Lui pensò che fosse partito il colpo e urlò con quanto fiato aveva in gola, cadendo in avanti, sulle ginocchia, in lacrime. Si sorprese di non essere ancora morto e pensò che gli avrebbero sparato ancora, finché tutto non fosse finito. Si augurò che facessero in fretta, prima di iniziare a provare dolore.
«Ehi», ripeté Flake. Prese Chris per un orecchio e gli girò la faccia fino a incontrare il suo sguardo con quegli occhi da psicopatico. «Sto parlando con te, pezzo di merda. Ti sto facendo una domanda. Che cosa vuoi dire esattamente?»
Con la bocca aperta e la faccia imbambolata, bagnata dalle lacrime, Chris fissò il volto contorto del killer e, dopo qualche istante, capì. Flake lo stava ascoltando! Lo ascoltava e lui era ancora vivo! Lo guardò con la riconoscenza di un bambino verso la mamma.
«Sì, è vero», urlò fra le lacrime, fino a coprire il canto delle cicale. «Kathleen e Kennedy… Lui è un investigatore privato.»
«E se la fa con tua moglie?»
«Se la faceva, e lei mi spiava quando parlavo con Hirschorn e gli riferiva tutto. Ho visto un’e-mail, sul suo computer. Era indirizzata alla Weiss Investigations di San Francisco. C’era scritto che io ero fuori e che adesso lui era entrato nel gioco, e che avrebbe scoperto tutto sull’operazione.»
Flake ci mise qualche secondo ad assimilare l’informazione. Poi, con uno spintone, mandò Chris lungo disteso per terra, e il pilota si coprì il capo con le braccia. «Vi prego, non fatelo, non fatelo», disse. «Posso darvi una mano, giuro. Posso salvare l’operazione. Per favore.»
Flake lo guardava, irritato ma attento. Poi, in uno scatto d’ira, gli diede un calcio nella coscia.
«Merda!» urlò.
Goldmunsen abbassò l’arma, esasperato, battendo la canna sulla gamba. «Non mi dirai che adesso credi a tutte queste stronzate?» chiese.
Flake aveva lo sguardo fisso a terra e le mani sui fianchi. «Merda, merda, merda.»
«Il signor Hirschorn ha fatto controllare Kennedy», insisteva Goldmunsen. «Si è assicurato che fosse pulito.»
«Hai sentito questo qui? Dice che Kennedy si scopava sua moglie», ribatté Flake.
«E allora? Che cosa significa? Che senso ha tutto questo? Avrebbe detto qualsiasi cosa per salvarsi.»
«Ma non quello, non che qualcuno si scopava sua moglie. Uno non dice queste cose. Tu lo diresti?»
«Ma dai!» Goldmunsen indicò il povero Chris, piangente a terra. «Guardalo!»
Flake gli lanciò un’occhiata di disgusto. «Non lo avrebbe comunque detto, che un altro gli scopava la moglie. Non è nella natura umana. Non te la inventi, una cosa così.»
Goldmunsen alzò le braccia al cielo. «Cristo, e adesso che cosa cazzo facciamo?»
Flake dava calci al terreno con la punta della scarpa. «Be’», disse. «Di sicuro puoi scordarti di andare da Lucky, stasera.»
49
«Santo cielo», ripeté Bishop.
Avanzò a passi lenti nel capannone e perlustrò ogni centimetro dell’apparecchio che stazionava minaccioso sotto le luci al neon.
«È bellissimo o no?» disse Hirschorn alle sue spalle, sorridendo.
Bishop non rispose, ma «bellissimo» non era la parola più adatta. In quel punto sperduto di una sconfinata distesa di foreste, a Bishop sembrava di trovarsi davanti a un’enorme locusta, un insetto venuto dallo spazio, cattivo almeno quanto era grosso. Il parabrezza, come un occhio incupito dal riflesso della notte, sembrava scrutare con diffidenza l’uomo che si avvicinava. I grandi rotori spioventi e le corte ali, benché immobili, parevano pronti a un attacco feroce e fulmineo.
Era da molto che Bishop non ne vedeva uno da vicino: un Apache Longbow AH-64D, un elicottero da guerra in dotazione all’esercito. Questo era completo di missili, e che missili: i missili terra-aria conosciuti con il nome Hellfire, fiamme dell’inferno. Ce n’erano quattro (su una capacità di otto) sotto ognuna delle ali. Per non parlare delle mitragliatrici da 30 mm che sbucavano da sotto la fusoliera.
Bishop si accostò al muso dell’elicottero. Nella mano sinistra teneva ancora la borsa da viaggio, e quindi alzò la destra per passarla sulla fredda armatura metallica. Scosse lievemente la testa: Hirschorn doveva aver speso milioni di dollari per procurarselo, e di sicuro c’erano volute settimane per farlo arrivare di nascosto fin lì. Guardò, senza celare una certa ammirazione, il vecchio dai capelli argentei rimasto nell’ombra, fuori del raggio delle luci.
«Chi è lei, Hirschorn, una specie di terrorista?» chiese con voce pacata.
L’altro si irrigidì. «Ehi, attento a come parli, sono americano al cento per cento.»
«D’accordo, ma, se mi è permesso chiederlo, che cosa cazzo vuole farci con questo aggeggio?»
Hirschorn si rilassò e rise. «Sii paziente, amico. Ti sarà spiegato tutto. È una missione semplice: si va e si torna. E io sarò con te per tutto il tempo.»
«Semplice…» gli fece eco Bishop. Guardò di nuovo l’elicottero, e sul suo viso tornò la caratteristica espressione maliziosa. «Posso dare un’occhiata alla cabina?»
«Certo», rispose Hirschorn in tono cordiale. «Fai pure. Voglio che ti senta a tuo agio.»
Bishop non lasciò a terra la borsa ma la issò sopra una delle piccole ali del velivolo prima di salire a sua volta. Aprì il portellone, buttò la borsa sul pavimento e si abbassò per prendere posto sul sedile del pilota. Attraverso il parabrezza, le persone nel capannone erano solo delle sagome ritagliate nella luce al neon.
«Dio onnipotente», disse a voce alta.
Un altro uomo, al suo posto, avrebbe forse perso la testa, chiedendosi in che diavolo di storia era andato a cacciarsi, per di più in un posto così sperduto. Ma Bishop era calmo; in quell’istante provava persino una sensazione di sicurezza. Qualunque fosse la missione che intendevano compiere con quella macchina da guerra, lui l’aveva già mandata a monte, almeno per quella notte. Perché era l’unico pilota che avevano a disposizione, e di certo avrebbe preferito farsi sparare piuttosto che far volare quella roba nei cieli di casa sua. Il problema era che, se si fosse rifiutato, quelli gli avrebbero sparato sul serio. Dunque la prima cosa da fare era levare il culo di lì e comunicare a qualcuno il nascondiglio di quel mostro.
Non sarebbe stata un’impresa facile, con i due uomini armati all’interno del capannone e altri, probabilmente, fuori. Così, senza scomporsi, per precauzione Bishop abbassò la mano — che era fuori dalla vista degli scagnozzi — fino alla cerniera della borsa da viaggio e cominciò ad aprirla. Intanto, controllò i vari sistemi operativi del mezzo. Notò che erano incompleti. Dovunque avessero comprato o rubato quel velivolo, non erano riusciti a ottenere la strumentazione da guerra completa, per esempio i sistemi antiradar. Ma il GPS e i sistemi di puntamento computerizzati erano a posto: sembrava proprio che avessero intenzione di usarli, quei missili Hellfire.
«Dio onnipotente», ripeté Bishop.
Estrasse il computer dalla borsa, se lo mise in grembo e lo accese. Mentre lo faceva, continuava a girare la testa in ogni direzione e a mettere le mani sui vari comandi, per far vedere, se stavano osservandolo, che stava davvero esaminando l’apparecchio. Pensò che Hirschorn, essendo così orgoglioso del suo gioiello, gli avrebbe dato il tempo di ispezionarlo per bene.
Non appena il computer si fu avviato, Bishop aprì il programma di posta e si accorse, finalmente, di non aver spedito l’ultimo messaggio che aveva scritto. Questo fatto lo turbò per un istante e gli fece maledire Kathleen, che l’aveva distratto dal suo lavoro. Così, Weiss non sapeva che era partito con Hirschorn.
D’altro canto, avere un messaggio pronto ora gli permetteva di agire più velocemente. Lo aprì.
Weiss, ha funzionato. Wannamaker è fuori, io sono in gioco. Stasera alle sei sarò in volo verso una destinazione ignota. Quando sarò là, mi daranno le istruzioni sul mio incarico e ti farò sapere. Se abbiamo fortuna, possiamo portare a termine la missione senza comprometterci…