— Dove andrà? — chiede Gengis Mao.
— Non l’ho ancora deciso.
— Neanche vagamente?
— Neanche vagamente. Via di qui, è tutto quello che so.
— Capisco. E per quanto tempo?
— Qualche settimana. Un mese al massimo.
— Sarà strano non averla vicino.
— Quindi ho il permesso di partire, signore?
— Ha il mio permesso. Naturalmente. — Il Khan sorride sereno, come se fosse molto soddisfatto della propria liberalità. E poi, un cambiamento d’umore improvviso: il volto si fa più cupo, la fronte si aggrotta, negli occhi compare un denso riflesso di irritazione. Un ripensamento? Sì. — Ma se mi ammalassi? Supponiamo che mi venga un attacco. Il cuore. Lo stomaco.
— Signore, potrei tornare immediatamente se…
— Mi spaventa, Shadrach. Non averla qui con me. — La voce del Khan è roca adesso, spezzata, quasi atterrita. — Se comincia un rigetto degli organi. Se c’è un’ostruzione intestinale. Se i reni non funzionano più bene. Lei si accorge così velocemente quando ci sono dei guai, reagisce così prontamente. Se… — Il Khan ride. L’umore, a quanto pare, ha una nuova svolta; i timori di un attimo fa svaniscono improvvisamente, e uno strano sorriso inespressivo gli attraversa la faccia. Parla con una voce nuova, dolce, e sembra quasi che canti una canzone, lenta e struggente: — A volte sento delle voci, Shadrach, lo sapeva? Come i santi, come i profeti. Dei consiglieri invisibili vengono a trovarmi. Sussurrano. Sussurrano. Sono sempre venuti, quando ce n’era bisogno. A mettermi in guardia, a guidarmi.
— Delle voci, signore?
Gengis Mao sbatte gli occhi. — Ha detto qualcosa?
— Voci, dicevo. Mi stava dicendo che a volte sente delle voci.
— L’ho detto io? Io non ho parlato di nessuna voce. Che voci? Di cosa sta parlando, Shadrach? — Gengis Mao ride nuovamente, una risata cupa, dura, inquietante. — Voci! Che follia! Be’, non stiamo a preoccuparci di sciocchezze del genere. — Allunga il collo e fissa Shadrach dritto negli occhi. — Allora presto si farà una vacanza, via dal vecchio e dai suoi capricci, eh?
Shadrach sta sudando. Shadrach è terrorizzato. È stata una specie di crisi psicotica, o semplicemente uno dei soliti giochini di Gengis Mao?
— Una piccola vacanza, signore, sì — dice in tono incerto.
Il Presidente assume un’aria preoccupata per un istante. — Già. Perdersi i funerali, però… è proprio un peccato…
— Mi dispiace, infatti — dice Shadrach. — Ma ho proprio bisogno di andare via.
— Certo. Certo. Assolutamente. Si faccia il suo viaggio, Shadrach. Se ha proprio bisogno di andare via. Se ne ha proprio bisogno. Di andare via.
Ecco. Fatto. Shadrach tira un sospiro. Uno o due momenti difficili, ma ha la sua autorizzazione a partire. Strano. Non è stato proprio difficile.
29 maggio 2012
Che faccia lunga aveva Shadrach, quando se n’è uscito con questa storia della vacanza. Terrorizzato. Aveva paura che rifiutassi, immagino. Cos’avrebbe fatto se gli avessi detto di no? Sarebbe partito lo stesso? Forse. Sembra disperato. Aveva quella luce negli occhi, un uomo intrappolato che lotta con le spalle al muro. Bisogna sempre stare attenti a persone del genere. Controlla il tuo avversario, sì, ma non metterlo con le spalle al muro. Lasciagli spazio in abbondanza. Così, lasci spazio in abbondanza anche a te stesso.
Mi chiedo perché parta.
Stanco, ha detto. Teso. Bene, forse è vero. Ma c’è dell’altro. Dev’essere qualcosa che ha a che fare con Avatar. Starà pensando di sparire? È troppo intelligente per farlo. Deve ben sapere che non può sparire. E allora di cosa si tratta? Spirito di ribellione? Vuole solo scoprire cosa succede se va a trovare il vecchio e gli dice che se ne sta andando per un mese, destinazione sconosciuta? Ovvio che non rifiuterei. Molto più interessante lasciarlo andare, e vedere cosa combina.
Il primo bagliore di indipendenza che abbia mai mostrato il povero Shadrach. Era anche ora.
E se mi ammalo gravemente mentre è via?
Cuore. Fegato. Polmoni. Reni. Emorragia cerebrale. Pleurite. Pericardite acuta. Uremia tossica. È così fragile, così volubile, così vulnerabile questo corpo, nient’altro che dei brandelli di carne legati insieme. Capace di disfarsi da un giorno all’altro.
Non mi devo preoccupare di cose del genere. Sto benissimo. Sto benissimo. Sto benissimo. Ho una salute straordinaria.
Non dipendo da Shadrach Mordecai.
Non dipendo da Shadrach Mordecai.
E se conoscesse qualche modo per sparire davvero? Immagino che ce ne sia almeno una possibilità sottilissima. Cosa succederebbe ad Avatar in quel caso? Si trova un altro donatore? Ma io voglio lui. Ogni volta che lo vedo, penso a com’è perfetto quel corpo, com’è agile, com’è elegante. Intendo indossare quel corpo un giorno, oh, sì!
E allora, dovrei permettergli di sparire di vista?
Ma nessuno può sparire di vista. Non alla mia vista.
E poi, conosco Shadrach. Non mi preoccupa questo suo viaggio. Partirà, si godrà la sua vacanza, e poi se ne tornerà da me. Di sua spontanea volontà. Tornerà qui, eccome. Sì. Di sua spontanea volontà.
È ora di pensare alla scelta delle destinazioni. Shadrach può andare in qualunque angolo del mondo, senza preoccuparsi del costo; non è forse un membro dell’élite del potere? Con la benedizione dell’Antidoto, è un aristocratico in un mondo di plebei condannati a marcire. Ma dove andare?
Si dirige verso il Vettore di Sorveglianza Uno per soppesare le possibilità.
Si è spesso soffermato davanti agli schermi del Vettore di Sorveglianza Uno per un tuffo casuale nelle attività del mondo esterno, che chiama il Reparto Traumatologia: questa, però, è la prima volta che si siede sul trono imperiale dal quale si controlla il grande apparato degli occhi-spia. Lo fronteggiano decine, forse centinaia di tasti colorati: una fila di bottoni rossi, un cuneo di verdi, altri gialli, blu, violetti, arancioni. Le sue mani scorrono sopra di essi come quelle di un organista inesperto che per la prima volta si avvicina a una tastiera completa. Non ci sono etichette. C’è una logica? In ogni angolo della stanza ci sono immagini che turbinano e lampeggiano sulla miriade di schermi, comparendo e scomparendo con ritmi variabili e imprevedibili. Shadrach preme un tasto verde. È successo qualcosa? I monitor sembrano sempre funzionare in modo casuale. Copre decine di tasti verdi stendendo i palmi delle due mani. Ah. Ora pare che la reazione segua una sorta di schema riconoscibile. Una parte degli schermi, in alto in alto, verso destra, mostra delle città che sono inequivocabilmente europee: Parigi, Londra, Praga forse, Vienna, Stoccolma. Può darsi che i colori siano collegati ai continenti, dunque.
Lasciando premuti i tasti verdi, Shadrach interviene su un gruppo di quelli arancioni. Una ricerca sistematica nel turbine folle di monitor lampeggianti gli rivela, alla fine, un blocco di paesaggio nordamericano all’estremità sinistra: dei passaggi rapidissimi di una città che è sicuramente Los Angeles, e poi New York, e Chicago, Boston, Pittsburgh. Ecco. Sì.
Una mezz’ora di lavoro paziente, intenso, ed ecco che è padrone dei principi del funzionamento del pannello: è un tipo che impara velocemente. Il violetto è l’Africa, il giallo l’Asia, il rosso l’America Latina, e così via. Scopre anche che ci sono certi tasti generali: il rosso dei rossi, per così dire, il blu dei blu; con ciascuno di questi, scelto un continente è possibile cancellare dagli schermi tutti i dati relativi agli altri continenti, e non è più necessario districarsi nella folle sovrabbondanza di informazioni che il Vettore di Sorveglianza Uno nel suo complesso è in grado di fornire. Shadrach impara anche come richiamare le immagini di città specifiche: i tasti di ciascun gruppo cromatico sono disposti in analogia con la posizione geografica reale delle città, e attivando uno schermo che gli si trova di fianco, sulla sinistra, Shadrach può richiedere delle mappe suddivise in griglie che gli mostrano che tasti premere. A questo punto, esamina sistematicamente il Reparto Traumatologia per vedere dove vuole andare.