«Va tutto bene», disse, sempre in quello strano tono di voce. «Dobbiamo solo andare via per un po’, non ci sono problemi. Nessuno ti farà del male. È solo finché tutto non sarà finito.»
Kathleen stava ancora piangendo. «Chris», disse. «Perché?»
«Su, andiamo», rispose lui. «È tutto a posto. Davvero.» Si avviarono verso la porta.
Dietro di loro erano iniziate le pubblicità. Un papà era a tavola e una mamma gli serviva una minestra calda, sorridendo a lui e ai due frugoletti, un maschio e una femmina. Non c’era audio, solo il canto dei grilli, il cane che abbaiava, e i singhiozzi di Kathleen stretta al petto del marito.
Chris la portò nell’ingresso dove c’erano i due uomini. Flake era entrato dal retro, Goldmunsen dal davanti. In quel modo avrebbero bloccato qualsiasi tentativo di fuga.
Ma Kathleen non tentò di fuggire. Non gliene importava più nulla. Perché doveva affannarsi a tentare? Si lasciò portare fuori, nella sera calda, verso la macchina nera. Esitò un attimo quando la vide, quando venne il momento di lasciare il vialetto di casa sua. Era tutto orribile, l’auto e Chris che la spingeva verso la morte. Tentò di fermarsi, ma lui la teneva stretta.
«Va tutto bene, Kathleen», ripeté l’uomo, assente.
I tre la fecero salire e partirono. A lei non importava più niente di che cosa sarebbe successo.
52
Bishop stava aspettando il momento propizio per attaccare l’uomo che lo scortava. Erano nella baracca, nella stanza al primo piano, una lunga stanza quasi completamente vuota. C’erano un paio di materassi, un tavolino quadrato, alcune sedie. Dal soffitto pendeva una lampadina nuda.
Chase si sedette al tavolino e inclinò la sedia all’indietro. La lampadina, direttamente sopra di lui, lo racchiudeva in un cerchio di bruschi contrasti luce-ombra. Era un uomo possente, con il torso come una piramide rovesciata e la testa come un masso appoggiato sulla base. Non toglieva mai le mani dall’arma che aveva a tracolla, e non toglieva mai gli occhi di dosso a Bishop.
Bishop era di fronte a lui, appoggiato alla parete opposta, con una gamba piegata all’indietro e la pianta del piede sul muro. Aveva un braccio posato all’altezza della vita, e dalla sigaretta che teneva in quella mano saliva lentamente un filo di fumo. Stava riflettendo su un certo numero di interrogativi: si chiedeva che cosa uno come Hirschorn stesse meditando di fare con un elicottero da guerra. Si chiedeva se sarebbe riuscito ad andarsene in tempo per fermarlo, e se al momento dell’azione avrebbe dovuto uccidere questo Chase.
Dopo un po’, si mosse e andò verso una delle finestre. Scostò leggermente la veneziana per sbirciare fuori. Il secondo uomo della scorta, un nero altissimo, era di guardia all’ingresso del piano terra. Si stava svolgendo una specie di riunione, di sotto, se ne sentiva il rumore. Bishop udiva le voci, quella di Hirschorn e almeno altre due. Ciò voleva dire che gli uomini armati erano probabilmente quattro. Qualsiasi cosa avesse deciso di fare, doveva essere veloce e silenzioso per non metterli tutti in allarme.
Lasciò ricadere la tenda e fece vagare lo sguardo per lo stanzone. C’era solo una porta, che dava sulla scala esterna. In fondo alla scala c’era il nero di guardia. Non c’era modo di evitarlo: un bel rompicapo.
Si rivolse a Chase.
«Che ne dici se esco sulle scale a prendere una boccata d’aria?» chiese.
«Che ne dici di restare qua?» disse Chase con una voce inespressiva. «Di aria qui dentro ce n’è abbastanza.» Oscillava avanti e indietro sulle gambe posteriori della sedia, senza perdere di vista Bishop.
Bishop gli si avvicinò con passo rilassato e Chase lo guardò con un sorriso di pietra sulla faccia di pietra. Lo divertiva l’idea che l’altro potesse tentare qualcosa.
«Che cosa significa?» insistette Bishop. «Sono prigioniero?»
«Solo nel senso che se cerchi di uscire io ti uccido.»
«Capisco», disse Bishop. «Per un attimo, ho creduto di dovermi preoccupare.»
Girò prima di essere troppo vicino a Chase; non c’era modo di sorprenderlo, era troppo vigile. Si mosse verso l’altro lato del tavolino, sempre seguito dagli occhi di Chase e dalla canna della sua mitragliatrice.
«Non penso che uccidermi sarebbe una buona idea», proseguì Bishop.
«Ehi, amico, non criticare le mie idee», replicò Chase. «Abbatte la mia autostima.»
Bishop mise le mani sullo schienale della sedia che stava di fronte all’energumeno. Si domandò se era abbastanza veloce per alzarla e arrivare a rompergliela sulla testa. Probabilmente sì, ma comunque Chase avrebbe sparato ammazzandolo. E questo era un bell’inconveniente per il piano.
«Voglio dire che sarebbe un po’ difficile per il nostro Hirschorn trovare un altro pilota così in fretta.»
«Certo», replicò Chase. «Ma sarebbe un po’ difficile anche per te ritornare in vita.»
«Capisco il tuo punto di vista.» Invece di alzare la sedia per colpire, Bishop vi si sedette. Prese il pacchetto di sigarette dalla tasca della camicia e lo buttò sul tavolo. «Serviti pure», disse. Pensò che se l’altro si fosse sporto in avanti, forse sarebbe riuscito a spezzargli prima il braccio e poi il collo.
Ma Chase non si avvicinò. Il sorriso di pietra si fece più ampio. «Ehi, sai cosa penso?» disse.
Bishop rifletté un momento. «No», rispose. «Che cosa pensi?»
«Penso che stai cercando di fregarmi.»
«Davvero?»
«Davvero.»
«È incredibile. E perché dovrei?»
«Ah, non chiederlo a me», continuò Chase. «Se sei furbo, stai seduto lì e fumati le tue sigarette. Ti verrà il cancro, ma vivrai più a lungo.»
Bishop sorrise appena, si portò alle labbra la sigaretta — ormai consumata fino al filtro — e tirò un’ultima lunga boccata. Poi gettò il mozzicone a terra e lo schiacciò sotto il tacco. Tutto sommato, pensò, era davvero meglio ucciderlo, quello lì. Era troppo abile per correre rischi.
Gli occhi dei due uomini si incrociarono. Chase sapeva che cosa Bishop stava pensando. Lo sapeva, eppure non smetteva di sorridere. Il che probabilmente non era un buon segno.
Non importava. Qualsiasi cosa Bishop stesse progettando, non l’avrebbe messa in atto in quel momento, perché proprio allora si udì un suono dall’esterno, un ritmico battito nell’aria. Un elicottero, un piccolo Jet Ranger o qualcosa di simile, che si avvicinava a bassa quota. Era molto vicino e molto basso: probabilmente doveva atterrare sulla vicina pista.
«Aspettate qualcuno?» chiese Bishop.
Chase non rispose: non ce n’era bisogno. Bishop gli leggeva in faccia la sorpresa.
La mente di Bishop iniziò a correre. Chi può arrivare qui senza essere atteso? Non sembrava il rumore di un elicottero della polizia. Ma nessun altro avrebbe potuto trovare quel posto senza conoscerlo e ciò significava che doveva essere qualcuno della banda di Hirschorn, qualcuno che con tutta probabilità portava delle notizie, notizie inattese e molto urgenti.
Ciò a sua volta significava che Chris doveva essersi svegliato in tempo per rivelare chi era Frank Kennedy, chi era e che cosa stava combinando.
E ciò significava, infine, che il tempo a disposizione di Bishop era appena finito.
53
Weiss era sempre immobile davanti alla finestra, con gli occhi fissi sulla città e la nebbia, le mani in tasca, il mento abbassato sul petto. Seguiva l’avanzare lento di una motocicletta che si faceva strada in un incrocio fitto di macchine.
Una luce pallida e bianca proveniva dalla scrivania, dal computer acceso dietro di lui. Non erano arrivati messaggi di Bishop, e questo lungo silenzio non faceva che alimentare il fuoco del senso d’urgenza che lo invadeva. Conoscendo Bishop, voleva dire che si trovava in un posto dal quale non poteva comunicare. Il che significava che, contravvenendo alle precise istruzioni di Weiss, era riuscito a conquistarsi la fiducia di Hirschorn e si stava avvicinando al cuore della sua attività criminale. Qualsiasi cosa stiano organizzando, accadrà presto. C’è poco tempo, farò del mio meglio. JB.