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Ma Buckmaster viola il silenzio di Shadrach e insiste: — Non ti senti sopraffatto dalla vergogna, Mordecai?

— Senti, Roger…

— Sommerso dal senso di colpa per ogni atto infame della tua vita da traditore?

— Adesso calmati. Cosa ti hanno dato da bere lì dentro, amico?

— Quello che danno a tutti. Solo la droga, la droga, quella droga temporale, qualunque cosa sia. Credi che mi abbiano rifilato hashish? Credi che sia ubriaco di whisky? No, no, semplicemente la droga temporale, e mi ha aperto gli occhi, lascia che te lo dica, me li ha spalancati! — Buckmaster avanza fino a trovarsi a meno di trenta centimetri da Shadrach Mordecai, fissandolo con odio, urlando. Il dolore nel cranio di Shadrach è come di un chiodo che venga martellato dentro in profondità. — Ho visto Giuda tradirLo! — ruggisce Buckmaster, — Ero lì, a Gerusalemme, alla Cena, li ho visti mangiare. In tredici a tavola, eh? Ho versato il vino con queste mani, diavolo nero, ho visto quel sorriso soddisfatto di Giuda, l’ho visto sussurrarGli nell’orecchio, anche, e poi fuori, in giardino, lo sai. Getsemani, là nel buio…

— Non vorresti un tranquillante, Roger?

— Sta’ lontano da me, con le tue sporche pillole!

— Ti stai sovreccitando. Dovresti cercare di calmarti un attimo.

— Sentitelo, cerca di curarmi. Curare me. No, non riuscirai a drogarmi, e mi ascolterai mentre ti dico…

— Magari un’altra volta — dice Shadrach.

È bloccato tra Buckmaster e il palo della luce, ma scivola via e fa degli ampi gesti da nuotatore nell’aria che li separa, come se Buckmaster fosse un vapore nocivo da soffiar via. — Ora sono stanco. Ho fatto un viaggio molto pesante anch’io, lì dentro. Questa storia non la reggo proprio al momento, Buckmaster, se non ti spiace. Okay?

— La reggerai eccome, invece. Voglio dirtelo. Ti ho qui davanti a me e voglio dirtelo. Ho visto tutto, tutto, Giuda che va da Lui e Lo bacia nel giardino, e lo chiama, “Maestro, Maestro”, proprio com’è nel Libro, e poi i soldati romani si avvicinano e Lo arrestano… oh, sporco bastardo traditore. C’ero, ero lì, ora capisco cosa significa il senso di colpa. E tu? Tu no. E tu sei colpevole come lui, lo sei in modo diverso ma sei della stessa razza, Mordecai.

— Sono un Giuda? — Shadrach scuote la testa stancamente. Gli ubriachi lo irritano, anche se sono solo ubriachi della droga dei transtemporalisti. — Non capisco niente di quello che stai dicendo. Chi avrei tradito?

— Tutti. L’umanità intera.

— E dici di non essere ubriaco.

— Non sono mai stato così lucido. Oh, ho aperto gli occhi ora! Chi è che lo tiene in vita, rispondi a questa domanda? Chi è lì al suo fianco, a fargli iniezioni, a dargli medicinali, pillole, a chiamare il dannato chirurgo ogni volta che ha bisogno di un nuovo rene o di un nuovo cuore, eh? Eh?

— Vorresti che il Presidente morisse?

— Che sia dannato se non lo voglio!

Shadrach è senza fiato. Buckmaster ha chiaramente perso il senno in seguito alla sua esperienza transtemporale; Shadrach non può più sentirsi infastidito. L’ometto furioso va protetto da se stesso. — Ti arresteranno, se continui così — dice Shadrach. — Potrebbe essere in ascolto in questo stesso momento.

— Se ne sta bello sdraiato, mezzo morto dopo l’operazione — replica Buckmaster. — Credi che non lo sappia? Gli avete messo un fegato nuovo quest’oggi.

— Ma in ogni caso, ci sono occhi-spia in ogni angolo, strumenti di registrazione… alcuni li hai progettati tu stesso, Buckmaster.

— Non mi importa. Che mi senta.

— Così, adesso sei un rivoluzionario?

— Ho aperto gli occhi. Ho avuto una rivelazione, dentro a quella tenda. Colpa, responsabilità, male…

— Credi che il mondo starebbe meglio se Gengis Mao fosse morto?

Buckmaster grida con forza: — Sì! Sì! Sta prosciugando la vita da tutti noi, in modo da vivere per sempre. Ha trasformato il mondo in un manicomio, in un dannato zoo! Lo sai, Mordecai, potremmo ricostruire, potremmo distribuire l’Antidoto e guarire il mondo intero, non solo i pochi privilegiati, potremmo tornare a quel che avevamo prima della Guerra, ma no, no, siamo governati da un dannato khan mongolo, ma è mai possibile? Un khan mongolo di cent’anni che vuole vivere in eterno! E se non fosse per te sarebbe morto cinque anni fa.

Shadrach capisce dove vuole arrivare Buckmaster, e si porta le mani alle tempie, sgomento. Più che mai, vuole disperatamente fuggire da quella conversazione. Buckmaster è uno stupido, e il suo attacco è facile e ovvio. Shadrach ha pensato a tutto questo, molto tempo fa, ha considerato i problemi morali, e li ha superati. Certo che servire un dittatore malvagio è sbagliato. Non è proprio il tipo di lavoro per un bravo e benintenzionato ragazzo nero di Filadelfia che vuole impegnarsi e fare del bene. Ma Gengis Mao è malvagio? Ci sono alternative al suo governo, a parte il caos? Se Gengis Mao è inevitabile come una qualche forza naturale, come il sorgere del sole o il cadere della pioggia, non vi è colpa nel servirlo; si fa quel che pare appropriato, si vive la propria vita, si accetta il proprio karma, se si è medici si cura, senza stare a considerare le ramificazioni dell’identità di un paziente. Per Shadrach questa non è una furba razionalizzazione, è una dichiarazione di accettazione del fato. Si rifiuta di assumersi il fardello di sensi di colpa che non significano niente per lui, e non permetterà a Buckmaster (proprio lui!) di fustigarlo per delle assurdità o di accusarlo di affidare la propria lealtà alla persona sbagliata.

Quando si accorge che Nikki Crowfoot è uscita dalla tenda dei transtemporalisti e lo aspetta appena di lato, in piedi con le mani sui fianchi, dice a Buckmaster: — Scusami. Adesso devo andare.

Nikki pare trasfigurata. I suoi occhi sono lucidi, il volto è madido di sudore estatico, il suo intero corpo pare risplendere. Quando Shadrach le si avvicina, gli fa un semplice cenno con la testa, è ancora lontana, persa nella sua allucinazione.

— Andiamo — dice lui — Buckmaster è un po’ pazzo stasera e si sta rendendo antipatico.

Tende la mano per afferrare quella di lei.

— Aspetta! — strilla Buckmaster, correndo verso di loro. — Non ho finito con te. Ho dell’altro da dirti, nero bastardo!

Mordecai alza le spalle e dice: — Va bene. Hai ancora un minuto. Cosa desideri che faccia, esattamente?

— Smetti di curarlo.

— Sono un medico, Buckmaster. È il mio paziente.

— Precisamente. Ed è per questo che sei un bastardo e che sei colpevole. Ci sono miliardi di persone da curare nel mondo, e tu scegli di occuparti di lui. Condannando tutti noi a interi altri decenni di Gengis Mao.

— Qualcun altro lo farebbe se non lo facessi io — replica dolce Shadrach.

— Però lo fai tu. Lo fai tu. E io devo considerare responsabile te.

Attonito, sconcertato dalla violenza e dall’insistenza dell’attacco di Buckmaster, Shadrach dice: — Responsabile di cosa?

— Dello stato in cui si trova il mondo. Tutto questo dannato sfacelo. La minaccia continua della decomposizione organica generalizzata, vent’anni dopo la Guerra Virale. La fame, la miseria. Oh, non provi nessuna vergogna, Mordecai? Tu, con le tue gambe piene di congegni che ti aggiornano su ogni minima variazione della sua pressione, così che puoi correre da lui ancora più velocemente?