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Nel momento stesso in cui capì queste cose, gli venne anche un’idea. Non era ancora ben delineata, ma lui non poteva aspettare. Non c’era tempo. Afferrò il telefono e compose in fretta il numero che appariva in alto sulla pratica.

L’uomo che rispose sembrava stanco, come se non fosse abituato a ricevere telefonate di sera e si aspettasse brutte notizie.

«Pronto?»

«Reverendo Reginald O’Mara?»

«Sono io, chi parla?»

Weiss si sporse ancora più avanti, e i suoi lineamenti pesanti furono illuminati dalla luce del computer. Il resto della sua figura curva e tesa era in ombra.

«Mi chiamo Weiss, dirigo un’agenzia di investigazioni.»

Ci fu un lungo silenzio. «Sì», disse il prete infine. «Ho parlato con uno dei suoi, nel pomeriggio.»

«Davvero?»

«Sì.»

Weiss trattenne un attimo il respiro. Stava bluffando, ma doveva tentare. «Volevo dirle che abbiamo deciso di tenere per noi il suo piccolo segreto», disse, e attese una risposta che non venne. Lo stomaco di Weiss si contrasse. Si stava sbagliando? «Il mio cliente andrà in prigione, dove merita di andare, e le persone che lei vuole proteggere, compreso suo fratello, saranno al sicuro. Mi sente?»

«Sì.» Il reverendo O’Mara era ancora diffidente; non era sicuro che si trattasse solo di buone notizie. «E che cosa volete in cambio?»

«Un favore», disse Weiss, svelto. «E non mi fraintenda, non si tratta di un ricatto.»

«No?»

«No. So che lei non ci cascherebbe. Qualsiasi cosa lei decida di fare, il suo segreto è al sicuro. La consideri un’opera buona.»

«Bene», disse il reverendo. «Che cosa vuole, allora?»

«Voglio che lei mi ascolti», disse Weiss con lo stesso tono tranquillo. «Voglio che ascolti quello che le devo dire, e poi mi faccia arrivare al governatore.»

66

Qualche tempo dopo, l’amministrazione penitenziaria della California convocò una commissione d’inchiesta per tentare di ricostruire che cosa fosse successo in seguito, ma neppure dopo quasi tre mesi di indagini si arrivò a saperlo per certo. L’uomo chiamato Ben Fry aveva dovuto superare altri due punti di controllo per arrivare alla cella di Whip Pomeroy. Secondo quanto risultò da un successivo controllo interno, ci aveva messo poco più di mezz’ora, eppure l’agente del controllo quattro dichiarò di non averlo visto. Per di più, al punto di guardia principale non ci si poteva neppure avvicinare senza un complesso sistema di controllo della retina e di doppie chiavi. Non c’erano segni di effrazione, ma entrambi gli agenti di guardia furono trovati morti. Era chiaro che l’uomo chiamato Ben Fry aveva utilizzato la retina di Mike O’Brien. Ma come si fosse impossessato delle chiavi rimase un mistero, come la sua abilità di percorrere i corridoi senza essere visto. Quali che fossero le conclusioni della commissione, non furono rivelate per motivi di sicurezza. Né si seppe con precisione quale fosse l’esplosivo usato dall’assassino per aprire le porte. Anche quello rimase top secret. Pareva si trattasse di una miscela di sostanze piuttosto comuni e le autorità non vollero che l’informazione trapelasse.

Ma su un punto tutti furono d’accordo: una volta che l’uomo chiamato Ben Fry aveva superato il punto di guardia principale, niente lo separava più dall’uomo che cercava. Whip Pomeroy forse non lo avrebbe neanche visto entrare, se non fosse stato svegliato dal rumore della porta che si apriva. Quando ciò accadde, Whip si alzò a sedere sulla branda. Le sue dita delicate cominciarono subito a tremare, le labbra a balbettare. Gli occhi umidi di Pomeroy saettarono qua e là, mentre il suo cuore batteva all’impazzata e la sua mente cercava una spiegazione. Terrorizzato, si alzò a fatica sulle gambe malferme.

E all’improvviso eccolo, l’uomo chiamato Ben Fry, come se fosse una cosa naturale, come se non ci fosse niente di strano. Aveva un’espressione calma, impassibile, un’espressione che terrorizzò Pomeroy più di tutto. L’uomo di nome Ben Fry era lì per fare quello che aveva promesso, e non c’erano possibilità di scampo.

Preso dal panico, Whip emise un singhiozzo e si precipitò in un angolo della cella lasciandosi cadere lungo il muro, fino a crollare sul pavimento. Le sue labbra si mossero sempre più velocemente nel solito sussurro inudibile, finché Whip non singhiozzò di nuovo ed esclamò: «Non te lo dico, non te lo dico!»

«Sì invece», ribatté l’altro, senza affanno. «Sì che me lo dirai.»

Compì un passo in avanti verso la sua vittima.

E in quel momento, grazie a un ordine improrogabile del governatore dello stato, il responsabile notturno della prigione fece scattare l’allarme di emergenza antievasione e l’urlo assordante delle sirene invase l’edificio.

Weiss ce l’aveva fatta.

67

Fu in quel momento che l’Apache arrivò sopra il carcere. Chris controllò il radar e vide la sagoma cruciforme della prigione arrivare al centro dello schermo. Gettò un’occhiata al GPS. Erano a pochi chilometri dal bersaglio. Poco dopo, ecco il contatto visivo. Meno di un chilometro. Le luci del carcere proiettavano un alone bianco dai boschi neri verso il cielo nero.

Manovrando per tenere l’elicottero in assetto, Chris rallentò fino alla posizione di stallo. Il grande insetto rimase sospeso nell’aria, alto quanto la luna al di sopra della foresta.

Hirschorn controllò l’orologio. «Abbiamo ancora due minuti.»

«Ne approfitto per acquisire il bersaglio», rispose Chris.

Hirschorn annuì. Era al posto del mitragliere ma non era quello il suo compito. Non doveva fare niente, solo assistere all’operazione secondo gli ordini dell’uomo chiamato Ben Fry, per essere sicuro che rimanesse segreta fino all’ultimo e che venisse eseguita come programmato.

Ma quando venne il momento di impostare l’attacco con i missili, Chris dovette fare da solo. Fu un po’ faticoso protendersi nel pozzetto dell’artigliere per attivare gli Hellfire, e programmarli per la ricerca bersaglio prima del lancio. Ma, fatto questo, non gli restava che guardare attraverso il monocolo incorporato nel casco. Il casco — dotato di un sistema di puntamento automatico — era la parte dell’elicottero che Chris prediligeva. Si era allenato molto, più di diciotto ore, per imparare a usarlo, ma, una volta capito come funzionava, l’aveva trovato esaltante. Il casco era direttamente collegato ai sistemi di puntamento dell’elicottero, quindi era sufficiente inquadrare nel mirino del casco ciò che si voleva distruggere per programmare la traiettoria degli Hellfire. Bombardare diventava quasi una funzione corporale. E Chris si sentiva come la testa di una qualche creatura mitologica, un drago volante pronto a seminare distruzione con i suoi artigli di fuoco.

C’era una espressione per definire quello che sentiva, ma non gli veniva in mente. Era una specie di bagliore interno. Non si sentiva così da quando non era più nell’esercito. No, per la verità, non si era mai sentito così. Mai. Non fino a quel momento.

Chris alzò la testa e vide la prigione nel mirino. Mise a fuoco la torre di guardia di nord-est.

«Bersaglio acquisito», disse un attimo dopo.

«Un minuto», rispose Hirschorn.

Aspettarono, alla distanza convenuta. Il rumore dei motori impediva loro di sentire le sirene di allarme, ma qualcosa videro. La luce intorno alla prigione divenne più forte, sempre più forte e l’occhio di un riflettore iniziò a scrutare il cielo.

Hirschorn parlò nel microfono. «Luci di intercettazione.»

Ecco che cos’erano. Si stavano accendendo tutto intorno al perimetro della prigione, con fasci potentissimi che spazzavano il cielo coprendo tutta l’area intorno agli edifici.

«Che cosa significa?» chiese Chris.

Hirschorn non rispose. Non lo sapeva. Le luci coprivano quello che accadeva al suolo e così non videro le guardie allertate che raggiungevano i posti di combattimento. Non le videro arrivare alle armerie e preparare i missili antiaereo, che intendevano usare adesso che erano al corrente della presenza dell’elicottero. Chris e Hirschorn non sapevano nulla di tutto ciò.