Quando il criminale mi ha chiesto di finirlo, non potevo crederci: era un onore seguire le linee fatte da Nebbia in persona. Gli ho scritto subito una lettera, ero molto agitato, si stava realizzando un mio sogno: mi presentavo a un mito, a una leggenda vivente.
In una sera ho scritto la seguente lettera, usando tutto quello che sapevo sulle norme che regolano i rapporti tra ta-tuatori criminali:
Caro fratello Afanasij Nebbia,
ti scrive Nicolai Kolima, con l’aiuto del Signore e di tutti i Santi, umile kol'sik.
Pregando le icone, spero che tutti noi continueremo a godere della benedizione del Signore.
Nella casa, che grazie al Nostro Signore condivido con gente onesta, è sceso, e con l’aiuto di Dio ha preso la residenza, un vagabondo onesto, orfano, il fratello Z…
Tiene con la grazia del Signore La Madre, che canta la tua mano miracolosa, guidata da Dio stesso.
Per amore del Nostro Salvatore Gesù Cristo, La Madre si illumina, non manca tanto per completare il suo splendore.
Con fraterno amore e affetto, nella grazia del Nostro Signore Onnipotente, ti auguro buona salute e tanti anni di amore e fede nella Meravigliosa Croce Siberiana.
Nicolai Kolima.
Gli chiedevo semplicemente il permesso di finire il suo lavoro, ma per farlo usavo delle frasi codificate che formano una specie di poesia dai significati nascosti. Questo va spiegato con pazienza.
Se un criminale chiama un altro fratello non è per gentilezza, ma per fargli capire che non solo è un membro della società criminale come lui, ma proprio un suo collega.
Presentarsi subito è molto importante nella legge della comunicazione criminale: nome, soprannome e mestiere, altrimenti le parole che precedono e che seguono non hanno nessuna importanza.
Umile kol'sik, cioè umile pungitore, è un altro modo di chiamare il mestiere di tatuatore; la parola kol'sik è gergale e antica, e dev’essere sempre accompagnata da un aggettivo tipo «umile» о «povero», che sottolinea la posizione non ambiziosa, priva di qualsiasi ombra di vanità, di chi fa quel mestiere.
Dopo la presentazione ufficiale c’è una frase-ponte, dove non si parla di niente di concreto collegato al senso della lettera. La si scrive per rispettare un’antica tradizione: in qualsiasi forma di comunicazione, l’informazione importante non va mai detta subito, ma soltanto dopo un piccolo discorso «trasparente» che non parla di affari criminali ma di cose comuni, banali, evidenti e semplici. La si usa per mostrare lo stato d’animo in cui si trova la persona che fa la richiesta, perché tra criminali non viene tollerato il nervosismo: anche nelle situazioni più difficili bisogna mantenere il controllo, avere, come si dice, sangue freddo. In questo caso io ho scritto una frase che desse un tocco di speranza religiosa, che non fa mai male nelle lettere о in qualsiasi altro tipo di comunicazione tra criminali.
Dopo si passa al dunque.
Dico che in cella, che in gergo si chiama casa, è arrivato — sceso — un criminale, che ha preso la residenza-, cioè è stato accettato dagli altri criminali, gente onesta. Il che significa che il nuovo arrivato aveva una lettera, un lasciapassare о un tatuaggio, firma di un’autorità criminale.
Chiamo il nuovo arrivato vagabondo onesto, per dire che è una persona non ambiziosa, umile e capace di comportarsi.
Orfano è una parola che in gergo può avere tanti significati, a partire da quello letterale: in questo caso però alludevo al fatto che non era stato lui a chiedere il trasferimento, ma era stato costretto a lasciare la prigione dove stava prima. Era importante sottolinearlo nella lettera, perché i criminali non rispettano quelli che chiedono di essere trasferiti, li chiamano «cavalli pazzi», dicono che «appena succede qualcosa, quelli si buttano sulla porta come cavalli pazzi».
Dopo ho scritto che il nuovo arrivato tiene con la grazia del Signore: il che significa semplicemente che ha un tatuaggio. Tra criminali non si usa dire «Ho un tatuaggio», si dice «Tengo con la grazia del Signore», e poi dopo si specifica che tatuaggio in particolare; se parli di tutti i tatuaggi insieme li chiami «i semi onesti», «le lacrime del Signore», «i Suoi sigilli». In questo caso La Madre, perché era quello il tatuaggio specifico che il criminale aveva sulla schiena.
La Madre canta la mano di Nebbia è un complimento. Se un tatuaggio è stato eseguito bene, canta la mano del tatuatore.
Poi segue un altro complimento più significativo: la mano di Nebbia è guidata da Dio stesso. Non è da intendersi in senso letterale: Dio in questo caso significa la legge criminale. Il tatuaggio insomma è stato eseguito secondo le regole della tradizione criminale, in maniera molto professionale.
Il punto culminante della lettera però è dove si dice La Madre si illumina: vuol dire che il tatuaggio, nonostante non sia finito, funziona perfettamente. «Illuminare» significa far passare informazioni nascoste dentro il tatuaggio stesso: quindi io stavo dicendo che non serviva aggiungere о cambiare niente, bastava rifinire, rinforzare qualche linea, riempire con le sfumature eccetera.
La frase non manca tanto per completare il suo splendore è, in forma indiretta, la richiesta del permesso di continuare il lavoro.
Seguono i saluti e gli auguri tradizionali, e infine la firma. Nella tradizione siberiana non viene mai usato il cognome, solamente il nome e il soprannome, nient’altro, perché l’appartenenza alla famiglia viene considerata una cosa privata.
Quando ho finito la lettera ero molto contento, mi sembrava una svolta nel mio destino. L’ho consegnata alle persone che si occupavano della circolazione della posta nella nostra cella. Loro erano obbligati a stare tutto il tempo alla finestra ad aspettare un segnale. Le lettere passavano su dei fili da una finestra all’altra: se erano indirizzate a qualcuno di quella cella, venivano consegnate al destinatario, altrimenti continuavano a passare di cella in cella, e nel caso di carcere in carcere. La posta della prigione era molto più sicura e veloce di quella normale, che tra l’altro non utilizzava nessuno. Nel giro di due settimane le lettere arrivavano in qualsiasi carcere della regione, per attraversare il Paese ci voleva meno di un mese. La galera dove spedivo la mia lettera si trovava lontano, ci andava del tempo.
Ho aspettato la risposta con ansia. Dopo due mesi e qualche giorno, dalla squadra dei «postini» si è staccato un ragazzo giovane che teneva in mano una piccola lettera scritta sul foglio di un quaderno a righe:
— Kolima, è per te, da Afanasij Nebbia.
Stavo esplodendo, ho preso dalle sue mani la lettera, l’ho aperta con furia. C’era scritto, con una calligrafia molto grezza, schiacciata:
Salute, caro fratello Nicolai Kolima, e lunghi anni nella gloria del Nostro Signore!
Io, Afanasij Nebbia, grazie a Gesù Cristo umile kol'sik, ricorderò nelle mie preghiere te e tutti i vagabondi onesti che vivono in questa benedetta Terra.
In gloria del Signore si respira bene, godendo la pace e il Suo amore.
Una gioia immensa mi dà la notizia del fratello Z…, che il Signore lo benedica e gli mandi anni lunghi, forza e salute.
La Madre, che con l’aiuto del Salvatore Gesù Cristo si illumina, con il suo stesso aiuto sarà continuata.
Un abbraccio di fratellanza e affetto a te, che Cristo sia con te, con la tua famiglia e che Lui e tutti i Santi proteggano la tua benedetta mano.
Afanasij Nebbia.
Aprivo questa lettera ogni ora, la leggevo e la rileggevo, ancora e ancora, come in cerca di qualcosa che poteva apparire tra le righe.
Ero molto fiero del fatto che mi avesse risposto con tanto rispetto e amore, come se ci conoscessimo da una vita, come se fossimo amici.