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Muovendo le dita nel modo più impercettibile che gli riuscì, aggiunse: «c150kmnoah-64d».

Non ci fu il tempo di scrivere altro, perché Hirschorn gli stava facendo segno di scendere.

«Dai, Kennedy! Avrai tutto il tempo per giocarci. Ora dobbiamo metterci al lavoro.»

Bishop premette il comando di invio e attese per alcuni secondi che gli sembrarono secoli, perché Hirschorn lo aspettava lì fuori. Il computer stava ancora aspettando il collegamento e Bishop pensò che avrebbe potuto aspettare all’infinito, in quella zona sperduta. Avrebbe provato a inviare l’e-mail fino all’ultimo impulso di vita delle batterie.

Mise il palmare sul pavimento dell’elicottero e lo spinse sotto il sedile, ben nascosto. Il tentativo di invio era ancora in corso.

Un attimo dopo scese dal velivolo con la sua borsa in mano e si avviò verso Hirschorn.

«Volevo cominciare a fare conoscenza», disse.

«Oh, non mancherà l’occasione», rispose il vecchio, e gli diede una pacca sulla spalla sorridendo con i suoi denti bianchissimi. «Credimi. Chase, mostra a Kennedy i suoi alloggi.»

Chase era uno dei due uomini che li avevano scortati. Fece segno a Bishop di seguirlo con la torcia che teneva nella mano destra, mentre l’altra non abbandonava la mitraglietta.

«Dopo di te», disse con voce rauca.

Bishop andò con lui mentre Hirschorn e l’altro uomo armato rimanevano nel capannone per spegnere le luci e chiudere la porta.

Avanzarono lentamente fra gli alberi, alla luce della torcia che illuminava il cammino di Bishop da dietro. Chase non era uno sprovveduto e si teneva a una giusta distanza, in modo da non farsi cogliere di sorpresa. In effetti, Bishop aveva pensato di stordirlo, prendergli l’arma e scappare tra gli alberi. Se fosse riuscito a tornare al Cessna e a farlo partire, sarebbe potuto tornare in città per raccontare dell’elicottero alla polizia. Ma Chase era prudente, e a Bishop non rimase che aspettare.

Così raggiunsero la baracca a due piani con una scala su un lato. Bishop era ancora abbastanza tranquillo, pronto ad aspettare un’occasione migliore per filarsela, certo di avere ancora un po’ di tempo.

Sempre che Chris fosse morto, e che gli avessero sparato prima che tornasse in sé e raccontasse tutto. In questo caso, Bishop calcolava di avere tutto il tempo necessario.

50

In quel momento Weiss entrò in ufficio, e si accorse subito che qualcosa non andava. I pensieri che gli affollavano la mente si zittirono, lasciando il posto alla cautela. Si fermò sulla soglia, gli occhi fissi nel buio.

L’Agenzia era chiusa, erano passate le otto. Le luci erano spente e dalle stanze non proveniva alcun rumore. Eppure l’istinto, il suo istinto da poliziotto, gli diceva che non era solo.

Il corpulento detective, che sapeva muoversi con la massima leggerezza, quando voleva, percorse il corridoio nel più assoluto silenzio. Arrivato allo stanzino della posta, distinse grazie alle luci notturne della città le sagome della fotocopiatrice e del fax. Contro la parete c’era la mia scrivania e, abbandonato su di essa, c’ero io.

Nel vedermi Weiss si calmò, cercò l’interruttore e accese la luce. Gli si presentò lo spettacolo della mia persona seduta in posizione scomposta, incosciente, la testa tra le braccia sul piano della scrivania. Negli occhi dell’investigatore passò un lampo di stizza. Avevo interrotto il filo dei suoi pensieri, i suoi tentativi di prevedere le mosse di Shadowman. Con un sospiro afferrò la bottiglia di whisky posata accanto al mio gomito. La prese e si accorse che ce n’era ancora più della metà. Perciò ritenne che non fossi ancora morto e mi scosse senza molti riguardi.

«È pulito!» urlai, raddrizzandomi di botto, con la luce che mi feriva gli occhi.

Weiss mi fece oscillare la bottiglia di J B davanti alla faccia. «Ti ho insegnato a bere qualcosa di meglio di questa robaccia.»

Strabuzzai gli occhi. Weiss? C’era Weiss lì con me? «Weiss!» dissi con la voce impastata, guardando la bottiglia con gli occhi stretti a fessura. «No, no, va tutto bene. Ho finito.»

«Sì, hai finito di sbronzarti, direi.»

«Ho fatto tutto, ho solo pensato di…» Cercai di ricordare che cos’avevo pensato di fare.

«Svenire sulla scrivania?» suggerì Weiss. «Va bene, io sono favorevole a queste cose, danno all’Agenzia un certo fascino.»

Risi come un idiota, con la testa che mi girava come un mulino a vento. Che grand’uomo era Weiss, veramente un grand’uomo. Ma che cazzo stava cercando di dirmi?

«Ho controllato», cercai di spiegargli, sempre stringendo gli occhi irritati dalla luce. «Ho scritto il rapporto. Lui è pulito, a posto.»

Weiss depose nuovamente la bottiglia sulla scrivania. «È del caso Strawberry che stiamo parlando?»

«Certo.» Mi passai le mani sul viso cercando di chiarirmi le idee. «Il prete, il fratello del governatore.»

Weiss alzò il mento; stava iniziando a capire. «È lui che è pulito? La sua testimonianza è corretta, è questo che vuoi dire?»

«Sì, proprio questo», risposi, gesticolando in modo così plateale che quasi caddi dalla sedia. «Sì, tutto a posto, tutto controllato.»

«Benissimo.» Weiss annuì e prese un plico di carte dalla scrivania. «Ed è tutto qui nel tuo rapporto, vero?»

«Assolutamente, tutto lì, nel rapporto, non manca niente…» Le parole mi uscivano sempre più ingarbugliate.

Weiss guardò l’orologio e si accigliò. «D’accordo, ragazzo, ti restano venti minuti prima di iniziare a vomitare l’anima. Che ne dici di risparmiare la donna delle pulizie e cercare di arrivare a casa prima?»

Decisi di provare ad alzarmi, ma non fu così semplice. Neanche allontanarmi dalla scrivania fu facile. Weiss restò in corridoio a osservarmi mentre avanzavo barcollando verso la porta. Andavo piano, ma oscillavo pericolosamente da una parete all’altra e infine dovetti fermarmi un attimo per aspettare che il mondo ritornasse diritto.

Weiss mi tenne d’occhio fino all’uscita. Aveva il rapporto in mano e sorrideva con l’angolo della bocca. Sospirò. Era un po’ deluso di me; gli ero sembrato più acuto, più promettente. Aveva creduto che mi sarei accorto dell’incongnienza sul particolare della calvizie, e avrei scoperto dove si trovava veramente il prete al momento della rapina. Secondo lui era probabile che il reverendo fosse a casa di una ragazza, o anche di un ragazzo, perché no, dopotutto eravamo a San Francisco. Ora, invece, doveva dire a Sissy che nel mio primo caso avevo fatto cilecca. Doveva controllare il testimone lei stessa, scoprire la verità.

Riuscii ad aprire la porta, a superarla e a raggiungere l’ascensore. Scesi con la testa appoggiata a una delle pareti e gli occhi che si chiudevano, per poi spalancarsi quando la testa ricominciava a girare. L’ascensore arrivò al piano terra e io mi proiettai nell’atrio. Mi buttai di testa contro il portone, come uno che lotti contro un forte vento, e dopo un’ultima spinta mi ritrovai nelle nebbiose vie della città.

Con le mani in tasca e la testa bassa, attraversai a passo malfermo Market Street. La luce dei fari delle auto faceva intravedere una fitta pioggerellina. Il fracasso di un tram coprì per un attimo il sussurro ininterrotto del traffico. Lasciai la via affollata alle mie spalle e imboccai una laterale, più buia e tranquilla. L’oscurità sembrava aver avvolto anche le mie budella, il whisky aveva offuscato le mie sensazioni, ma non abbastanza. Non credo di avere veramente percepito la delusione di Weiss, ma non ce n’era bisogno. Ero io stesso a essere deluso di me. Anzi, ero disgustato del mio comportamento, della mia debolezza, della mia falsa moralità. L’aiuto fornito al reverendo O’Mara, il fatto di mentire per lui, avevano siglato il mio fallimento come investigatore. Avevo sperato, iniziando a bere, di scacciare la vergogna che provavo, ma non era stato così. Non mi sarei mai perdonato.