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Il cifir va bevuto in un grande bicchiere di ferro о d’argento, che contiene più di un litro di tè. Si beve in gruppo, passandosi l’un l’altro questo bicchiere chiamato bodjaga, che nella vecchia lingua criminale siberiana significa borraccia. Va passato al compagno in senso orario e mai antiorario; ogni volta bisogna berne solamente tre sorsi, non uno di più e non uno di meno. Bevendo non si può parlare, fumare, mangiare о fare qualsiasi altra cosa. Vietato soffiare dentro il bicchiere: è un segno di maleducazione. Per primo comincia a bere quello che ha preparato il cifir, poi il bicchiere passa agli altri, e quello che lo finisce deve alzarsi, lavarlo e rimetterlo al suo posto. A quel punto si può parlare, fumarsi una sigaretta, mangiare qualcosina di dolce.

Queste regole non sono uguali in tutte le comunità: ad esempio in Russia centrale non si fanno tre sorsi ma solamente due, e soffiare dentro il bicchiere è considerato un gesto gentile nei confronti degli altri, per i quali tu stai raffreddando la bevanda bollente. In ogni caso, un cifir offerto da qualcuno è una specie di segno di rispetto, di amicizia.

Il cifir più buono è quello preparato sul fuoco vivo della legna: per questo motivo a casa di molti criminali nei camini c’è una struttura fatta apposta per preparare il cifir; altrimenti si usano le stufe, ma mai il fuoco del gas.

In Siberia, una volta preparato, il cifir va bevuto subito: se si raffredda non lo scaldano più, lo buttano via. In altri posti, soprattutto in carcere, il cifir può essere riscaldato, ma non più di una volta. E il cifir riscaldato non si chiama più cifir ma cifirok: un diminutivo, in tutti i sensi.

Abbiamo bevuto il cifir in silenzio, come vuole la tradizione, e solo quando abbiamo finito nonno Kuzja ha cominciato a parlare:

— Allora, come stai, piede scalzo?

— Bene, nonno Kuzja, solo che qualche giorno fa ci siamo cacciati nei guai, a Tiraspol', e ne abbiamo prese un po’ dagli sbirri… — Volevo essere sincero, ma allo stesso tempo non mi andava di esagerare. Davanti a una persona come nonno Kuzja non c’era bisogno di vantarsi о di piangere per quello che accadeva nella tua vita, perché di sicuro lui ne aveva viste di peggio.

— So tutto, Kolima… Però sei vivo, mica ti hanno ammazzato. Allora come mai sei cosi di cattivo umore?

— Mi hanno preso la picca, quella che mi ha regalato zio Riccio… — quando ho pronunciato queste parole mi sono sentito come se se stessi assistendo al mio funerale. Quello che era successo diventava ancora più terribile e mi spaccava il cuore, mentre lo raccontavo.

Se penso a che faccia dovevo avere in quel momento mi viene da ridere, ed è proprio quello che ha fatto nonno Kuzja:

— Ma dimmi tu se devi stare cosi male perché gli sbirri ti hanno preso la picca! Lo sai che tutto quello che succede è nelle mani di Dio e fa parte del Suo grande piano. Pensaci: le nostre picche sono potenti perché dentro di loro c’è la forza che ci mette Nostro Signore. E quando qualcuno prende la nostra picca e la usa senza onestà, quella lo porterà alla rovina, perché sarà la forza del4Signore a distruggere il nemico. Allora che hai da piangere? E successa una buona cosa, la tua picca porterà tante disgrazie a uno sbirro, finché non lo farà morire. E poi la prenderà un altro, e un altro, e la tua picca li ammazzerà tutti…

Il concetto spiegato da nonno Kuzja mi ha dato un po’ di sollievo: d’accordo, la mia picca avrebbe procurato dei mali ai poliziotti, però mi mancava lo stesso.

Non volevo deluderlo e piagnucolare davanti a lui, quindi ho impennato la voce, tirandola al massimo della felicità:

— Allora sono contento…

Nonno Kuzja ha sorriso:

— E bravo, cosi devi fare, tieni sempre il petto come la ruota e la coda come la pistola…

Una settimana dopo, sono tornato da nonno Kuzja a portargli un barattolo di pàté di caviale e burro. Lui mi ha chiamato in sala e mi ha messo davanti all’angolo rosso delle icone. Lì, sulla mensola, c’era una bellissima picca aperta, con una lama molto sottile e un manico d’osso. La guardavo ipnotizzato.

— L’ho fatta arrivare direttamente dalla Siberia, i nostri fratelli l’hanno portata per un mio giovane amico… — l’ha presa e me l’ha data in mano. - Prendila, Kolima, e ricorda che le sole cose che contano sono quelle che hai dentro.

Io ero di nuovo il felice proprietario di una picca e mi sentivo come se mi avessero regalato una seconda vita.

Di sera ho scritto a caratteri belli grossi su un foglio le parole che mi aveva detto nonno Kuzja, e ho appeso il foglio in camera mia, vicino alle icone. Mio zio, quando l’ha visto, mi ha guardato con un punto interrogativo negli occhi. Io gli ho fatto un gesto con le mani, come per dire: «E così». Lui mi ha sorriso e ha detto:

— Adesso abbiamo pure un filosofo in famiglia!

Quando la pelle parla

Da piccolo mi piaceva disegnare. Disegnavo sempre, mi portavo dietro un quadernetto e disegnavo tutto quello che vedevo. Mi piaceva vedere come i soggetti si trasferivano sulla carta, a incantarmi era il processo del disegno, mentre mi davo da fare con la matita. Stavo come dentro una bolla, chiuso nel mio mondo, e Dio solo sa cosa succedeva in quegli istanti nella mia testa.

Tutti noi bambini volevamo assomigliare agli adulti, e quindi li imitavamo in tutto, nel parlare, nel vestire, e anche nei tatuaggi. I criminali adulti in mezzo ai quali crescevamo — i nostri padri, nonni, zii e vicini — erano pieni di tatuaggi.

Nelle comunità criminali russe esiste una forte cultura del tatuaggio, e ognuno di essi ha un significato. Il tatuaggio è una specie di carta d’identità che serve per comunicare la propria posizione all’interno della società criminale: il tipo di «mestiere» criminale, informazioni varie sulla vita personale e sulle esperienze carcerarie.

Ogni comunità ha una sua tradizione del tatuaggio, simbologia e schemi diversi, secondo i quali i segni vengono posizionati sul corpo e alla fine letti e tradotti. La pili antica cultura del tatuaggio è quella siberiana, perché sono stati proprio gli antenati dei criminali siberiani a tramandare la tradizione di tatuare i simboli in maniera codificata, nascosta. Poi questa cultura è stata copiata da altre comunità e si è diffusa nelle prigioni di tutto il Paese, trasformando i significati principali dei tatuaggi e il modo in cui vengono eseguiti e tradotti. I tatuaggi della casta criminale più potente in Russia, chiamata Seme nero, sono interamente copiati dalla tradizione degli Urea, ma hanno significati diversi. Le immagini possono essere uguali, ma solo una persona capace di leggere un corpo può «raccontare» con precisione quello che nascondono e spiegare perché sono diverse.

A differenza delle altre comunità, i siberiani fanno tatuaggi solamente a mano, usando vari tipi di bacchette. I tatuaggi fatti con le macchinette о in altri modi non vengono considerati degni.

La tradizione del tatuaggio degli Urea siberiani ha un processo lungo quanto la vita di un criminale. Si cominciano a tatuare alcuni segni all’età di dodici anni, e solo dopo essere passati attraverso varie esperienze e periodi della vita queste cose si possono raccontare con i tatuaggi, codificati e nascosti in un quadro che negli anni diventa sempre pili completo. Ecco perché nella comunità criminale siberiana non esistono persone giovani che hanno tatuaggi grandi e completi come nelle altre comunità; in Siberia la schiena e il petto vengono tatuati per ultimi, quando il criminale raggiunge i qua-ranta-cinquanta anni, e lo schema principale somiglia alla struttura di una spirale che partendo dalle estremità, cioè dalle mani e dai piedi, arriva al centro del corpo.