», sbottò Flake.
«No, aspettate. Ascoltate», diceva Chris, tenendosi la testa. «C’è una cosa… dovete ascoltarmi.»
«Su, non prendertela», disse Goldmunsen in tono cordiale. «Sarà finita in un paio di minuti.»
«Ma voi dovete ascoltarmi… dovete.» Chris si teneva la testa, cercando di pensare a che cosa doveva dire, sfruttando l’ultimo momento disponibile. Ma le tempie gli pulsavano e il dolore e la paura non lo lasciavano riflettere. «Ascoltate, vi prego.»
«Non servirà a molto, amico. Abbiamo degli ordini», disse Goldmunsen. «Sai come vanno queste cose. Cerca di stare calmo e noi renderemo tutto più facile.»
Chris fissò sbattendo gli occhi la faccia sorridente del gorilla. «Goldmunsen, ascoltami», disse. «Ti prego.»
«Ehi», si intromise Flake con un tono duro, guardando Chris nello specchietto retrovisore. «Non hai sentito che cosa ti ha appena detto? Chiudi quella bocca.»
Goldmunsen si strinse nelle spalle. «Lo senti? Non vorrai fare arrabbiare Flake… Sai che cosa succede quando si arrabbia. Inizia con il coltello, e viene fuori un casino.»
«Oddio, per favore…»
«Dico davvero, non ti piacerebbe, credimi. Dunque, sii uomo e ci penserò io a te. Non sentirai niente.»
Una nuova ondata di paura e debolezza attraversò il corpo di Chris. Deglutì per cercare di non pensarci. «Voi non capite», disse.
Goldmunsen rise. «Oh, sì che capiamo.»
«No, no, è che… Mio Dio, dovete ascoltarmi, non voglio morire!»
«Mi dispiace, ma non vedo alternative», disse Flake. «Perciò comportati da uomo e taci una volta per tutte.» Poi rivolgendosi a Goldmunsen borbottò: «Dagli un altro pugno e fallo tacere, sbrigati».
«Sì, così poi dobbiamo trascinarlo per tutta la strada. Non ci penso neanche.»
L’auto si fermò e Chris sgranò gli occhi. Guardò disperatamente intorno, nell’oscurità. Poi quello che doveva dire gli tornò tutto in mente, come frammenti di un puzzle che si ricomponeva lentamente dentro di lui. «Aspettate, vi prego», piagnucolò. «È stato Kennedy. Ecco che cosa dovevo dirvi. È tutta colpa di Kennedy.»
«Adesso lo taglio davvero. Fa’ qualcosa!» disse Flake.
«D’accordo, d’accordo», rispose Goldmunsen. «Cerchiamo di stare tutti calmi e di procedere in modo professionale. Sblocca la portiera dietro, forza.»
Flake fece scattare il blocco delle serrature e Goldmunsen fece segno a Chris con la pistola.
«Scendi dalla mia parte», gli disse.
«È stato Kennedy, lo giuro!»
Ma il gorilla lo ignorava. Aprì lo sportello e scese senza smettere di puntare la pistola sul prigioniero. Anche Flake scese.
«Ascoltate», insisteva Chris. «Kennedy, è lui che ha combinato tutto. È lui che…» Si teneva la testa fra le mani, cercando di rimettere insieme i pezzi di quel rompicapo.
Goldmunsen gli indicò l’uscita con la pistola. «Forza, vieni giù.»
«Porta le chiappe fuori di lì. Non costringermi a venire a prenderti», lo incalzò Flake. «Dico sul serio, sbrigati!»
Chris fissava angosciato la canna della pistola. La paura gli impediva qualsiasi movimento; non riusciva neanche più a parlare. Quasi senza accorgersene, iniziò a scivolare sul sedile verso la pistola, come un serpente incantato dal flauto.
All’esterno, l’aria fresca della montagna lo fece tremare ancora di più. Si sentiva debole, perduto.
«Non è giusto», mormorava. «Questa cosa… non è giusta. È un errore…»
Erano in una radura di un fitto bosco eppure c’era qualcosa di strano. Alla luce della luna Chris vide qualcosa che lo disorientò ulteriormente. Case. C’era una fila di quelli che sembravano vecchi edifici di mattoni, come in una cittadina del vecchio Far West. La maggior parte delle case era a due piani, con in cima un timpano arrotondato o addirittura un bordo di merli. In realtà, delle costruzioni rimaneva solo la facciata: le finestre, buie e scure come i fori degli occhi in uno scheletro, si aprivano direttamente sul bosco. Si trattava dei resti di una città abbandonata dopo la corsa all’oro di fine Ottocento, conservati per i turisti, ma per Chris era come trovarsi in un paesaggio da incubo, completamente irreale. La stranezza del posto, unita alla confusione mentale e al terrore, gli impediva di riordinare le idee.
«Andiamo», disse Goldmunsen.
«Aspettate», rispose Chris. «Sentite, Kennedy…»
Goldmunsen, indifferente, lo colpì con il calcio della pistola. Chris barcollò, poi cadde sulle ginocchia. Il cielo, gli alberi, le case roteavano intorno a lui e i suoi pensieri si erano nuovamente dispersi in mille direzioni.
«Questo ragazzo», commentò Goldmunsen, «non sembra prestare attenzione a quello che gli stiamo dicendo.» Scuotendo bonariamente la testa si avvicinò a Chris, lo prese per i capelli e lo tirò in piedi. Poi gli puntò la pistola nelle costole intimandogli di muoversi.
Nella mente del pilota erano rimasti solo confusione e terrore. Cominciò ad avanzare inciampando verso le case, e insieme ricominciò a supplicare. «Vi prego. Ascoltatemi. State facendo un errore. Dovete ascoltarmi…» La voce era debole, quasi impercettibile. Supplicava e mormorava come se recitasse una preghiera. «È stato Kennedy, è stata tutta colpa sua, di lui e di Kathleen.»