Questa mattina pare scoraggiata. I suoi occhi luccicanti da achemenide hanno l’aria spenta e provata. Il cervello sottratto al corpo di Pan, uno scimpanzé, ha appena subito un deterioramento fatale, proprio quando sembrava che stesse di fatto per verificarsi una crescita cellulare. — Stiamo per iniziare l’autopsia — dice Irayne Sarafrazi, la voce carica di depressione — ma pensiamo che la morte di Pan possa significare che tutto il nostro programma di stimolazione cerebrale è un errore. Sto pensando che dovremmo forse concentrarci meno sulla rigenerazione effettiva del cervello, e lavorare di più sull’attivazione della ridondanza. Tu cosa pensi, Shadrach? — Mordecai scrolla le spalle. Sa naturalmente che il cervello umano ha vaste aree ridondanti, miliardi di cellule il cui unico ruolo evidente è quello di riserve d’emergenza; e sa anche quali successi siano stati ottenuti nella riabilitazione di vittime di colpi apoplettici e altre lesioni cerebrali grazie alla ridisposizione dei canali neurali nelle aree ridondanti. Ma un’utilizzazione più efficiente del tessuto cerebrale esistente non fa che ritardare la minaccia della degenerazione senile, senza cancellarla. Finché le cellule muoiono giorno dopo giorno, Gengis Mao è destinato a piombare alla fine nell’idiozia senile all’interno del suo corpo ringiovanito, tra cinquanta o tra settanta o tra novant’anni, un gulliveriano struldbrug della mente, sbavante, intrappolato in un’armatura solida e agile. — La ridondanza è una misura temporanea — le dice Shadrach. — Senza rigenerazione del cervello, i rischi sono eccessivi. Un cervello vecchio in un corpo nuovo non funzionerà. Fammi avere i risultati dell’autopsia dello scimpanzé per domani e magari mi verrà qualche idea. — Ormai incapace di sopportare la vista della faccia stravolta di Sarafrazi, toglie la comunicazione e si collega con Nikki Crowfoot del Progetto Avatar.
Lei gli sorride con tenerezza. — Hai dormito bene, Shadrach?
La sua forza, e la forza del suo interesse per lui, si irradiano luminose dallo schermo. È una donna vigorosa, un’atleta, una cacciatrice, la pelle di una calda sfumatura bruna, il petto imponente, alta quasi un metro e novanta; le ossa del viso sono forti e ponderose, gli occhi ben spaziati, le labbra piene, il naso prominente e aggressivo. I suoi genitori erano ambedue nativi americani, la madre una Navajo, il padre un Assiniboin integrato nella società dei bianchi. Lei e Shadrach Mordecai sono amanti da mesi, amici da più di un anno. Mordecai spera che Gengis Mao non sappia niente della loro storia, ma ha anche il sospetto che questa sia una speranza ingenua.
— Ho dormito bene per un po’, se non altro — le risponde.
— Preoccupato per l’operazione del Presidente?
— Immagino di sì. O forse semplicemente preoccupato in generale.
— Avrei potuto aiutarti a rilassarti — dice con un sorriso complice.
— Probabilmente ci saresti riuscita. Ma ho sempre praticato l’astinenza la notte prima di un’operazione del Presidente. Come un pugile, come un cantante d’opera. Per mantenere la concentrazione assoluta, la mente sgombra. So che è stupido, Nikki, ma semplicemente faccio così.
— Va bene. Va bene. Volevo solo provocarti. Comunque, possiamo rifarci questa notte.
— ’Stanotte, certo. O questo pomeriggio. Lui lascerà il tavolo operatorio entro le due e mezzo. Cosa ne dici di prendere con me il tunnel per Karakorum?
Nikki sospira. — Non posso. Non tentarmi. Ho degli esperimenti critici questo pomeriggio. Vuoi il mio rapporto?
Il lavoro della dottoressa Crowfoot si sovrappone, per certi versi, a ciascuno degli altri due progetti, perché lo scopo del Progetto Avatar è quello di sviluppare una tecnica di trasferimento della personalità che permetterà a Gengis Mao — anima, spirito, identità, essenza vitale, ma nessuna sua componente fisica — di traslocare in un altro corpo, più giovane del suo. Come il Progetto Talos, Avatar si sforza di ridurre gli schemi delle reazioni mentali di Gengis Mao a codifiche digitali: quindi programmabili, quindi riproducibili; come il Progetto Fenice, Avatar intende dare al Presidente un corpo nuovo e sano nel quale abitare. Ma mentre Talos farebbe ospitare la codificazione digitale di Gengis Mao da un costrutto meccanico, Avatar lo sistemerebbe in una struttura precedentemente abitata da qualcun altro — Mangu, per la precisione. Da un lato il progetto di Crowfoot eviterebbe la disumanità della creazione di un Khan robotizzato, dall’altra scavalcherebbe il problema del deterioramento delle cellule cerebrali installando l’essenza astratta e intangibile di Gengis Mao in un cervello giovane e vigoroso. Nonostante le aree comuni, i tre progetti conducono le loro ricerche in modo assolutamente indipendente l’uno dall’altro, e non ci sono tentativi di scambiarsi le idee. La ridondanza, dopo tutto, è la nostra via maestra per la sopravvivenza.
Shadrach Mordecai, informato sul lavoro di tutti e tre i progetti, è forse l’unica persona a sapere a che punto questi si trovino l’uno rispetto all’altro. Sa che la squadra di Katya Lindman è probabilmente impegnata in un’impresa disperata: installare l’anima di un uomo in una macchina non produrrà un duplicato convincente e politicamente efficace dell’originale, poiché le macchine sono normalmente incapaci di trascendere la propria essenza meccanica; sa anche che il gruppo di Irayne Sarafrazi, pur incamminato sulla strada più plausibile per la vita eterna che Gengis Mao desidera tanto, è destinato a trovarsi paralizzato dalla difficoltà, che pare insolubile, del decadimento cerebrale. Sa anche che l’approccio di Nikki Crowfoot alla codificazione della personalità è stato finora più fruttuoso di quello di Lindman, e che nel giro di mesi le scienziate e gli scienziati del Progetto Avatar potrebbero essere in grado di riversare l’essenza di Gengis Mao — come una penetrante mano di vernice — sulla mente di un donatore, precedentemente annichilito attraverso tecniche elettroencefalografiche che azzerano i processi mentali. Povero Mangu. Povero, tragico principino pieno di speranze, destinato a essere niente di meglio che una tabula rasa per il Khan.
La sorte ultima di Mangu non tarderà ancora molto. Mordecai ascolta affascinato e raggelato quando Nikki gli snocciola le ultime meraviglie. I ricercatori sono ormai in grado di codificare le anime di animali, astraendo dai corpi gli schemi elettrici individuali delle loro menti, trasformando in numeri quelle sequenze di onde, usando i numeri per replicare gli schemi elettrici all’interno di cervelli di bestie donatrici. Hanno codificato un gallo e riversato la sua anima in un falco a cui era stata cancellata la mente; il falco non vola più, ma corre per la gabbia-pollaio emettendo dei chicchirichì, scuote goffo le ali magnifiche e con determinazione folle monta le galline terrorizzate. Hanno codificato un gibbone e l’hanno fatto ospitare dal corpo di un gorilla; il gorilla ha sviluppato scatenate abitudini arboricole, usando selvaggio e disperato le braccia per spostarsi tra le cime degli alberi; la sua essenza di gorilla, sfrattata, risiede ora in un ex-gibbone che marcia orgoglioso e pesante a terra, appoggiandosi sulle articolazioni contratte, fermandosi di tanto in tanto a percuotere il petto magro. E così via: si stanno preparando a tentare i primi trasferimenti umani, nel giro di settimane. Mordecai non chiede a Crowfoot dove intenda procurarsi i soggetti sperimentali. Per chi lavora al servizio di Gengis Mao, ci sono in agguato problemi etici impegnativi; Shadrach preferisce non caricarsi la coscienza con gli atti della sua amata.