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Rotolano verso il letto. Con mani abili quasi quanto quelle di Warhaftig, il chirurgo, Shadrach comincia i preliminari abituali, ma lei gli fa capire con un rapido, silenzioso scatto delle spalle che può saltare quel passaggio e pensare direttamente all’atto principale; e lui penetra la stretta insenatura nascosta tra le cosce di lei con una spinta improvvisa e generosa che strappa gemiti di piacere a ciascuno dei due. Ci sono cose che non cambiano mai. C’è un uomo, a meno di quattrocento chilometri più a Oriente, che ha già avuto finora quattro fegati e sette reni, e in una tenda a poche centinaia di metri dal suo letto vendono una droga che permette di assistere al tradimento del Salvatore, e c’è una macchina a Ulan Bator che mostra immagini intermittenti e istantanee praticamente di tutto ciò che accade al mondo, e ogni singola cosa di queste sarebbe stata considerata un miracolo solo due generazioni fa, ma nonostante ciò in questo mondo del 2012, infestato di miracoli, non ci sono stati progressi tecnologici significativi per l’atto d’amore. Oh, ci sono ingegnose droghe che pare moltiplichino l’intensità delle sensazioni, e ci sono sistemi elaborati per sopprimere la fertilità, e ci sono alcuni altri trucchetti biomeccanici che i più sofisticati amano talvolta utilizzare, ma tutte queste cose sono semplici versioni aggiornate di equipaggiamento periferico che si usa fin dai tempi del Medio Evo. L’operazione di base non è ancora stata digitalizzata o miniaturizzata o randomizzata o futurizzata in qualche altro modo, rimane quella che era ai tempi degli australopitecini e dei pitecantropoidi; vale a dire, qualcosa che fanno delle semplici persone nude, premendosi quegli umili corpi, nati in modo naturale, l’uno contro l’altro.

I corpi si stringono, il rame afferra l’ebano, celebrano l’antico rito, Shadrach si sorprende dell’intensità delle sue stesse passioni. Non è sicuro se l’energia gli viene da Nikki, grazie a un misterioso trasferimento telepatico, o da qualche inattesa riserva dentro di lui, ma è pieno di gratitudine qualunque sia la fonte, e cavalca quest’energia verso una piacevole conclusione. Subito dopo scivola con facilità in un sonno profondo, risvegliandosi soltanto quando un suono melodioso ma ineludibile segnala l’avvicinarsi dello scadere delle loro tre ore. Si ritrova comodamente appoggiato con la testa tra i seni di Nikki. Lei è sveglia e lo è evidentemente stata per un po’ di tempo, ma il suo sorriso è beato e non c’è dubbio che l’avrebbe volentieri cullato a quel modo per tutta la notte: un’idea attraente. La notte, in ogni caso, si è quasi conclusa. Si concedono qualche veloce coccola, si alzano, si lavano, si vestono, escono dalla stanza con le mani che si toccano leggere nella fredda oscurità appena sfiorata dalla luna. Come bambini che non vogliono lasciare il campo-giochi, scivolano alla deriva verso un padiglione di gioco d’azzardo, un’enoteca, una sala da ballo, tutti e tre popolati dal rumore di uomini e donne dall’aria decadente, intenti a divertirsi; ma Shadrach e Nikki non sostano più di qualche minuto in ciascuno dei posti, scivolando via nello stesso modo casuale con cui sono entrati, e finalmente si confessano a vicenda di averne avuto abbastanza per una notte. Alla stazione sotterranea, dunque. L’alba sarà qui tra breve. Dal soffitto sopra la banchina di attesa pende un enorme globo verde luminoso, un teleschermo pubblico che trasmette un programma notturno di notizie, e Shadrach vi rivolge uno sguardo distratto: la faccia di Mangu gli restituisce lo sguardo, sincera e onesta e deplorevolmente giovanile. Mangu sta facendo un discorso, a quanto pare. Gradualmente, data la stanchezza, Shadrach si rende conto che si tratta del solito discorso sull’Antidoto di Roncevic, il discorso che Gengis Mao fa tradizionalmente ogni cinque o sei mesi e che ora, si direbbe, è stato delegato all’erede designato. «…Importantissimi passi avanti nella ricerca di laboratorio…» sta dicendo Mangu. «…progressi incoraggianti… fondamentali trasformazioni qualitative della tecnica di produzione… gli sforzi incessanti del Comitato Rivoluzionario Permanente… la guida perseverante e diligente del nostro beneamato Presidente Gengis Mao… non ci possono più essere dubbi… distribuzione su vasta scala del farmaco in tutto il mondo… liberarci del flagello della decomposizione organica… le riserve aumentano giorno dopo giorno… si avvicina il momento in cui… un’umanità sana, felice…».

Qualche metro più in là, vicino al binario, un uomo rubicondo, gli occhi spalancati, dice con un sussurro ben udibile alla donna che lo accompagna, in tono severo: — Ma certo. Tra meno di novanta o cent’anni.

— Taci, Béla! — esclama la sua compagna, un tono genuinamente allarmato nella voce.

— Ma è la verità. Mente quando dice che le riserve aumentano giorno per giorno. Ho visto le cifre. Ti dico, ho visto delle cifre affidabili.

Mordecai trova interessante tutto questo. L’uomo rubicondo è Béla Horthy, un fisico ungherese dal carattere cupo ma facilmente mutevole, creatore della grande centrale di fusione di Bàyan Hongor, che fornisce energia a quasi tutta l’Asia nordorientale. È anche ministro della Tecnologia del Comitato Rivoluzionario Permanente, e fa un effetto un po’ strano sentire un leader governativo di tale importanza pronunciare in pubblico simili parole sovversive. Certo, questa è Karakorum e Horthy, che in questo momento appare sfocato e come informe, è chiaramente alla deriva sull’onda di un potente allucinogeno, eppure, eppure…

— Le riserve di Antidoto sono stabili nel migliore dei casi, forse addirittura in leggero calo — continua Horthy, dando forma alle sue parole con la precisione esagerata di chi è estremamente intossicato. — Quel che Mangu ci sta dicendo è una menzogna tesa a tranquillizzare il popolo. Crede che dicendo cose del genere lo renderà felice e lo spingerà ad amarlo. Bah! — La donna cerca disperatamente di farlo tacere. È di corporatura piccola e compatta, strutturata efficientemente, con il baricentro vicino al terreno; il volto è oscurato in parte da un domino ornato piuttosto vistoso, di colore verde, ma Shadrach in capo a un momento la riconosce. Dana Labile, un pezzo grosso non da meno dello stesso Horthy, ministro della Demografia del Comitato, responsabile per il mantenimento di un ragionevole equilibrio tra nascite e decessi. Mascherata o no, è lei, impossibile non riconoscere quella mascella feroce, e Shadrach nota che anche Horthy ha una maschera, che in questo momento penzola dalla sua mano sinistra. Forse crede di indossarla ancora. Lei si sforza di prendergli la maschera dalla mano inerte e di rimettergliela sul volto, ma lui la scosta e, guardando nella direzione di Shadrach Mordecai, saluta il medico con un inchino così grandioso che quasi cade in avanti lungo la banchina. Dana Labile, agitando la maschera dimenticata del suo compagno, gli gira intorno come un insetto infuriato. — Ah, dottor Mordecai! — sbraita Horthy. — Il devoto Esculapio del nostro leader! Io la saluto!

«…il culmine della nostra lotta incessante contro…» dice Mangu dal luminoso schermo sferico.

Horthy punta un pollice verso l’immagine dell’erede designato. — Lei ci crede a questa spazzatura, Mordecai?

Mordecai ha i suoi sospetti sulla veridicità del piano spesso pubblicizzato che il Khan avrebbe per distribuire a chiunque l’Antidoto di Roncevic, ma sono sospetti appena abbozzati, e in ogni caso non è questo il luogo per esprimerli. Dice con dolcezza: — Non sono un membro del Comitato, dottor Horthy. Le uniche informazioni “da dentro” che ho riguardano cose come l’equilibrio endocrino di Gengis Mao.