Poco tempo. Ma quanto poco? Cos’era che stavano organizzando? È che cosa c’entrava con Whip Pomeroy, Julie Wyant, Shadowman?
Weiss stava alla finestra, immobile a guardare giù. Vide un uomo in impermeabile nero che camminava velocemente sul marciapiede. Quando passò sotto la luce di un lampione, la sua figura si delineò per un istante, curva per difendersi dalla pioggia, poi scomparve nell’oscurità e nella nebbia. Weiss non si mosse, continuò a fissare il punto in cui l’uomo era apparso.
La sua mente tornò a quando, poche ore prima, in auto, aveva capito qualcosa di Shadowman, del suo veleno, della logica del suo mostruoso furore. Ricordò che Bishop aveva parlato di una lunga scia di morti dietro la scalata al potere di Hirschorn. Che fosse stato proprio Shadowman l’artefice materiale di tutti quegli omicidi? Forse allora Hirschorn era in debito con Shadowman, o addirittura gli doveva tutto. E aveva paura di lui, come chiunque. E se Shadowman avesse di colpo preteso il saldo del suo credito? Poteva diventare l’incubo della vita di Hirschorn, che di certo avrebbe fatto qualsiasi cosa per liberarsi di lui.
Ma che cosa poteva avergli chiesto Shadowman?
Weiss lasciò correre i pensieri. Pomeroy. Whip Pomeroy era la chiave. Pomeroy e il suo segreto, l’identità nuova di Julie, il nome che aveva attualmente. Pomeroy che aveva assistito all’umiliazione di Shadowman. Weiss sapeva che l’assassino doveva uccidere Whip per quel motivo. Torturarlo per estorcergli il nome di Julie e poi ucciderlo, perché aveva sentito. Pomeroy lo sapeva ed era così terrorizzato da arrivare a barattare i segreti del suo lavoro in cambio della segregazione nel carcere più sicuro del paese… eppure, aveva ancora una paura folle. «Non potete proteggerci, né me né lei. Non potete proteggere nessuno. Niente può fermarlo, niente», aveva detto.
Weiss mosse leggermente la testa e alzò lo sguardo dalla strada alla cortina di pioggia e nebbiolina davanti a lui. Nessuno può fermarlo. Ridicolo, pensò. Il carcere di North Wilderness era impenetrabile. Se Shadowman, o chiunque altro, poteva arrivare abbastanza vicino a Pomeroy da fargli confessare il suo segreto, allora Weiss era il re di Romania.
Eppure… eppure continuava a sentire quel furore, quel veleno, quell’irrefrenabile odio. Il furore personificato, trascinato dall’amore. Che cosa non avrebbe potuto fare? Weiss guardò giù nella nebbia e pensò: il Furore. Il Furore innamorato.
Proseguì in quella direzione. Se era possibile, come sarebbe avvenuto? Se il furore e l’amore ti obbligavano ad agire, se Julie doveva essere trovata per forza, se Pomeroy doveva morire a tutti i costi. Era una cosa complessa. Non si poteva certo corrompere una guardia o un altro prigioniero per far parlare Pomeroy. No. Bisognava entrare, stargli vicino, avere il tempo di estorcergli il segreto. Bisognava guardare quell’uomo negli occhi per capire se diceva la verità.
Weiss si accigliò, con lo sguardo sempre fisso nella notte, ma senza vedere più nulla. Il modo più facile sarebbe stato minacciare la famiglia di Pomeroy, i suoi amici, fargli sapere che avresti fatto loro del male se non cedeva. Ma era inutile, perché Weiss si ricordava delle parole di Ketchum: Pomeroy non aveva amici, e Moncrieff era stato la sua unica famiglia.
Il possente torace di Weiss fu scosso da un sospiro. Quindi la soluzione era una sola. Shadowman doveva introdursi nella prigione. Doveva ottenere un lavoro come guardia o qualcosa del genere. Ma nell’esaminare questa possibilità, Weiss scosse la testa. Si ricordò di aver letto che le guardie di North Wilderness erano accuratamente selezionate; dovevano avere anni di esperienza, mesi di addestramento. Non si potevano falsificare le credenziali a tal punto.
«No», disse a voce alta; la cosa era impossibile, quella di Pomeroy era paranoia.
Eppure c’era quel furore. Il veleno che era arrivato a percepire prima, in macchina. La logica di quel furore. Weiss rimase immobile, le mani in tasca. Riportò lo sguardo a fuoco, sulla nebbia e i suoi movimenti sinuosi, vorticosi. Vide le sagome che passavano veloci in basso, e le luci che trapassavano la foschia, circondate di aloni e arcobaleni.
Gli tornò in mente Julie, i suoi occhi sognanti e lontani, quel gesto con cui lo chiamava dallo schermo del computer. Per un attimo fu accanto a lei al Golden Gate, gli parve di vederla mentre abbandonava l’auto, si metteva la parrucca e prendeva possesso della nuova macchina e dei nuovi documenti che Pomeroy doveva averle fornito.
Poi si sentì vicino a Pomeroy, in cella, in attesa, terrorizzato.
Poi fu con Shadowman. E quel furore…
C’era solo un altro modo per entrare in prigione, pensò. Il modo più facile, il modo in cui ci vanno tutti.
Allora Weiss alzò gli occhi, li alzò finché non vide più quel che c’era fuori, ma solo il proprio riflesso.
«Oh, cazzo», sussurrò.
Poi lasciò rapidamente la finestra e si avvicinò alla luce bianca dello schermo.
54
Dall’esterno cominciavano a giungere dei rumori: voci che chiamavano, una risposta soffocata. Bishop si alzò in piedi.
Chase, sempre inclinato all’indietro sulla sedia, impugnò più saldamente l’arma. «Non muoverti», gracchiò.
Bishop lo ignorò, tornò alla finestra e guardò tra le stecche delle veneziane.
Eccoli: avanzavano fra gli alberi in direzione della baracca. Chris e Kathleen, l’assistente di Hirschorn, Alex Wellman, e i due scagnozzi, Goldmunsen e Flake, a chiudere la fila.
L’uomo di colore era in attesa vicino alla porta e in quel momento uscì anche Hirschorn. Altri due uomini armati, in tuta mimetica, lo seguirono. A un comando di Hirschorn, si mossero in direzioni opposte e scomparvero alla vista di Bishop.
Chris stava già gesticolando, parlando a Hirschorn mentre si avvicinava. La sua voce arrivava chiara nella stanza superiore e Bishop sentì quasi subito il suo falso nome, Kennedy. Ecco, era fatta. Quella certezza parve scendergli nella pancia come un sasso: era finita. L’avevano scoperto.
Bishop pensò che Chris ci avrebbe messo due minuti a convincere Hirschorn, poco più. Poi sarebbero arrivati per spaccargli la faccia e farlo parlare. Oppure l’avrebbero semplicemente ucciso, chi poteva dirlo? In ogni caso, era giunto il momento di andarsene.
In quell’istante il suo sangue freddo gli fu prezioso. Riuscì a girarsi senza scatti e a recitare la sua parte con disinvoltura.
«Pare che arrivino i rinforzi», disse con tono tranquillo. «Che diavolo avete in programma stanotte, un’invasione?»
«Siediti e basta», rispose Chase a voce bassa, con il mitra sempre puntato sul petto di Bishop, che si strinse nelle spalle.
Là fuori, Chris stava raccontando tutto. Che Bishop aveva sedotto Kathleen, che lei aveva cominciato a spiarli, e chissà che altro. Proprio in quegli istanti, Hirschorn stava cominciando a intravedere la verità, a capire cos’era successo. Bishop lo sapeva, eppure tornò verso la sedia senza fretta, seguito passo dopo passo dal mitra di Chase.
Raggiunse la sedia. Aveva forse ancora un minuto, quarantacinque secondi. Magari anche meno. Si sedette con un sospiro pigro. Da un momento all’altro avrebbe sentito i passi sulla scala, la porta si sarebbe spalancata… Rivolse a Chase un mezzo sorriso. «Mi sembri teso, amico», disse calmo. «Dovresti…»
E mentre Chase aspettava di sentire quale stronzata Bishop volesse dirgli, quest’ultimo gli rovesciò il tavolino addosso. Chase volò all’indietro, con le gambe in aria, insieme alla sedia e al tavolo. Bishop doveva spostarli per raggiungerlo: in quel momento Chase riuscì a rimettere le mani sul mitra e aprì la bocca in un ruggito.