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Dopo i magazzini alimentari cominciavano finalmente le prime case del quartiere Ferrovia. Un quartiere che apparteneva al Seme nero, dove c’erano regole diverse dalle nostre. Dovevamo comportarci bene, altrimenti potevamo anche non uscirne vivi.

I ragazzi di lì erano molto crudeli, cercavano di guadagnarsi il rispetto degli altri con la violenza più estrema. Il potere tra i minorenni aveva un valore simbolico, alcuni potevano comandare su altri, ma nessuno di loro veniva considerato dai criminali adulti. Così, è chiaro, i ragazzi non vedevano l’ora di crescere, e per farlo più in fretta molti diventavano perfetti imbecilli, sadici e ingiusti. Nelle loro mani le regole criminali venivano deformate fino a diventare assurde, perdevano di senso, ridotte a puri pretesti. Ad esempio, loro non portavano niente di rosso, lo definivano il colore dei comunisti: se qualcuno si metteva qualcosa di rosso quelli di Seme nero potevano arrivare a torturarlo. Ovvio, nessuno di quel li nati lì, sapendo questa regola, metteva mai qualcosa di rosso, ma se ce l’avevi con uno bastava nascondergli in tasca un fazzoletto rosso e gridare forte che era un comunista. Il malcapitato veniva subito perquisito, e se il fazzoletto saltava fuori nessuno più ascoltava le sue ragioni, per tutti era già una persona fuori dal mondo.

Questo spirito di lotta senza sosta per il potere, о come la chiamava nonno Kuzja «la gara dei bastardi», girava nell’aria del quartiere. Per essere una perfetta autorità tra i minorenni di Ferrovia bisognava saper tradire sempre i tuoi, non avere legami d’amicizia con nessuno e stare attento a non essere tradito a tua volta, saper leccare il culo ai criminali adulti e non avere nessuna educazione ricevuta da qualunque forma di contatto umano ritenuto buono.

Quei ragazzi erano cresciuti pensando di avere intorno so lo nemici, cosi l’unico linguaggio che conoscevano era quello della provocazione.

Se si arrivava alla rissa, però, si comportavano diversamente. Alcuni gruppi si picchiavano con dignità e con molti di loro eravamo amici. Altri invece cercavano sempre di «colpire da dietro l’angolo», come si dice da noi: attaccare alle spalle, insomma, e non rispettavano nessun patto; potevano tranquillamente spararti anche se prima si era fatto l’accordo di non usare le armi da fuoco.

Erano organizzati in gruppi che a differenza di noi non chiamavano «bande», parola che ritenevano un po’ offensiva, ma kontora, che significa «forze dell’ordine». Ogni kontora aveva un suo capo, о come lo chiamavano loro un bugor, e cioè «la collina».

Io avevo una vecchia grana con un bugor di quel quartiere: aveva un anno più di me e si faceva chiamare «l’Avvoltoio». Era un buffone bugiardo, arrivato quattro anni prima nella nostra città spacciandosi come il figlio di un famoso criminale soprannominato «Bianco». Mio zio lo conosceva benissimo, Bianco, erano stati insieme in carcere e mi aveva raccontato la sua storia.

Era un criminale della casta Seme nero, ma della vecchia guardia. Rispettava tutti, non era mai prepotente, sempre umile, diceva mio zio. Negli anni Ottanta, quando un gruppo di giovani di Seme nero ha scalzato le autorità più anziane (con l’unico obiettivo di far soldi e riciclarsi come uomini d’affari nella società civile), molti vecchi hanno cercato con tutte le loro forze d’impedirlo. Così i giovani hanno cominciato ad ammazzare i loro vecchi: a quei tempi accadeva un po’ dappertutto.

Bianco è finito vittima di un attentato. Stava scendendo con i suoi uomini da una macchina, quando da un’altra macchina in corsa hanno aperto il fuoco su di lui. Mentre quelli sparavano con i Kalasnikov, per strada passava tanta gente e alcune persone sono rimaste ferite. Bianco poteva rifugiarsi dietro la macchina blindata, ma ha visto nel raggio di fuoco una donna e si è buttato per coprirla con il suo corpo. E stato ferito gravemente, ed è morto in ospedale qualche giorno dopo. Prima di morire, ha chiesto ai suoi di cercare quella donna, di chiederle perdono da parte sua per quanto era accaduto e di farle avere del denaro. Questo suo gesto ha avuto una forte risonanza nella società criminale, tanto che i suoi assassini si sono pentiti e hanno chiesto scusa ai vecchi, ma poi hanno continuato ad ammazzarsi tra di loro, e come diceva mio zio «a quel punto solo Cristo sapeva che cosa c’era dentro ’sta insalata».

Insomma, nella nostra comunità parlavano proprio bene di Bianco. Così, quando ho sentito dire che suo figlio era arrivato in città e che aveva dovuto abbandonare il suo paese perché dopo la morte del padre tanta gente voleva vendicarsi su di lui, ho pensato che non vedevo l’ora d’incontrarlo. L’ho detto subito a mio zio, ma lui mi ha risposto che Bianco non aveva figli e non aveva famiglia, perché viveva secondo le regole vecchie, che impedivano ai membri di Seme nero di sposarsi e tirare su i figli. «Era solo come un palo nella steppa», mi ha giurato.

Dopo qualche tempo ho incontrato PAvvoltoio, e senza girarci tanto intorno sono andato al dunque e l’ho smascherato. Ci siamo picchiati, e io ho avuto la meglio, ma da quel giorno l’Avvoltoio ha cominciato a odiarmi, e ha cercato di vendicarsi in tutti i modi.

Una sera d’inverno, nel ’91, stavo tornando a casa tutto sbronzo da una festa. Ero con Mei, ubriaco più di me. Verso mezzanotte, al confine tra il nostro quartiere e il Centro, è spuntato l’Avvoltoio con tre suoi amici; ci hanno superato con le bici, si sono fermati davanti a noi chiudendoci la strada e Г Avvoltoio ha tirato fuori dalla giacca una doppietta calibro 16 tagliata, e mi ha sparato due colpi addosso. Mi ha centrato al petto, le cartucce erano caricate con chiodi sminuzzati. Per mia fortuna però quelle cartucce erano state caricate male: in una avevano messo troppa polvere da sparo e pochi chiodi, e avevano spinto il tappo troppo in fondo; cosi è esplosa dentro, e il fuoco di ritorno ha bruciacchiato la mano e un po’ la faccia di ’sto povero imbecille. Con l’altra avevano fatto l’errore opposto: avevano messo troppi chiodi e poca polvere, ed evidentemente non avevano stretto bene il tappo, cosi i chiodi sono partiti a velocità ridotta e mi hanno solo strappato un po’ la giacca; veramente uno è arrivato fino alla pelle, ma non mi ha fatto niente, tanto che me ne sono accorto solo un paio di giorni dopo quando ho visto una bolla un po’ rossa. Mei si è buttato contro di loro a mani nude ed è riuscito a stenderne uno e a spaccargli la bici, cosi quelli se ne sono andati via.

Dopo quell’episodio, con l’aiuto di tutta la banda ho beccato l’Avvoltoio e gli ho dato tre coltellate sulla coscia, come si usava fare da noi in segno di disprezzo. Lui non si è arreso e ha continuato a dire in giro che voleva vendicarsi. Ma a quei tempi non era ancora nessuno, solo uno dei tanti minorenni malviventi di Ferrovia. Più tardi l’Avvoltoio era riuscito a fare una grandiosa carriera, e adesso era a capo di un branco d’imbecilli con cui combinava cose per le quali a noi nella nostra comunità avrebbero come minimo tagliato le palle.

Quel giorno di febbraio, entrando nel quartiere Ferrovia, pensavo solamente a fare in fretta e non beccare ’sto coglione di nemico che avevo. Per non preoccupare Mei con quella storia e non mettergli ansia, che era una cosa gravissima vederlo in ansia, cercavo di parlargli della festa di compleanno che avrei fatto quella sera, dei piatti che aveva preparato mia mamma per noi. Lui ascoltava con attenzione, e dal suo aspetto era evidente che era già H, al tavolo, a mangiarsi tutto da solo.

Anche a Ferrovia, come da noi, i minorenni facevano le sentinelle, seguivano tutti i movimenti di chi entrava e usciva e poi li segnalavano agli adulti. Cosi siamo stati subito individuati da un gruppetto di bambini tra i sette e i dieci anni. Stavamo attraversando il primo cortile del quartiere e loro erano seduti li in un angolo, una zona strategica dove si vedevano bene tutte e due le strade che dal parco portavano al quartiere. Uno di loro, il pili piccolo, ha ricevuto un ordine da un altro più grande, dopo di che si è alzato e si è messo a correre come una pallottola verso di noi. Nel nostro quartiere non si faceva così: se bisognava avvicinarsi a qualcuno che stava entrando si andava in gruppo, non si mandava mai uno solo, tanto meno il più piccolo. E di solito non si andava proprio incontro a nessuno, dovevi fare in modo che fossero gli altri a venire da te, così fin dall’inizio ti mettevi in una posizione di superiorità.