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Mi fa male la testa.

— Shadrach! — ruggisce Gengis Mao. — Questo dannato mal di testa! Rimettimi a posto, Shadrach!

Il vecchio bucaniere fa un sorriso sforzato. È seduto, tenuto su da tre cuscini, l’aria stanca e consunta. La mascella si è fissata in una smorfia rigida; gli occhi hanno un riflesso severo e si muovono frenetici, come se Gengis Mao stesse cercando di tenerli a fuoco. Così da vicino, Shadrach riesce senza difficoltà a percepire una decina di diversi sintomi della pressione che sta aumentando nei recessi del cervello del Presidente. Ci sono già tanti piccoli segni di deterioramento nelle funzioni cerebrali di Gengis Mao. A questo punto non c’è dubbio sulla diagnosi. Non c’è alcun dubbio.

— È stato via per troppo tempo — borbotta il Khan. — Si è divertito? Certo. Ma il mal di testa, Shadrach, questo brutto, spaventoso mal di testa… non avrei dovuto lasciarla andare via. Il suo posto è qui. Al mio fianco. A tenermi d’occhio. A curarmi. È stato come mandare la mia mano destra in viaggio per il mondo. Non se ne andrà di nuovo, vero, Shadrach? E mi rimetterà a posto la testa? Mi spaventa. Tutto quel pulsare. Come se ci fosse qualcosa che sta cercando di scappare, là dentro.

— Non c’è motivo di preoccuparsi, signore. La rimetteremo in sesto abbastanza velocemente.

Gengis Mao strabuzza gli occhi, sofferente. — E come? Mi farete un buco nel cranio? Farete fuggire il demone come se fosse una zaffata di gas venefico?

— Non siamo nel Neolitico — dice Shadrach. — Il trapano è obsoleto. Abbiamo dei metodi migliori. — Appoggia i polpastrelli alle guance del Khan, tastando gli zigomi prominenti. — Si rilassi, signore. Lasci andare i muscoli.

È notte tardi, e Shadrach è esausto; oggi ha volato da San Francisco a Pechino, da Pechino a Ulan Bator, si è precipitato al capezzale di Gengis Mao senza neanche fare una pausa per cambiarsi. La sua mente è un groviglio di fusi orari, e Shadrach non è sicuro se qui sia sabato, domenica o venerdì. Ma c’è una sfera di chiarezza assoluta, cristallina, nel profondo del suo spirito. — Si rilassi — intona. — Si rilassi. Lasci scorrere la tensione, lasci andare il collo, le spalle, la schiena. Tranquillo, ora, tranquillo…

Gengis Mao esplode. — Non riuscirà a risolvermi questo problema con dei massaggi e con delle parole tranquillizzanti.

— Ma possiamo alleviare i sintomi in questo modo. È un palliativo, signore.

— E poi?

— Se è necessario, ci sono dei rimedi chirurgici.

— Vede? Me lo aprirete, il cranio.

— Faremo un buon lavoro, glielo prometto. Un lavoro di precisione. — Shadrach si sposta alle spalle di Gengis Mao, per non lasciarsi distrarre dalla necessità di mantenere un contatto con gli occhi del fiero vecchio, e si concentra sulle rilevazioni diagnostiche. Squilibrio idrostatico, già; congestione meningea, sì; un certo accumulo di scarti metabolici in giro per il cervello, sì. La situazione è ben lontana dall’essere critica: si potrebbe rimandare l’intervento di settimane, forse di diversi mesi, senza troppo rischio; ma Shadrach intende affrontare subito il problema. E non solo nell’interesse di Gengis Mao.

Gengis Mao dice: — È bello riaverla qui.

— Grazie, signore.

— Avrebbe dovuto esserci per i funerali. Avrebbe avuto un posto in prima fila. È stato uno spettacolo impressionante, Shadrach. Ha seguito i funerali alla televisione?

— Certo — mente Shadrach. — A… mmm… a Gerusalemme. Ero a Gerusalemme quel giorno, mi pare. Sì. Impressionante. Sì.

— Impressionante — dice Gengis Mao, soffermandosi con amore sulla parola. — Non sarà mai dimenticato. Uno dei grandi spettacoli della storia. Ne sono stato orgoglioso. Gli Assiri non avrebbero potuto far di meglio per il vecchio Assurbanipal. — Il Khan ride. — Se non si può assistere al proprio funerale, Shadrach, si può almeno soddisfare l’impulso mettendo su uno splendido funerale per qualcun altro. Eh? Eh?

— Mi sarebbe piaciuto esserci, signore.

— Ma era a Gerusalemme. O era Istanbul?

— Gerusalemme, credo, signore. — Tocca le tempie di Gengis Mao, premendo in modo leggero ma deciso. Il Presidente fa una smorfia di dolore. Quando Shadrach comprime il collo di Gengis Mao sui lati, subito al di sotto e dietro alle orecchie, il Presidente grugnisce.

— Pianino lì — dice Gengis Mao.

— Sì.

— Quanto è grave, in realtà?

— Non va bene. Non c’è pericolo immediato, ma c’è sicuramente un problema reale.

— Me lo esponga.

Shadrach si sposta dove Gengis Mao lo possa vedere. — Il cervello e il midollo spinale — dice — sono immersi, letteralmente, in un liquido che chiamiamo fluido cerebrospinale, prodotto in certe celle vuote all’interno del cervello, dette ventricoli. Questo liquido protegge e nutre il cervello e, quando passa nello spazio che sta attorno al cervello, porta via gli scarti metabolici che sono il risultato dell’attività cerebrale. In determinate circostanze, i passaggi dai ventricoli a questi spazi meningei si ostruiscono, e il liquido cerebrospinale si accumula nei ventricoli.

— E nella mia testa sta succedendo questo?

— Si direbbe di sì.

— Perché?

Scrollando le spalle, Shadrach replica. — Normalmente è a causa di un’infezione, o di un tumore alla base del cervello. Occasionalmente si verifica in modo spontaneo, senza che ci sia una lesione osservabile. Una funzione dell’invecchiamento, forse.

— E quali sono gli effetti?

— Nei bambini, il cranio si ingrandisce col gonfiarsi dei ventricoli. È la condizione che chiamiamo idrocefalia, acqua nel cervello. Il cranio di un adulto non è in grado di espandersi, ovviamente, così che il cervello deve sottostare a tutta la pressione. Dei forti mal di testa sono il primo sintomo, naturalmente. Seguiti da disfunzioni della coordinazione fisica, vertigini, paralisi facciale, perdita graduale della vista, periodi di coma, un’inefficienza generale delle funzioni cerebrali, attacchi di epilessia…

— E la morte?

— La morte, sì. Alla fine.

— E quanto tempo passa dall’inizio alla fine?

— Dipende dall’entità dell’ostruzione, dal vigore del paziente, da molti altri fattori. Ci sono persone che vivono per anni con uno stato di idrocefalia debole o incipiente e non se ne accorgono neanche. Ci sono anche casi seri che si trascinano per anni, con lunghi periodi di remissione. D’altro canto, è possibile passare da una prima congestione alla mortalità nel giro di alcuni mesi, e talvolta ancora più velocemente, se si sviluppa qualcosa come un edema bulbare, un gonfiore endocranico che manda in crisi i sistemi autonomi.

Queste lezioni di sintomatologia e prognosi hanno sempre affascinato Gengis Mao, e in questo momento è evidente nei suoi occhi un intenso interesse. Ma c’è anche qualcos’altro, uno sguardo stregato, uno sguardo che lampeggia di sgomento, quasi terrore. Shadrach non l’ha mai osservato prima.