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Bishop aveva salutato Kathleen senza lacrime, all’aeroporto. Poi era salito sulla Harley e si era dileguato nel tramonto.

Le notizie sull’attacco continuarono ad arrivare per diverse settimane. Le guardie uccise erano state cinque, insieme a un prigioniero colpito durante lo scontro. L’uomo chiamato Ben Fry era sospettato di tre di questi omicidi. Gli altri tre decessi, compreso quello del prigioniero, erano stati provocati dai missili Hellfire.

Altre due persone avevano perso la vita quella notte: il pilota dell’Apache e un passeggero. Dopo pochi giorni furono identificati come Chris Wannamaker e Bernard Hirschorn.

Con la morte del boss, a poco a poco venne alla luce tutta la rete criminale che gestiva. Il controllo della città di Driscoll era solo una minima parte. Era invischiato in traffico di droga, armi, esseri umani su tutta la costa del Pacifico nordoccidentale. Era un’organizzazione costruita sugli omicidi, almeno venticinque, alcuni di delinquenti che avevano cercato di fare le scarpe a Hirschorn. Weiss rimase convinto che Shadowman fosse stato più volte assoldato per compiere quegli assassini e che per questo motivo era diventato la persona che avrebbe potuto distruggere Hirschorn. Sapeva dove aveva nascosto i cadaveri e avrebbe potuto parlare. Weiss era convinto che si fosse servito di tale leva per costringere Hirschorn a collaborare.

Sulla base della testimonianza di Alex Wellman, i federali riuscirono a chiudere molte delle attività illegali di Hirschorn, da Driscoll fino al confine canadese. Ciò che, senza volerlo, fece di Ray Gambling un eroe, l’onesto proprietario di un piccolo aeroporto che aveva chiamato degli investigatori privati per scoprire che cosa Hirschorn facesse con i suoi aeroplani. Nessuno di questi investigatori accettò di essere intervistato e la stampa perse presto interesse nei loro confronti.

Whip Pomeroy si uccise. Weiss, con il suo intuito, aveva capito che l’avrebbe fatto. Aveva cercato di farlo sorvegliare, ma i dirigenti di North Wilderness erano furiosi per essere stati scavalcati dall’intervento del governatore. Il fatto poi che avesse avuto ragione dava loro ancora più fastidio. Così non lo ascoltarono e, dopo circa dieci giorni dall’attacco, Pomeroy si aprì a morsi le vene dei polsi e si lasciò morire. Non poteva più reggere la tensione. Sapeva che, se fosse restato in vita, prima o poi l’assassino sarebbe tornato.

Quanto a lui, all’uomo chiamato Ben Fry, svanì senza lasciare traccia. Nella foresta furono organizzate ricerche con cani ed elicotteri per due settimane, ma di lui nessuna traccia. Il suo volto apparve sui giornali e alla televisione, ma nessuno disse di averlo visto. Dopo un po’, le autorità iniziarono a pensare che probabilmente era morto nella foresta o annegato in mare. Ciò che trascurarono di dire era il fatto che, più studiavano il suo dossier, più capivano che non c’era mai stato un uomo chiamato Ben Fry. La sua identità, le impronte digitali, persino il suo volto a un esame più attento si rivelarono costruiti, falsi. Comunque, la notizia della sua morte divenne più o meno ufficiale e i giornalisti sembrarono soddisfatti.

Con un’unica eccezione: Jeff Bloom, quello del Chronicle che aveva scritto i primi articoli su Shadowman dopo il massacro di South Bay. Jeff disse di avere un informatore segreto che gli aveva rivelato che Shadowman era Ben Fry, o almeno così credevano quelli che l’avevano conosciuto. Scrisse un articolo sull’intera vicenda della prigione dipingendola come una perversa storia d’amore, il tentativo di un assassino di ritrovare la donna che aveva conquistato il suo turpe cuore.

Il direttore del Chronicle non ci credette neanche per un secondo e l’articolo non fu mai pubblicato.

La storia dunque sembrò finire così. Ma ci fu un altro fatto che mi sembra utile descrivere. Lascio al lettore decidere se faccia parte della vicenda oppure no.

Qualche settimana dopo l’attacco alla prigione, San Francisco fu colpita da un’ondata di caldo. Le temperature salirono fin sopra i 40 gradi per tre giorni. Gli uomini che andavano al lavoro camminavano così curvi che sembravano sprofondare nel marciapiede e le donne giravano con abiti sempre più ridotti e la pelle scintillante di sudore.

Poi, una notte in cui il caldo sembrava opprimerci come il corpo in putrefazione di un grosso cetaceo, quando sembrava che non ci sarebbe mai stato un momento di sollievo, arrivò la sospirata nebbia. Invase la città strada per strada, come una cavalleria che alza una polvere fresca con gli zoccoli silenziosi. Mentre i lampioni e le facciate venivano inghiottiti, la temperatura crollò di venti gradi, in meno di un’ora.

«Grazie a Dio», disse la prostituta nell’appartamento di Weiss. Era davanti alla finestra aperta e indossava solo la biancheria. Si lasciò accarezzare il corpo dall’aria ormai fredda e sollevò i capelli della parrucca rossa con entrambe le mani per assaporare la frescura. «Grazie a Dio.»

Weiss era seduto vicino alla finestra, con il bicchiere di scotch in mano. Sorrideva appena alla ragazza, senza entusiasmo. Desiderava che se ne andasse.

Poi, quando fu uscita, fu colto da una profonda tristezza, come spesso gli accadeva dopo questi incontri. Prese la bottiglia di Macallan dal pavimento e si riempì il bicchiere. Un’altra ragazza con un’altra parrucca. Si sentiva meschino e sporco.

Era solo, con il suo scotch, seduto alla finestra. La nebbia premeva sui vetri e le persone in strada erano poco più che ombre. Le auto passavano spandendo una luce gialla e opaca.

Weiss stava portando il bicchiere alla bocca, quando si fermò, scosso da un violento tremito. Improvvisamente, un sudore gelato iniziò a colargli sul collo. Aveva freddo, come se gli fosse venuta la febbre.

Non si trattava di febbre, ma di qualcos’altro, qualcosa di strano. Weiss aveva paura, vera paura e non sapeva il perché. Quel sentimento freddo e viscido gli stava penetrando nelle ossa e nelle vene e lo indeboliva. Qualcosa — una cosa situata ai margini del suo campo visivo — aveva portato una presenza simile alla morte nella stanza. Spostò lo sguardo, lentamente, con riluttanza, come se fosse terrorizzato da quello che avrebbe potuto vedere.

All’angolo della strada, nel raggio giallognolo del lampione offuscato dalla nebbia, distinse la figura di un uomo in impermeabile scuro, quasi immobile. L’uomo guardava verso la finestra di Weiss, lo osservava.

Il respiro di Weiss si arrestò per un istante. Guardava la figura senza riuscire a staccare gli occhi. La bocca gli si prosciugò. Lui si umettò lentamente le labbra con la lingua e deglutì quella che gli pareva, tutto a un tratto, cenere. Fece per posare il bicchiere dello scotch sul bracciolo della poltrona, ma quello s’inclinò e gli scivolò dalle mani. Cadde sul tappeto con un suono tintinnante e il prezioso nettare si trasformò in una macchia marroncina.

L’uomo nella nebbia lo guardava senza interruzione e Weiss ricambiava lo sguardo, quasi ipnotizzato. Pensò alla pistola, la vecchia arma di ordinanza che teneva nel cassetto. Ma non riusciva ad alzarsi, non trovava la forza di fare tre passi nella stanza e andare a prenderla. Era come un uomo prigioniero di un incubo, che vuole urlare e fuggire ma si sente i muscoli mutati in fango. Restò seduto, prigioniero dello sguardo fosco di quella figura, e sentì il gelido alito del terrore che saliva dentro di lui, sempre di più fino a diventare insopportabile finché…

Finché squillò il telefono. Il trillo acuto scosse Weiss e ruppe l’incantesimo, almeno per un istante, ma lui colse quell’istante e si alzò svelto.

Raggiunse la scrivania, alzò il ricevitore con una mano e aprì uno dei cassetti con l’altra. Mentre parlava, estrasse la pistola.

«Parla Weiss.»

«Salve, signor Weiss.» La voce di donna era bassa e calda. Non l’aveva mai sentita.