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Le pistole proprie, chiamate «amante», «zia», «tronco», «corda», di solito non hanno un significato profondo e importante, vengono trattate come un’arma semplice e basta. Non sono oggetti di culto, come invece può esserlo la «picca», il coltello tradizionale. La pistola insomma è un ferro del mestiere.

Oltre alle pistole proprie, in casa vengono tenute altre armi. Le armi dei criminali siberiani sono divise in due grandi categorie: quelle «oneste» e quelle «di peccato». «Oneste» sono le armi utilizzate solamente per la caccia nel bosco. Secondo la morale siberiana, la caccia è un processo depurativo che aiuta una persona a tornare al livello in cui si trovava l’uomo quando Dio lo ha creato. I siberiani non cacciano mai per piacere, solamente per sfamarsi, e soltanto quando van-no nel bosco profondo, nella loro patria, in Taiga. Mai in posti dove ci si può procurare il cibo senza ammazzare gli animali selvatici. Di solito in una settimana di permanenza nel bosco i siberiani uccidono solo un cinghiale, il resto del tempo camminano. Nella caccia non c’è posto per nessun interesse, solo per la sopravvivenza. Questa dottrina influenza l’intera legge criminale siberiana, formando una base morale che prevede umiltà e semplicità nelle azioni di ogni singo lo criminale, e rispetto per la libertà di qualunque essere vivente.

Le armi oneste usate per la caccia vengono tenute in una zona speciale della casa, chiamata «altare», dove ci sono le cinture istoriate dei padroni di casa e dei loro antenati. Alle cinture sono sempre appesi coltelli da caccia e borse con vari talismani, oggetti della magia pagana siberiana.

Le armi di peccato invece sono quelle utilizzate per scopi criminali. Queste armi di solito si tengono in cantina e in vari nascondigli sparsi per il cortile. Ogni arma di peccato ha incisa da qualche parte l’immagine di una croce о di un santo protettore, ed è stata «battezzata» in una chiesa siberiana.

I fucili d’assalto Kalasnikov sono i più amati dai siberiani. Nel gergo criminale ogni modello ha un nome, nessuno usa abbreviazioni о sigle per indicare modello, calibro о tipologia delle munizioni. Ad esempio, il vecchio ak 47 calibro 7,62 si chiama «sega», e le sue munizioni «testine». Il più moderno aks calibro 5,45 con calcio pieghevole si chiama «telescopio», e le sue cariche «schegge». I proiettili possono essere diversi: quelli con la testa nera, che hanno il centro squilibrato, in gergo si chiamano «le cicce»; quelli con la testa bianca, che bucano la blindatura, «chiodi»; quelli con la testa bianca e rossa, esplosivi, «scintille».

Lo stesso per il resto delle armi: i fucili di precisione vengono chiamati «canna da pesca», о «falce». Se hanno un silenziatore integrato sulla canna, «frusta». I silenziatori vengono chiamati «scarpone», «terminale» о «gallo del bosco».

Secondo la tradizione, un’arma onesta e una di peccato non possono stare nella stessa stanza, altrimenti l’arma one-sta sarà per sempre contaminata, e non si potrà più utilizzare, perché porterà sfortuna a tutta la famiglia, e sarà necessario distruggerla attraverso un rituale particolare. Verrà sepolta sottoterra avvolta nel lenzuolo su cui è avvenuto un parto. Secondo le credenze siberiane, tutto quello che è legato al parto ha in sé un’energia positiva, perché ogni bambino che nasce è puro, non conosce il peccato. Quindi i poteri della purezza sono una specie di sigillo contro le disgrazie. Dove è stata sepolta un’arma contaminata di solito si pianta un albero, cosi se la «maledizione» si attiva distruggerà l’albero e non si allargherà su nient’altro.

In casa dei miei le armi erano dappertutto, mio nonno aveva una stanza piena di armi oneste: fucili di vari calibri e marche, tanti coltelli e diverse munizioni. Potevo entrare in quella stanza solo accompagnato da un adulto, e quando capitava cercavo di restarci il più a lungo possibile. Tenevo le armi tra le mani, ne studiavo i particolari, facevo mille domande, finché non mi fermavano dicendo:

«E basta con ’ste domande! Aspetta un pochino, diventerai grande e allora potrai provarle tutte da solo…» Ovviamente io non vedevo l’ora di diventare grande. Guardavo incantato mio nonno e mio zio maneggiare le armi, e quando le toccavo mi sembravano creature vive.

Nonno spesso mi chiamava e mi faceva sedere di fronte a lui, poi metteva sul tavolo una vecchia Tokarev, pistola bella e potente, che mi sembrava più affascinante di tutte le armi esistenti.

«Allora, la vedi questa? — mi diceva. - Non è una pistola normale, è magica. Se c’è uno sbirro vicino lei gli spara da sola, senza che tu prema il grilletto…»

Io credevo veramente nei poteri di quella pistola e una volta, quando sono arrivati i poliziotti a casa nostra per fare un blitz, ho combinato un casino.

Quel giorno mio padre era tornato da una lunga permanenza in Russia centrale, dove aveva svaligiato una serie di furgoni portavalori. Dopo una cena che aveva riunito tutta la famiglia e qualche amico stretto, gli uomini stavano seduti al tavolo, a parlare e discutere di vari affari e questioni criminali, mentre le donne erano in cucina a lavare i piatti, cantare canzoni siberiane e ridere insieme, ricordando qualche storia passata. Io ero vicino a mio nonno, sulla panca, con una tazza di tè caldo in mano, e ascoltavo quello che dicevano gli adulti. A differenza delle altre comunità, i siberiani rispettano i bambini e discutono davanti a loro di qualunque cosa, senza creare un’aria di mistero о di proibizione.

A un certo punto ho sentito le urla delle donne, e subito dopo tante voci nervose: in pochi secondi la casa si è riempita di uomini armati, con i volti coperti e i Kalasnikov puntati su di noi. Uno di loro si è avvicinato a mio nonno, gli ha premuto il fucile in faccia e ha gridato come un pazzo, con la voce evidentemente squilibrata:

— Dove stai guardando, vecchio bastardo? Ti ho detto di guardare il pavimento!

Io non ero per niente spaventato, non mi faceva paura nessuno di quegli uomini, il fatto di essere con la mia famiglia al completo mi faceva sentire più forte di qualsiasi altro essere vivente. Però i modi che quell’uomo aveva usato con mio nonno mi avevano fatto arrabbiare. Il tavolo intorno a cui eravamo seduti era circondato da poliziotti che tenevano le armi puntate su di noi. Dopo una corta pausa, mio nonno, senza guardare il poliziotto in faccia ma con la testa ben alzata, ha chiamato mia nonna:

— Svetlana! Svetlana! Vieni qui, tesoro, che devi passare qualche mia parola a questo pezzo d’immondizia!

Secondo le regole del comportamento criminale, i siberiani non possono comunicare con i poliziotti. E vietato rivolgergli la parola, rispondere alle loro domande о avere qualsiasi rapporto con loro. Il criminale deve comportarsi come se i poliziotti non ci fossero, e usare la mediazione di una donna di famiglia о vicina alla famiglia, purché di origine siberiana. Il criminale comunica alla donna nella lingua criminale quello che vuole dire al poliziotto, e lei ripete le sue parole in russo, anche se il poliziotto sente perfettamente tutto, perché è lf davanti. Dopo, quando il poliziotto risponde, la donna si gira e traduce tutto nella lingua criminale. Il criminale non deve guardare il poliziotto in faccia, e se lo cita nel suo discorso lo deve nominare con parole dispregiative come «immondizia», «cane», «coniglio», «infame», «bastardo», «aborto» eccetera.

Quella sera la persona più anziana nella stanza era mio nonno, quindi secondo le regole del comportamento criminale il diritto di comunicare era suo, gli altri dovevano stare zitti e se volevano dire qualcosa dovevano chiedere permesso a lui. Mio nonno era famoso per il suo talento nel risolvere le situazioni calde.

Dalla cucina nel frattempo era arrivata mia nonna, con uno strofinaccio colorato in mano. Dietro di lei mia mamma, agitatissima, continuava a guardare mio padre con un’aria triste, come se stesse per morire.