L’espressione sul volto di Gengis Mao è assolutamente opaca. Sta ponderando la dichiarazione di Shadrach, in silenzio.
Alla fine dice: — Perché mi ha fatto questo, Shadrach?
— Per proteggermi, signore.
Il Khan riesce a prodursi in un sorriso glaciale. — Pensava che avrei usato il suo corpo per il Progetto Avatar?
— Ne avevo la certezza, signore.
— Si sbagliava. Non sarebbe mai successo. Lei è troppo importante per me così com’è, Shadrach.
— Sì, signore. Grazie, signore.
— Lei pensa che io stia mentendo. Le dico che non c’è mai stata nessuna possibilità che il Progetto Avatar venisse attivato con lei come donatore. Non mi fraintenda, Shadrach. Non mi sto difendendo davanti a lei, in questo momento. Le sto dicendo semplicemente come stanno realmente le cose.
— Sì, signore. Ma conosco i suoi insegnamenti a proposito della ridondanza, signore. Temevo di essere sul punto di essere reso sacrificabile. Ora mi sono reso indispensabile, ritengo.
— Sarebbe pronto a uccidermi? — chiede Gengis Mao.
— Sì, se pensassi che la mia vita è in pericolo.
— Cosa ne direbbe Ippocrate?
— La legittima difesa è riconosciuta perfino ai medici, signore.
Il sorriso di Gengis Mao si fa più caldo. Pare che si stia godendo questa discussione. Non c’è traccia di ira sul suo volto.
Dice con calma, col tono di chi sta solo sollevando un’ipotesi speculativa: — Immaginiamo che io la faccia prendere di sorpresa, che la faccia immobilizzare prima che lei abbia avuto il tempo di stringere il pugno, e la faccia mettere a morte?
Shadrach scuote la testa. — L’impianto nella mia mano è sintonizzato con il segnale elettrico del mio cervello. Se muoio, se in qualunque modo la mia mente viene cancellata, se c’è una qualunque interruzione significativa nelle mie onde cerebrali, la valvola comincia automaticamente a pomparle liquido cerebrospinale nel midollo. Il momento della mia morte è il preludio automatico alla sua, signore. I nostri destini sono fusi insieme. Protegga la mia vita, signore, per il suo stesso bene.
— E se io mi faccio rimuovere dalla testa la valvola, e la faccio sostituire con una meno… mmm… versatile?
— No, signore. Non ha nessuna possibilità di sottoporsi a un intervento chirurgico senza che io lo venga a sapere attraverso i sensori. E io naturalmente intraprenderei un’azione difensiva all’istante. No. Siamo diventati un’entità sola in due corpi distinti, signore. E rimarremo così per sempre.
— Molto astuto. E chi ha progettato per lei questa meraviglia meccanica?
— È stato Buckmaster, signore.
— Buckmaster? Ma è morto fin da maggio. Lei non poteva sapere…
— Buckmaster è ancora vivo, signore — dice Shadrach tranquillo.
Gengis Mao riflette su questa affermazione. Diventa estremamente pensoso. Resta in silenzio per un lungo momento.
— Ancora vivo. Strano.
— Sì.
— Non capisco.
Shadrach non replica.
Dopo un po’ Gengis Mao dice: — Lei ha collocato una bomba dentro di me.
— Per così dire, signore.
— Io ho potere assoluto su tutta l’umanità. E lei ha potere assoluto su di me, Shadrach. Si rende conto di cosa significa questo? È lei il vero Khan adesso! Tutti rendano onore a Gengis III Mao V! — Il riso di Gengis Mao è selvaggio. — Lo capisce questo? Si rende conto di cos’ha ottenuto?
— Questo pensiero mi è passato per la testa — ammette Shadrach.
— Lei potrebbe costringermi ad abdicare. Potrebbe forzarmi a nominarla mio successore. Potrebbe uccidermi e assumere la Presidenza in modo del tutto legittimo. Lo capisce? Certo che lo capisce. È questo che intende fare?
— No, signore. L’ultima cosa che desidero al mondo è essere Presidente.
— Forza. Muova la mano, organizzi un colpo di stato. Prenda il potere, Shadrach. Io sono vecchio, stanco, annoiato, sto cadendo a pezzi. Ho voglia di essere rovesciato. Ammiro la sua abilità. Sono affascinato da quel che ha fatto. Nessuno mi aveva mai fregato in modo così assoluto, lo sa questo? È riuscito là dove migliaia di nemici avevano fallito nel modo più assoluto. Il tranquillo Shadrach, il leale Shadrach, l’affidabile Shadrach… lei mi ha sconfitto. Lei mi possiede. Sono la sua marionetta ora, lo capisce? Forza. Diventi Presidente. Se l’è meritato, Shadrach.
— Non è quello che voglio.
— E cosa vuole, allora?
— Continuare a essere il suo medico. Proteggerle la salute e sforzarmi di prolungarle la vita. Restare al suo fianco e servirla come prevede il mio giuramento.
— È tutto?
— È tutto. Anzi, c’è solo una cosa ancora, signore.
— Sentiamo.
— Le richiedo un posto nel Comitato, signore.
— Ah.
— In particolare, voglio l’autorità nella sfera della salute pubblica. La politica sanitaria del governo.
— Ah. Sì.
— Il controllo sulla distribuzione dell’Antidoto, signore. Intendo sviluppare un programma di distribuzione immediata e generalizzata fra la popolazione sana — dice Shadrach. — E far espandere i programmi di ricerca finalizzati all’elaborazione di una cura permanente della decomposizione organica. Vale a dire, un capovolgimento totale di quella che mi risulta essere la politica attuale del CRP.
— Ah! — Gengis Mao comincia a ridere. — Ora viene a galla! Allora intende essere Khan! Io tengo la Presidenza, ma la musica la decide lei. È così, Shadrach? È questo il suo piano? Benissimo. Può fare di me quello che vuole. Sono suo, Shadrach. Entrerà a far parte del Comitato al prossimo incontro. Prepari le sue dichiarazioni programmatiche e le presenti. — Lancia un’occhiata cupa alla mano sinistra di Shadrach. — Tutti rendano onore — grida il Presidente. — A Gengis III Mao V!
Uscito dall’Eremo del Khan, il percorso di ritorno di Shadrach verso il suo appartamento lo conduce attraverso il proprio studio, attraverso il Vettore di Comitato Uno, fino al Vettore di Sorveglianza Uno, dove si ferma un attimo, com’è sua abitudine, a osservare lo spettacolo sugli schermi frenetici. Nella Gran Torre del Khan tutto è tranquillo. È notte fonda; l’Asia intera è addormentata. Ma per tutto il pianeta, là fuori nel Reparto Traumatologia, la vita continua, e così la morte. Shadrach è in piedi davanti alla moltitudine di monitor, ne segue il fluire casuale, segue le sofferenze, gli sforzi, le lotte, i decessi. I morti che camminano, che vagano per le strade di Nairobi, Gerusalemme, Istanbul, Roma, San Francisco, Pechino, si trascinano attraverso i continenti, la processione dei dannati, dei perduti, dei torturati, dei condannati. Da qualche parte là fuori c’è Bhishma Das. Da qualche parte, Meshach Yakov. Da qualche parte, Jim Ehrenreich. Shadrach augura loro la felicità e la salute, per tutto il tempo che resta loro da vivere. A tutti, felicità! A tutti, salute!
Pensa al riso di Gengis Mao. Come sembrava divertito il Khan dalla propria situazione! Com’era sollevato, quasi, vedendosi rubare l’autorità ultima dalle mani! Ma il Khan sfugge alla comprensione; il Khan appartiene a un’altra specie, misterioso, incomprensibile, imperscrutabile nel senso più profondo. Shadrach non sa veramente cosa succederà adesso. Non riesce a immaginare quale contromossa Gengis Mao potrebbe aver già architettato, quali trappole stia congegnando in quello stesso momento. Shadrach procederà con grande attenzione e spererà in bene. Ha collocato una bomba dentro a Gengis Mao, sì, ma ha anche preso una tigre per la coda, e deve stare attento a non inciampare tra le metafore, rimanendone annientato.
È lì in piedi, ipnotizzato dalla danza abbagliante dei monitor del Vettore di Sorveglianza Uno. È il quattro luglio del 2012. Mercoledì. Una pioggia dolce sta cadendo su Ulan Bator, che settimana prossima sarà ribattezzata Altan Mangu in onore del viceré assassinato, già dimenticato dai più. Nel corso di questa notte la morte viaggerà per il mondo, mietendo le sue migliaia di vittime; ma al mattino, giura Shadrach Mordecai, le cose inizieranno a cambiare. Stende la mano sinistra. La studia come se fosse un oggetto di giada preziosa, dell’avorio più raro. Accenna a ripiegarla, come per serrare il pugno ma senza chiuderlo del tutto. Sorride. Porta i polpastrelli alle labbra, e con un soffio manda un bacio al mondo intero.