Venne percorsa da un brivido e incrociò le braccia sotto il seno, rassegnata. Mosche e zanzare le ronzavano intorno ma lei non ci faceva caso. Perché prendersela? Tra poco sarebbe morta.
Guardò la distesa d’acqua. Sopra di loro si vedeva il cielo, e anche la luna, ancora bassa sull’orizzonte. Distingueva alcuni gruppi di canne e giunchi e il riflesso delle stelle. Tutto questo, attraverso il velo delle sue lacrime.
Scosse la testa davanti a quella scena notturna, con una smorfia amara. A che serviva tutto questo, se nessuno ti amava? Forse avrebbe dovuto chiedere agli uomini di abbandonarla come aveva fatto suo padre, a suo marito di picchiarla, al suo amante di mentire. Forse, allora, sarebbero stati affidabili, gentili e sinceri solo per farle dispetto, per spiazzarla. Chi cazzo poteva saperlo? Ma chi ci capiva niente, poi, della vita?
Rabbrividì ancora, di freddo. Gesù, perché non si sbrigavano?
Si voltò per affrontare quei bastardi, ma si accorse che era arrivata lì così velocemente da lasciarli indietro. Goldmunsen stava ancora scendendo il pendio, appesantito dalla sua mole, agitando un braccio per non perdere l’equilibrio mentre con l’altro teneva la pistola. Per lui, l’omicidio doveva essere un’abitudine. Flake la stava raggiungendo da sinistra, tenendosi fuori dall’acqua per non bagnarsi le scarpe. Continuava a saltellare, come se l’energia da psicopatico che aveva dentro minacciasse di farlo esplodere. Aveva il volto eccitato, di chi pregusta qualcosa, la bocca contorta in un ghigno di piacere all’idea di quello che stava per succederle.
Anche quei due, Kathleen pensò, erano due vigliacchi figli di puttana, nulla di più. Le facevano schifo.
«Maledetti bastardi», urlò. Detestava che la vedessero piangere, ma non riusciva a smettere. Era troppo terrorizzata e infelice. «Ma guardatevi!»
I due, stranamente, obbedirono e si fissarono come idioti. Lei avrebbe riso, se ci fosse riuscita.
«Se fossi in voi mi vergognerei di respirare, di sprecare l’aria degli altri», disse, e i due uomini la guardarono visibilmente stupiti. Kathleen aveva il volto alterato dalla rabbia. «Forza, bastardi, sparate. Che cosa state aspettando? Non ne posso più di avervi davanti.»
Flake non credeva alle sue orecchie. Guardava la donna e guardava Goldmunsen, con la bocca aperta, sconvolto.
«Bene, l’hai voluto tu», disse infine. Spostò la torcia dalla mano destra in quella sinistra, per poter estrarre il coltello a serramanico. Lo aprì e cominciò a balbettare: «Io… io la faccio a pezzi». Non riusciva quasi a parlare.
Kathleen lo guardò sprezzante. «Forza, grand’uomo», disse.
Flake si mosse verso di lei, ma Goldmunsen era stufo di lui. Era stata una giornata lunga, e aveva già assistito alla stessa scena con il marito di quella puttana. Due passeggiate come quelle nello stesso giorno, e ancora non era morto nessuno. Non ne poteva più, di Flake e di tutta quella storia.
«Piantala, Flake, dacci un taglio!» disse.
Il tono della voce costrinse l’altro a fermarsi. Era vicino all’acqua e guardava la donna con un odio profondo.
«Stai fermo, cazzo», continuò Goldmunsen. «E tieni ferma la torcia finché non ho finito.»
Flake esitò, tremando di rabbia.
«Fai come ti ho detto», urlò Goldmunsen. «Ricordati che il signor Hirschorn ci ha detto di sbrigarci.»
Il nome del capo fece desistere Flake, che emise un sospiro. «Va bene, va bene», mormorò. «Merda.» Alzò la torcia fino a illuminare Kathleen in piena faccia. Lei alzò la mano per proteggersi gli occhi, ma poi riprese a guardarli dritto in faccia, con una smorfia di disprezzo nonostante le lacrime. Flake non capiva, come faceva Goldmunsen a non prendersela? Come poteva ucciderla con un semplice colpo di pistola, senza spazzarle via quel ghigno dalla faccia e farle chiedere pietà?
Ma a Goldmunsen non importava proprio niente della donna, della faccia che aveva o di sentirla chiedere pietà. Voleva eliminarla e chiudere la storia. Anzi, arrivò addirittura a fare un mezzo sorriso di ammirazione.
«Hai più palle tu di tuo marito, bisogna ammetterlo», le disse.
Poi, con un gesto fluido, sollevò la pistola e mirò al petto.
E Jim Bishop gli saltò addosso, sbucando dalle tenebre come una pantera.
58
Era arrivato tardi. Anche correndo più forte che poteva in quel buio, aveva trovato la palude solo in quel momento, all’ultimo istante. Non c’era modo di preparare un agguato, doveva attaccare subito. Spiccò un salto, sperando di arrivare addosso al gorilla prima che premesse il grilletto.
Lo raggiunse proprio all’ultimo secondo, deviando il colpo della pistola che si perse nell’oscurità. I due uomini crollarono avvinghiati nel fango.
Per un istante Flake rimase di sasso, completamente sorpreso, con il coltello in una mano e la torcia nell’altra. Vide i due che combattevano, rotolandosi uno sull’altro, ma non riusciva a capire che cosa fosse successo.
Poi se ne rese conto e corse verso di loro, cercando di chiudere il coltello. Non ci riuscì e lo buttò per terra, per affrettarsi a estrarre la pistola dalla fondina.
Era quasi su di loro quando Bishop si sollevò al di sopra della sagoma del gorilla, un perfetto bersaglio per Flake che, da un metro di distanza, gli puntò la pistola alla fronte.
Ma fu Bishop che gli sparò. Lo colpì con la pistola di Goldmunsen, di cui si era impadronito proprio per cercare l’altro scagnozzo. E alzando lo sguardo se l’era trovato davanti: Flake stava ancora prendendo la mira quando Bishop aprì il fuoco. Si udirono tre esplosioni, e tre proiettili raggiunsero il petto dello psicopatico, che barcollò e allentò la presa sull’arma prima di poter rispondere. Ma in un attimo si riprese, e fu pronto a premere il grilletto.
Bishop alzò la mira e sparò di nuovo, questa volta in faccia. I lineamenti di Flake esplosero e il corpo crollò a terra. Era morto, sdraiato nel fango. La torcia che teneva nella sinistra gli era caduta sul petto e lì rimase, a illuminare lo squarcio rimasto al posto del volto.
Ma ora Goldmunsen, sempre a terra sotto Bishop, riuscì a muoversi e a scrollarselo di dosso.
Bishop rotolò sul terreno morbido e si rialzò di scatto. Cercò di prendere la mira nonostante il buio, ma Goldmunsen fu più rapido. Gli assestò un calcio al polso, e la pistola fu sbalzata via.
E Goldmunsen tornava all’attacco. Colpì Bishop di destro alla mascella, senza che questi potesse neppure tentare di parare o evitare il colpo. Lo prese in pieno e fu scaraventato indietro, istupidito dal pugno. Prima che potesse capire, prima ancora che potesse anche solo pensare di reagire, Goldmunsen lo colpì ancora con tutta la forza del suo braccio scimmiesco, un sinistro violentissimo al plesso solare.
Bishop grugnì, sentendosi soffocare. Piegato in due, non riusciva più a pensare, in quel momento di rabbia impotente e frustrazione. Poi Goldmunsen alzò il pugno destro in aria e colpì Bishop sulla nuca.
Il cervello del detective si oscurò. Sentì che cadeva in ginocchio e poi su un fianco, ma niente altro.
Rimase lì, tra le foglie e il fango. Vide Goldmunsen andare verso Flake, cercare la sua pistola. Si rese vagamente conto che era finita, che se non si fosse alzato sarebbe morto.
Ma ad alzarsi non riusciva. La mente non riusciva a pensare con chiarezza, si sentiva svuotato e senza forze. Eppure, facendo ricorso a tutta la sua forza di volontà, ci provò. Appoggiò una mano al terreno e spinse, piegando un ginocchio per tirarsi su.
Non riuscì ad andare oltre. Fu sorpreso così, appoggiato a una mano e a un ginocchio, dalla pistola che Goldmunsen aveva finalmente trovato e puntato fra gli occhi di Bishop.
Non c’era più speranza, era morto. Così diceva la canna nera di quella pistola.