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Le città famose, già. Le antiche capitali del mondo. Roma? Naturalmente. Batte qualche tasto. Appare il Colosseo, poi il Foro, la scalinata di Piazza di Spagna. Sì. E Gerusalemme, sì, basta uno sguardo rapidissimo. Prende in considerazione l’Egitto, e con i tasti richiama le immagini del Cairo, ma lascia perdere quando vede i mendicanti che si affollano alla base della Grande Piramide, gli occhi ormai privi della vista coperti di mosche ronzanti. Ha sentito delle voci sull’Egitto, e pare che siano fondate: la decomposizione organica non lo spaventa, ma non ha antidoti per quel tracoma spaventoso, per la bilharzia endemica, per quell’altro migliaio di piaghe cairote che i monitor gli stanno mostrando. La sua anima di persona che vive per curare gli altri lo porterebbe volentieri in Egitto a imporre le mani su quegli sventurati, a far girare un po’ di medicine, ma questa dovrebbe essere una vacanza: non sta per andare all’estero in quanto medico, è precisamente il contrario, e rifugge da questa sfida. Niente Egitto. Sceglie invece Istanbul, dopo un’occhiata alle moschee che sorgono solide dalle colline; sceglie Londra; passa oltre Filadelfia, la sua città natale, e, con un tremito, fa lo stesso con New York; si decide per San Francisco; e infine Pechino. Il grand tour. La grande avventura.

Dorme da solo quella notte, e per una volta dorme bene, come se la prospettiva di un viaggio attorno al mondo gli avesse calmato, in qualche modo perverso, lo spirito inquieto. Prima dell’alba si sveglia, fa un po’ di ginnastica senza troppo interesse, e tranquillamente prepara i bagagli, portando con sé poche cose. Il volto dello schermo informatico verde gli dice che è

VENERDÌ
1 GIUGNO
2012

Non perde tempo in addii. Non appena il sole è spuntato all’orizzonte, fa venire un’automobile e si fa portare all’aeroporto.

1 giugno 2012

Gli ho parlato delle voci, alla fine. Nonostante quel che avevo deciso finora. Ho fatto male? Ma non mi ha preso sul serio. E io, mi prendo sul serio? Forse sono i sintomi di qualche disturbo mentale grave. Ma allora anche i santi erano pazzi? Le voci mi parlano, mi sussurrano. È da sempre che vengono, nei momenti di crisi. Durante la Guerra Virale le sentivo con la massima chiarezza. Una voce aveva detto: “Io sono Temucin Gengis Khan, e tu sei mio figlio, e sarai Gengis II”. Una voce di tuono, sebbene lui stesse solo sussurrando. “E io sono Mao “, aveva detto un’altra voce, liscia come la seta. “Tu sei mio figlio”, aveva detto Mao, “e sarai Mao II”. Ma avevamo già avuto un Mao II, un piccolo codardo fastidioso che aveva completamente distrutto il suo paese con le sue idiozie, e c’era stato anche un Mao IH, per un breve tempo, nei giorni subito prima dello scoppio della Guerra Virale, così ho risposto a Mao, gli ho detto che non era aggiornato, che era tardi perché io fossi Mao 11, dovevo diventare Mao IV. Lui ha capito. Quindi mi hanno benedetto e incoronato. Sono diventato Gengis II Mao IV. È così che le voci mi hanno dato un nome e mi hanno ordinato imperatore e mi hanno incoronato. E mi hanno guidato. È segno di un disturbo schizoide sentire delle voci che vengono dal nulla? Potrebbe essere. Sono schizoide, dunque? Benissimo, sono schizoide. Ma sono anche Gengis II Mao IV, e sono il padrone del mondo.

20

In mattinata non ci sono voli, scopre Shadrach, che lo possano portare a Gerusalemme, Istanbul, Roma, o a qualche località dove possa trasbordare per raggiungere quelle destinazioni. C’è tra non molto un volo per Pechino, ma Pechino è troppo vicina a Ulan Bator, e i cinesi assomigliano troppo ai mongoli; in questo momento ha bisogno di cambiare aria completamente. C’è un volo per San Francisco un po’ più tardi, ma San Francisco non si trova in una posizione molto sensata rispetto al resto del suo itinerario. E c’è un volo che parte quasi immediatamente per Nairobi. Per qualche motivo, Shadrach non aveva proprio preso in considerazione la possibilità di andare a Nairobi, o in qualche altra città dell’Africa nera, nonostante i legami ancestrali che avverte vagamente. Ma la spontaneità, riflette, fa bene all’animo. In questo preciso momento l’idea di andare a Nairobi gli appare curiosamente attraente. D’impulso, senza esitazioni, sale sull’aereo.

Sono passati due anni e mezzo dall’ultima volta che è stato via dalla Mongolia. Gengis Mao aveva deciso inaspettatamente di presiedere in persona un immenso e inutile congresso del Comitato, nel quartier generale delle Nazioni Unite a New York, vecchio e cadente. Al tempo Shadrach non era ancora il medico personale del Khan, e quel posto era appannaggio di un internista portoghese astuto e diplomatico di nome Teixeira; ma Teixeira stava placidamente morendo di leucemia, e Shadrach lo stava sostituendo gradualmente. Ufficialmente, Shadrach era andato a New York in qualità di semplice assistente, un portaborse all’interno dello smisurato seguito del Khan: ma quando Gengis Mao aveva avuto un attacco di ipertensione, dopo aver parlato per sei ore filate dal podio dell’ex Assemblea Generale, era stato Shadrach a occuparsi del problema mentre Teixeira era a letto nella sua suite d’albergo, imbottito di farmaci. Dopo di allora Gengis Mao, che aveva inventato Mangu per sbrigare corvée cerimoniali come i congressi di Comitato, non aveva più lasciato Ulan Bator. Lo stesso valeva per Shadrach. Ma ora si trova a guardare fuori dal finestrino di un aereo da trasporto supersonico, mentre i colori spenti della steppa mongola svaniscono rapidamente sotto di lui. Tra poche ore sarà in Africa.

Africa! I segnali telemetrici di Gengis Mao si stanno già facendo più deboli, spariscono, all’avvicinarsi del limite dei mille chilometri di distanza. Shadrach riceve ancora dei dati, dei deboli ticchettii, gemiti, scatti del sistema di impianti chirurgici; ma, col procedere dell’aereo sulla sua rotta a sudovest, diventa sempre più difficile tradurre questi segnali in indicazioni intelligibili sui processi fisiologici del Presidente: Gengis Mao, i suoi reni e il fegato e il pancreas, il cuore e i polmoni, le arterie e l’intestino, sono diventati remoti, stanno diventando irreali. E dopo breve tempo i segnali cessano completamente; scesi al di sotto della soglia della percezione, lasciano Shadrach improvvisamente, incredibilmente solo nel suo corpo. Quell’esplosione di silenzio! Quell’assenza di messaggi subliminali! Si era dimenticato di come fosse, non avere questo continuo flusso ribollente di informazioni che gli scorre per la testa, e nei primi momenti dopo l’uscita dal raggio della teletrasmissione si sente quasi orfano, spogliato, come se avesse perso uno dei suoi cinque sensi. Poi il silenzio interiore gli comincia ad apparire normale, e Shadrach si rilassa.

L’aereo è comodo: una poltroncina morbida e avvolgente, spazio in abbondanza per stendere le gambe. Ha probabilmente più di vent’anni; è sicuramente di prima della Guerra Virale. Molte industrie sono scomparse dopo la guerra, e quella aeronautica è una di quelle. La popolazione ampiamente sfoltita del dopoguerra può cavarsela senza difficoltà, affidandosi ad adeguati programmi di manutenzione, con gli aerei ereditati dal mondo affollato e frenetico degli Ottanta; in quegli anni la vecchia economia industriale stava attraversando il suo ultimo grande periodo di convulsa espansione, nel mezzo, paradossalmente, di scarsità e disorganizzazione spaventose. Non che la Guerra e la decomposizione organica abbiano posto fine al progresso tecnologico: negli anni in cui è cresciuto Shadrach, la fusione nucleare ha soccorso il mondo dalla crisi energetica, delle escavatrici sotterranee hanno creato dal nulla un sistema di tunnel per il trasporto di massa che copre la maggior parte delle aree urbane, i sistemi di comunicazione hanno raggiunto un livello di sofisticazione estremo, l’informatizzazione della civiltà è quasi completa, e così via. Il progresso continua. Le cose sono diverse ora, ma non completamente diverse. Perfino le grandi imprese e gli istituti di borsa sono sopravvissuti. Non c’è stato uno stacco totale rispetto ai vecchi tempi, soltanto perché i due terzi della popolazione precedente sono morti e una struttura politica semidittatoriale completamente nuova ha imposto il proprio ordine ai sopravvissuti. È comunque una società in fase di contrazione, intaccata giorno per giorno dagli attacchi della decomposizione organica e oppressa da un certo senso di stagnazione e di futilità che il regime di Gengis Mao non pare capace di cancellare; e una società del genere non ha bisogno di aerei nuovi quando i vecchi sono ancora in grado di volare.