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Anche le mie barche si erano salvate. Ne avevo due, una grossa e pesante, che usavo per trasportare grandi carichi (passavamo tutta l’estate a devastare i giardini di mele e i magazzini alimentari in territorio moldavo…), e un’altra piccola e stretta, che usavo per andare a pesca di notte. Era veloce e maneggevole, con quella barca «guidavo la rete», cioè mi spostavo in continuazione controcorrente, cercando di chiudere con la rete da pesca la parte centrale del fiume, dove passava la maggior parte del pesce.

La barca più piccola si era salvata perché si trovava a casa mia, dovevo farci dei lavoretti. L’altra invece perché era in un rimessaggio a riva: da un pezzo avevo chiesto al custode di riverniciarmela con una lacca speciale. Si chiamava Ignat, il custode, era un uomo buono e povero. Doveva verniciarmela da un mese, quella barca, ma non trovava mai il tempo: doveva sempre fare qualcosa di più urgente о ubriacarsi fino a perdere i sensi.

In tutto avevamo otto barche e ci siamo divisi in quattro squadre, due barche per squadra, quattro ragazzi per barca.

Il lavoro era organizzato in modo da tenere il fiume sempre «chiuso» da due barche, che pescavano l’immondizia: una squadra, armata di lunghi bastoni con grandi ganci di ferro sulla punta, recuperava rami e tronchi, corpi di animali e vari oggetti di grandi dimensioni. Il tutto veniva legato allo scafo con le corde, e quando non c’era più spazio per altri relitti l’equipaggio tornava verso riva, dov’era atteso da altri ragazzi che entravano in acqua e scaricavano tutto quanto. Sulla riva, già dal mattino presto avevano cominciato a bruciare tanta legna, facendo un enorme falò. Così buttavamo i relitti sulle braci: dopo mezz’ora anche i tronchi più fradici si seccavano e, bagnati con un po’ di benzina, finalmente prendevano fuoco.

Verso mezzogiorno il fuoco era diventato enorme, non ti potevi più avvicinare senza morire di caldo. Faticando in tanti e con grande difficoltà abbiamo buttato tra le fiamme il corpo di una mucca, oltre a varie carcasse di pecore, cani, galline, oche.

Poi, verso le quattro di pomeriggio, abbiamo ripescato il primo corpo umano.

Era un uomo di mezza età, vestito, con la testa spaccata. Cadendo in acqua travolto dall’onda doveva aver sbattuto contro qualcosa di duro, una pietra о un tronco.

Un’altra squadra invece era armata di retini, e pescava dal fiume i piccoli oggetti che galleggiavano in superficie: barattoli di conserve, bottiglioni, frutta e verdura fresca di vario tipo, mele con pesche, angurie con patate, e poi giocattoli di bambini, palette e secchielli di plastica, fotografie, tanta carta, giornali e documenti, tutto in un’enorme ratatouille.

E poi c’erano tante, tantissime bottiglie di acqua con sciroppo, minerale e naturale, perché qualche chilometro più su c’era la fabbrica dell’acqua sciroppata con i macchinari per l’imbottigliamento e i depositi. L’onda era passata anche da li, spazzando via tutto il contenuto del magazzino.

Abbiamo deciso di recuperarle tutte quante, quelle bottiglie, di metterle da parte e di distribuirle poi tra tutti quelli che avevano partecipato alla pulizia del fiume. Ma già nella prima ora di lavoro ne avevamo ripescate talmente tante che non sapevamo più dove metterle. Allora due nostri amici le hanno portate via dalla riva con grandi carriole, per liberare il posto per le altre, e le hanno lasciate nei cortili della gente che abitava lì vicino. Hanno riempito di bottiglie tutta la prima via del quartiere, circa cinquanta case, e quando ripassavano di li con le carriole piene, la gente gridava:

«No, qui non ci sta più niente, ragazzi, andate nella prossima casa!»

Il fiume dalla nostra parte è molto stretto e profondo, e dunque molto pericoloso. A causa della forte corrente si formano parecchi mulinelli, che possono raggiungere grandi dimensioni, anche più di tre metri di diametro.

Quando l’onda era passata da noi, la maggior parte della sporcizia che aveva portato con sé era rimasta sui bordi del fiume, radunata in grandi mucchi che galleggiavano in acqua, in attesa che li prendessimo. Abbiamo lavorato tutto il giorno senza fermarci un attimo e abbiamo smesso solo a sera, quando per via del buio non si vedeva più niente.

Avevamo incasinato per bene la riva, quasi non si poteva più passare: dove mettevi il piede, trovavi qualcosa.

Ci siamo fermati a dormire davanti al fuoco.

Prima di dormire abbiamo mangiato, qualcuno si era portato qualcosa da casa, da bere ne avevamo in abbondanza: credo di aver bevuto più acqua con lo sciroppo quella sera che in tutta la mia vita.

Alla fine eravamo tutti a terra, illuminati dal fuoco. Facevamo gare di rutti, vista tutta quell’acqua gasata che ci eravamo scolati.

A una decina di metri da noi c’era il cadavere dell’uomo che avevamo ripescato nel pomeriggio. Gli abbiamo messo tra le mani una croce e una candela, per non farlo arrabbiare. Qualcuno gli ha anche portato un bicchiere d’acqua minerale e un pezzo di pane, seguendo la tradizione siberiana di offrire sempre qualcosa ai morti.

Abbiamo deciso che il giorno dopo era meglio chiedere aiuto alla gente degli altri quartieri, dato che il fiume era ancora pieno di roba e anche di altri cadaveri. Con il caldo i corpi sarebbero andati in putrefazione, e a quel punto ci sarebbe toccato lavorare in un inferno. Credevamo che con l’aiuto di altri ragazzi saremmo riusciti a ripulire il fiume in fretta.

Il giorno dopo, verso le dieci, sono arrivati i rinforzi. Molti ragazzi del Centro, qualcuno di Caucaso e di Ferrovia: erano venuti tutti per aiutarci, e noi eravamo contenti.

Perché non rischiassero di cadere in acqua (tanti di loro non sapevano nuotare, non erano cresciuti sul fiume come noi), li abbiamo fatti lavorare a riva. Portavano via la roba con le carriole о nei sacchi.

Molte bottiglie d’acqua gasata le abbiamo vendute alla gente che veniva in macchina a caricarsele, per poi rivenderle nei negozi. Gli facevamo un prezzo basso, basandoci non sulla quantità di bottiglie che gli davamo, ma sui giri che quel li riuscivano a fare con la macchina: un giro cinquanta rubli, e caricate quanto potete. Se erano veloci guadagnavano il triplo. Era un affare per tutti, noi sgomberavamo in fretta la riva ricavandoci pure qualche soldo, loro prendevano a quasi niente merce che poi rivendevano.

A lavorare con noi c’era anche Vitalic.

Anche se era del Centro, eravamo molto amici con lui. Veniva spesso a fare il bagno con noi nel fiume, era un ottimo nuotatore. Faceva gare di canottaggio, aveva un fisico allenato e una buona resistenza, quando nuotavamo insieme non si stancava mai, poteva andare controcorrente per ore.

Visto che era cosi in gamba, lo abbiamo messo a dirigere la squadra dei ragazzi che slegavano gli oggetti dalia barca vicino a riva. Bisognava saper nuotare bene, perché la barca non poteva avvicinarsi a riva pili di tanto. Una volta sganciato, l’oggetto veniva portato a riva da cinque о sei nuotatori; era un’operazione difficile perché sott’acqua non si vedeva niente, era tutto sporco di terra e foglie e altra merda, e insomma non si capiva neanche com’era fatto quello che si stava trasportando. Un ragazzo si era ferito il giorno prima, mentre trasportava un tronco gli si era conficcato nel polpaccio un ramo, aveva perso tanto sangue in acqua, e prima ancora di realizzare cosa gli era successo era svenuto. Per fortuna gli altri se n’erano accorti subito e lo avevano portato a riva immediatamente e tutto era finito bene.

A mezzogiorno sono arrivati alcuni parenti delle persone che erano scomparse nel fiume. Hanno fatto un giro intorno al corpo dell’annegato, finché una donna non l’ha riconosciuto:

«E mio marito», ha detto.

Era accompagnata dal fratello di lui e da altri due uomini, amici di famiglia. C’era anche una bambina di dieci anni, una ragazzina molto piccola, con i capelli e gli occhi neri che hanno tante moldave.