Finge di non provare niente. Non si muove di un centimetro.
— Come te la cavi, Shadrach? — gli chiede lei in tono tenero dopo qualche momento. — Stai molto male?
— Tengo duro.
— Hai paura?
— Un po’. Più rabbia che paura, credo.
— Mi odii?
— Non odio nessuno. Non sono una persona che odia.
— Io ti amo ancora, lo sai.
— Falla finita, Nikki.
— È così. Mi sta distruggendo, da settimane.
La forza della preoccupazione di Crowfoot per lui è una presenza quasi tangibile all’interno del piccolo studio.
— Non voglio sentire queste cose — dice Shadrach.
— Tu mi odii.
— No. Ma non mi interessa il tuo rimorso.
— O il mio amore?
— Quello che è.
— Quello che è.
— Non so — dice lui. — Non voglio più casino in testa di quanto non ce ne sia già.
— Cosa farai, Shadrach?
— Cosa intendi dire, cosa farò?
— Non intenderai rimanere a Ulan Bator.
— Mi stanno dicendo tutti di scappare.
— Sì.
— Non servirebbe a niente.
— Potresti salvarti — gli dice Crowfoot.
Shadrach scuote la testa. — Non ci riuscirei mai. Ci sono microspie in tutto il pianeta, Nikki. Guarda il Vettore di Sorveglianza Uno per un quarto d’ora e te ne renderai conto. Ma lo sai già. Mi hai detto anche tu che la fuga è impossibile. Chiunque può essere rintracciato istantaneamente. E poi, se sparissi il tuo progetto si troverebbe di nuovo bloccato.
— Oh, Shadrach!
— Voglio dire, sono l’uomo chiave, giusto?
— Non dire idiozie.
— Dovresti di nuovo metterti a cercare un altro ospite per Gengis Mao. Poi dovresti ricalibrare, tutto da capo un’altra volta. Dovresti…
— Basta. Ti prego.
— Va bene. In ogni caso, è sciocco cercare di sfuggire al Khan.
— Non ci proverai neanche?
— Non ci proverò neanche.
Crowfoot lo guarda senza mostrare emozioni per un lungo momento di silenzio. Poi dice: — Suppongo che dovrei sentirmi sollevata.
— Perché?
— Se non ti assumi la responsabilità di metterti in salvo io non devo assumermi la responsabilità di… di…
— Di quello che mi succederà se rimango qui?
— Sì.
— È così. Non devi proprio sentirti in colpa. Ho ricevuto un preavviso a termini di legge, e nonostante ciò scelgo liberamente di rimanere e beccarmi lo spettacolo. Sei assolta, Nikki. Non hai mio sangue sulle tue mani. Lavato via.
— Stai facendo del sarcasmo, Shadrach?
— Non particolarmente.
— Non riesco mai a capire quando stai facendo del sarcasmo.
— Non questa volta — dice lui.
Ancora una volta, si fissano in modo strano. Shadrach avverte ancora quella misteriosa tensione sessuale, quella lussuria grottesca e fuori luogo. Ha il sospetto che se le si avvicinasse e la trascinasse sulla moquette che copre il pavimento, tra la scrivania e i cassetti di metallo, potrebbe averla qui, ora, nel suo stesso studio, un’ultima scopata folle e frenetica. Poi pensa a Eis e ai suoi colleghi che se ne trottano di qua e di là dall’altra parte della porta chiusa a chiave, presi dai loro computer e dai loro scimpanzé, tutti intenti a simulare trasferimenti della personalità di Gengis Mao nel guscio vuoto del corpo di Shadrach Mordecai, e il suo ardore si raffredda un po’. Ma solo un po’.
Nikki ride.
— C’è qualcosa di particolarmente divertente? — chiede Shadrach.
— Ti ricordi — dice lei — quella volta che abbiamo parlato del concetto di te e Gengis Mao come un solo sistema vitale, una sola unità autocorrettiva di trattamento delle informazioni? Era prima che tutto questo succedesse. Mangu era ancora vivo, credo. Io avevo parlato di come lo scalpello e il martello e la pietra siano degli aspetti dello scultore, o più precisamente di come lo scultore e i suoi attrezzi e materiali insieme formino una singola entità di pensiero e azione, una singola persona, e di come tu e Gengis Mao…
— Sì. Mi ricordo.
— E ora sarà ancor più vero, no? Nel senso più letterale. Mi sembra un’ironia spaventosa. Il tuo sistema nervoso e il suo, accoppiati, collegati, indistinguibili. Quando ne avevamo parlato quella volta, tu avevi detto che no, non era un’analogia corretta, che Gengis Mao poteva mandarti dati ma tu non potevi mandarne a lui, e che quindi c’era una limitazione nel flusso di informazioni, un limite ben distinto. Tutto questo cambierà, adesso. Tra voi due, sarà impossibile dire dove finisce uno e dove comincia l’altro. Ma già quella volta, cercavo di dirti che non afferravi davvero l’idea; che il marmo non è in grado di creare una scultura, ma rimane parte del sistema globale di produzione della scultura, e che tu non potevi immettere dati in Gengis Mao ma rimanevi parte del sistema globale Gengis Mao; c’è un’interazione, c’è una relazione di feedback che lega te a lui e lui a te, c’è… — Sta parlando molto rapida, un torrente di parole. Ora si ferma e in un tono di voce completamente diverso dice: — Oh, Shadrach, perché non vuoi nasconderti?
— Te l’ho già detto. È inutile. Continuo a dirlo a tutti, ma sembra che non mi vogliate credere.
Pensa a se stesso come parte del sistema globale Gengis Mao. Soppesa le analogie. Non c’è alcun dubbio, i suoi sensori e impianti chirurgici lo legano al Khan in maniera molto particolare. Ma lui non è più importante (né meno importante) per il sistema globale Gengis Mao di quanto il blocco di marmo di Michelangelo non fosse importante per il sistema globale di produzione di quella scultura. Se avesse pensato che un dato blocco di marmo non era più necessario ai fini del sistema globale, Michelangelo l’avrebbe scartato senza pensarci su troppo e ne avrebbe introdotto un altro nel sistema.
Nikki trema.
— Se non vuoi cercare di metterti in salvo — dice — nessun altro può fare niente per te.
Quando lui e Gengis Mao si troveranno a dividersi un unico corpo, saranno davvero un’unità integrata di trattamento delle informazioni. Naturalmente, un’unità del genere ha bisogno di un solo biocomputer, di un solo cervello, una sola mente, un solo sé. E quel sé non sarà quello di Shadrach Mordecai.
Dice: — Lo so. Ne abbiamo già parlato. Mi prendo tutta la responsabilità.
— Non ti importa?
— Forse no. Non più. Non lo so.
— Shadrach…
Fa per avvicinarglisi, una specie di gesto accennato, forse erotico, forse semplicemente un gesto riflesso, come di qualcuno che si protende ad afferrare un uomo che sta annegando. Shadrach si ritrae. C’è un muro tra di loro, una barriera impermeabile di parole e paure e dubbi ed esitazioni e sensi di colpa. A lui questo non pesa. Si rifugia dietro a quel muro. Ma c’è sempre quell’attrazione sessuale tra di loro, quella linea rovente di tensione erotica, e si protende attraverso la barriera, la trafora, la erode, la spezza. E la barriera è scomparsa. Lui ama Nikki, la odia, la vuole, la detesta. Accenna un gesto di avvicinamento a lei, poi si arresta. Sono come due adolescenti, assurdamente insicuri, stupidamente presi da una sequenza di finte, false partenze, ritirate nervose. Sorride teso. Lei lo imita. È evidente che lei è altrettanto consapevole di lui delle sottili variazioni d’equilibrio che stanno avendo luogo rapidamente dentro di loro e tra di loro. È come se fossero due viaggiatori a bordo di un transatlantico in lotta con delle acque turbolente e tempestose, e sono intrappolati insieme in una piccola cabina, con un portellone stagno che scorre avanti e indietro senza controllo, sventola attraverso il pavimento a ogni convulsione delle onde, si scontra con le pareti mentre loro due saltano via, minaccia di schiacciarli se non riescono a sfuggirgli quando è diretto verso di loro. C’è qualcosa di comico, innegabilmente, nella loro situazione, ma il pericolo è anche un pericolo reale, e tutt’altro che divertente. Per quanto tempo ancora potranno resistere? Il portellone è così pesante, il mare così agitato, la cabina così piccola, e loro stanno per esaurire le forze…