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— I Citpol verranno tra poco — ripete il negoziante, come per chiudere l’argomento. — Le va di prendere il tè con me? Ho raramente l’opportunità di ospitare un turista. Mi chiamo Bhishma Das. Lei è americano?

— Sono nato lì, sì. Ora vivo all’estero.

— Ah.

Das si dà da fare dietro al bancone, dove ci sono un fornelletto e alcuni barattoli di tè in foglie. La sua indifferenza per il cadavere in strada continua a turbare Shadrach; ma Das non pare un uomo ottuso, o insensibile. Forse è d’uso, qui fuori nel Reparto Traumatologia, ignorare per quanto possibile questi richiami alla mortalità universale.

In ogni caso, Das aveva ragione: i Citpol arrivano effettivamente poco dopo, tre uomini dalla pelle nera con la familiare uniforme, a bordo di un veicolo allungato dall’aria fosca che non è troppo dissimile da un carro funebre. In due caricano il cadavere sulla vettura; il terzo punta gli occhi sulla vetrina del negozio, fissando a lungo Shadrach con aria attenta e annuendo tra sé in modo indecifrabile e stranamente inquietante. Infine, i Citpol se ne vanno.

Das dice: — Moriremo tutti per la decomposizione, prima o poi, non è vero? Noi, e anche i nostri bambini. Siamo tutti contagiati, dicono. Non è vero?

— È vero, sì — replica Shadrach. Perfino lui porta nei geni il DNA assassino. Perfino Gengis Mao. — Naturalmente, c’è l’Antidoto…

— L’antidoto. Ah. Lei crede che ci sia davvero un antidoto?

Shadrach si mostra sorpreso. — Lei ne dubita?

— Non so niente di certo su queste cose. Il Presidente dice che c’è un antidoto, e che presto lo distribuiranno al popolo. Ma il popolo continua a morire. Ah, il tè è pronto! Allora c’è un antidoto? Io non ne ho idea. Non sono sicuro di cosa dovrei credere.

— Un antidoto c’è — dice Shadrach, accettando una fragile tazza di porcellana dal mercante. — Sì, c’è davvero. E un giorno verrà dato al popolo.

— Lei lo sa per certo?

— Sì, lo so per certo.

— Lei è medico. Un medico queste cose le sa.

— Sì.

— Ah — dice Bhishma Das, sorbendo il suo tè. Dopo una lunga pausa aggiunge: — Naturalmente, molti di noi morranno per la decomposizione prima che l’antidoto sia stato distribuito. Non solo quelli che c’erano ai tempi della Guerra, ma anche i nostri bambini. Com’è possibile questo? Non sono mai riuscito a capirlo. La mia salute è eccellente, i miei figli sono forti; eppure ci portiamo dentro questo male, anche noi? Dorme al nostro interno, aspettando il suo momento? Dorme all’interno di tutti?

— Tutti — dice Shadrach. Come può spiegare? Se parla delle affinità strutturali tra il virus della decomposizione organica e il materiale genetico umano normale, se descrive come il virus scatenato durante quella guerra tanto tempo fa sia riuscito a integrarsi nell’acido nucleico, nel plasma germinale stesso, intrecciandosi tanto intimamente con la macchina genetica umana da passare di generazione in generazione con i geni cellulari normali, una sequenza di DNA che può divenire letale in qualsiasi momento, quanto di tutto questo può capire Bhishma Das? Shadrach può parlare dell’inestricabilità del materiale genetico letale, del modo inesorabile in cui questo viene incorporato nel corredo genetico di ciascun bambino concepito dopo la Guerra Virale, e farsi capire? Quest’intruso, il gene della decomposizione organica, è diventato parte tanto intima dell’eredità umana quanto il gene che fa crescere le chiome sul cuoio capelluto o quello che mette calcio nelle ossa: i nostri tessuti sono ormai programmati fin dalla nascita per deteriorarsi e sbriciolarsi quando scatta un certo segnale interno, che noi non conosciamo. Ma questo per Bhishma Das potrebbe essere incomprensibile come i sogni di Brahma. Alla fine Shadrach dice, dopo una pausa di qualche istante: — Tutti coloro che erano su questa terra quando è stato scatenato il virus lo hanno assorbito nel loro corpo, nella parte del loro corpo che determina quel che trasmetteranno ai loro bambini. Non può venire sradicato, una volta che è entrato in quella parte. Dunque tramandiamo il virus ai nostri figli e alle nostre figlie, così come facciamo con il colore della pelle, il colore degli occhi, il tipo di capelli…

— Un’eredità spaventosa. Molto triste. E l’antidoto, dottore? L’antidoto ci libererebbe da quest’eredità?

— L’antidoto che hanno ora — dice Shadrach — impedisce al virus di danneggiare il corpo. Lo neutralizza, lo stabilizza, lo mantiene latente. Mi segue?

— Sì, sì, capisco. Congelato!

— Per così dire. Quelli che ricevono l’antidoto devono prendere una nuova dose ogni sei mesi, al momento. Per tenere il virus sotto controllo, per evitare che dentro di loro scatti la decomposizione organica.

— Ancora un po’ di tè, dottore?

— Grazie.

— E lei ha ricevuto quest’antidoto?

A disagio, Shadrach ci pensa qualche momento, poi risponde: — Sì. L’ho ricevuto.

— Ah. Perché è un medico. Perché dobbiamo tenere in vita coloro che possono guarire gli altri. Capisco. Mi sembrava che lei dovesse avere l’antidoto. Ha un’aria speciale, lei: è come se fosse un uomo a parte, diverso da noi. Lei non si sveglia ogni mattina chiedendosi se questo sarà il giorno in cui comincia la decomposizione. Ah. E un giorno avremo l’antidoto anche noi.

— Sì. Un giorno. Il governo si sta dando da fare per aumentare la produzione. — La menzogna gli lascia un sapore amaro in bocca. — Vorrei che lei potesse ricevere oggi la sua prima dose.

— Non è importante per me — dice calmo Das. — Io sono vecchio e ho sempre goduto di buona salute, e la mia è stata una vita felice anche nei tempi più tormentati. Se dentro di me la decomposizione comincia domani, sono pronto. Ma i miei figli, e i figli dei miei figli, vorrei che fossero risparmiati. Che significato hanno per loro le vecchie guerre? Perché dovrebbero morire di una morte orribile a causa di nazioni che erano state già dimenticate prima del giorno in cui loro sono nati? Io voglio che vivano. La mia famiglia vive in Kenya da centocinquant’anni, da quando ci siamo trasferiti qui da Bombay, e siamo stati felici qui: perché dovremmo perire ora? E triste, dottore, è triste. Questa maledizione che si è attirata l’umanità. Ci monderemo mai di quel che ci siamo fatti da soli?

Shadrach scuote le spalle. Non c’è modo di estrarre il nuovo gene assassino dal corredo genetico; ma in teoria un antidoto permanente è possibile, un DNA ibrido che venga integrato dai geni contaminati per assorbire o neutralizzare il materiale genetico letale. Da qualche parte nell’organizzazione del CRP si sta lavorando su un antidoto del genere, ha sentito dire Shadrach. Naturalmente, la voce potrebbe essere falsa. Il gruppo di ricerca potrebbe essere solo un mito. L’antidoto permanente stesso potrebbe essere solo un mito.

Shadrach dice: — Credo che questi ultimi vent’anni siano stati una purga a cui l’umanità si doveva sottoporre necessariamente. Una punizione per le idiozie e la stupidità che avevamo accumulato, forse. Tutta la storia del ventesimo secolo è come una freccia che punta dritta nella direzione della Guerra Virale e delle sue conseguenze. Ma sono convinto che sopravviveremo alla prova.

— E le cose torneranno com’erano una volta?

Shadrach sorride. — Spero di no. Se torniamo al punto in cui eravamo, un giorno arriveremo di nuovo alla stessa situazione di adesso. E potremmo non sopravvivere alla prossima versione della Guerra Virale. No, credo che dalle rovine costruiremo un mondo migliore, un mondo più tranquillo, meno avido. Ci vorrà del tempo. Non so con certezza come ci riusciremo. Succederanno tante cose brutte prima di allora. Milioni di persone moriranno di una morte orribile, inutile. Ma alla fine… alla fine le sofferenze avranno termine, i decessi avranno fine, e quelli che rimarranno ricominceranno a vivere nella felicità.