Merda, pensò.
Poi sentì il colpo. Anzi, due colpi sordi che squarciarono la notte.
Guardò Goldmunsen e il gigante ricambiò lo sguardo, con il petto che ansimava. Nei suoi occhi c’era un misto di confusione e stupore, l’espressione di chi non ha capito che cosa sia successo.
Poi fece un passo avanti e cadde pesantemente, sollevando un nugolo di foglie.
Bishop guardò oltre il corpo senza vita del gorilla e vide Kathleen. Aveva trovato la pistola che lui aveva perso e la teneva davanti a sé, stringendola con ambedue le mani tremanti. Gli occhi erano pieni di rabbia, il volto segnato dalle lacrime e contratto in una smorfia d’ira.
Bishop guardò ancora l’uomo a terra, poi Kathleen, e pian piano capì che lei lo aveva ucciso. Annuì. Era andata bene. Meglio di quanto si fosse aspettato, comunque.
Cominciò di nuovo a tentare di alzarsi.
«Non provare a muoverti, figlio di puttana», disse Kathleen, puntandogli la pistola contro. «Tu sei il prossimo.»
59
«Aspetti un attimo», stava dicendo l’uomo all’altro capo del telefono. «Mi faccia capire.»
Weiss si stava stropicciando gli occhi. Era tardi, sicuramente erano da un pezzo passate le dieci. L’ufficio era ancora buio e il computer sempre acceso. Sullo schermo adesso c’era la figura di Julie Wyant, che ammiccava allo spettatore nello spot montato ad anello. Weiss lo faceva girare nel computer e non riusciva a smettere di guardarlo, con una stretta al cuore ogni volta. Lei era chissà dove, e Shadowman la stava cercando. Ogni minuto era prezioso.
«Lei mi chiama a casa di sera per dirmi che c’è un assassino rinchiuso nel mio carcere di massima sicurezza», disse la voce al telefono. Era Roger Nelson, il direttore del carcere di North Wilderness. Aveva una voce asciutta, diretta, di uno che ne ha viste tante. E non sembrava molto felice di sentire Weiss. «Forse la cosa la sorprenderà, ma ce ne sono molti là dentro. In genere l’assassinio è una delle caratteristiche richieste per essere rinchiusi nella mia prigione.»
«La differenza è che questo assassino, Ben Fry, si è fatto rinchiudere apposta», replicò Weiss. «Ha progettato il suo arresto per arrivare a un altro detenuto, Lenny Pomeroy. Ha intenzione di torturarlo per estorcergli un’informazione, per poi ucciderlo ed evadere.»
La ragazza sullo schermo si protese in avanti, una mano dietro la schiena. L’indice dell’altra mano si piegò in un gesto che pareva rivolto proprio a Weiss. L’investigatore si sciolse in quello sguardo angelico. Pensò che aveva gli occhi più profondi che avesse mai visto.
Nelson, nel frattempo, rideva. «Questo sarebbe il piano più diabolico di cui abbia mai sentito parlare, Weiss. Ha solo un difetto, è completamente impossibile. Ha idea di quali sistemi di sicurezza ci siano in quella prigione? Anche se questa storia fosse vera, cosa di cui dubito, quell’uomo non ci riuscirebbe mai.»
«Le dico che può farcela», disse Weiss con voce frustrata. «E ce la farà.»
«Ah sì? E lei come fa a saperlo?»
Weiss alzò gli occhi al cielo in cerca di aiuto, ma l’aiuto non arrivò. Questa era la domanda che temeva, quella per cui non aveva risposta. Come lo sapeva? Intuito, esperienza? Non lo sapeva neppure lui.
«Ho una fonte sicura», mentì infine.
«Chi?»
«Non posso rivelarlo.»
«Buonanotte, Weiss», disse Nelson.
«Direttore…»
«Senta, Weiss», replicò Nelson con tono stanco. «Glielo ripeto solo una volta prima di riattaccare: sia lei, sia ogni altro contribuente dello stato della California potete dormire sonni tranquilli perché l’amministrazione penitenziaria sta facendo tutto ciò che è in suo potere per proteggervi contro i malfattori già sotto custodia. D’accordo?»
Weiss tentò di replicare, ma non ne ebbe la possibilità. Il ricevitore fu appeso e la linea interrotta.
Anche Weiss ripose la cornetta e si passò le dita sulle labbra secche, riflettendo.
La ragazza ammiccava dallo schermo, con i capelli rossi lucenti.
Weiss allungò di nuovo la mano verso il telefono.
60
Kathleen urlò di nuovo: «Tu sei il prossimo, te lo giuro!»
Bishop, ancora inebetito dai colpi, si alzò in piedi, oscillando come l’albero di una barca col mare mosso.
«Non muoverti! Non muoverti!» La voce di Kathleen era rauca e stentorea. A quel suono gli uccelli notturni si alzarono in volo dall’acqua. Anche gli insetti parvero zittirsi.
La donna fece un passo verso Bishop, puntandogli la pistola contro. Aveva i denti scoperti in una smorfia furiosa e allo stesso tempo era scossa da singhiozzi che sembravano soffocarla.
Bishop la osservò con distacco. Osservò la pistola. Vide la donna fare un altro passo verso di lui e guardò il suo volto, considerandolo con attenzione. Poi si guardò intorno, come in trance.
Bizzarra… era davvero una scena bizzarra. Flake morto, sdraiato sulla schiena, con la torcia che illuminava la maschera insanguinata del suo volto. La sagoma di Goldmunsen, morto, appena visibile nell’oscurità. Poi c’era la notte, improvvisamente silenziosa, gli alberi stagliati sul cielo e Kathleen, che alla luce delle stelle avanzava verso di lui con una pistola in mano. Ancora per qualche istante Bishop rimase troppo stordito per rendersi conto che quella donna avrebbe potuto sparargli davvero. Poi, pian piano, si sforzò di chiarirsi le idee. Gli tornò in mente come l’aveva trattata, quanto l’aveva offesa. E cominciò a capire che, in effetti, avrebbe potuto sparargli davvero.
Anche Kathleen pensava la stessa cosa, pensava che avrebbe potuto sparare sul serio anche a lui. Di certo ne aveva una gran voglia. Aveva già sparato all’altro, a Goldmunsen, e si era sentita proprio bene. Se avesse sparato a Bishop, sarebbe stata ancora meglio. Sparare alla gente sembrava farle bene. Anzi, era stufa marcia di non sparare mai a nessuno.
Strinse forte la pistola, tanto che le tremarono violentemente le mani. Vedeva Bishop attraverso le lacrime.
«Sei uno stronzo!» disse. «Lo sai?» La voce fu quasi soffocata dai singhiozzi. «Io ti avrei amato. Io ero disposta a darti il mio amore e tu… mi dicevi solo bugie. Erano tutte bugie, bastardo!»
Bishop guardò la pistola, poi guardò Kathleen, e annuì. Gli sembrava la cosa più giusta da fare.
E invece no. «Stai zitto!» urlò la donna. «Non dirmi di sì! Sei capace solo di dire bugie, stronzo!»
«Senti», tentò di intervenire Bishop. «Hai ragione, ho mentito…»
«Non dirmi che ho ragione, figlio di puttana! Io ti avrei amato.» Continuava ad avanzare, con la pistola puntata su di lui, stringendola così forte che le nocche erano bianche. Il dito sul grilletto era bianco. «Tu invece eri tutto bugie! Come puoi essere così, come puoi far questo alle persone? Che cosa diresti se qualcuno lo facesse a te? Se ti uccidessi, ti dispiacerebbe, vero? Dovrei ammazzarti subito, brutto figlio di puttana.»
Bishop fece una smorfia di dolore. Questa faccenda cominciava a fargli venire il mal di testa. O forse era colpa della faccia, dove l’aveva colpito Goldmunsen: la guancia si era gonfiata e pulsava, irradiando delle fitte insopportabili in tutto il cranio. In più c’erano le urla di Kathleen, una cosa che proprio non sopportava. Odiava quel momento in cui le donne scoprivano la verità e diventavano matte, iniziavano a urlare. Qui poi c’era anche una pistola, che sarebbe bastata da sola a far venire il mal di testa a chiunque.
E adesso… Santo cielo, si sentiva un rumore diverso provenire dalla foresta, in direzione del campo. Una specie di sordo e ritmico colpo di tosse che spostava l’aria. Bishop si girò a guardare.
Dio mio, pensò.
«Guardami! Non voltarti, bastardo, devi guardarmi!» urlò ancora Kathleen.
Era l’elicottero, Bishop lo capì subito. Quel rumore, quello spostamento d’aria: era l’Apache. Avevano acceso i motori.