Il ragazzino aveva una faccia da piccolo tossico, era magro e con due cerchi blu intorno agli occhi, chiaro segno che respirava colla: molti bambini di Ferrovia usavano sballarsi a quel modo. Noi li prendevamo per il culo, chiamandoli «fidanzati del sacchetto», perché si portavano sempre dietro un sacchetto di nylon. Ci mettevano dentro un po’ di colla e poi infilavano la testa nel sacchetto. Molti morivano cosi, asfissiati, perché non avevano neanche pili la forza di togliersi il sacchetto dalla testa; li trovavano in quantità pazzesca sparsi in vari buchi della città, nelle cantine о nei locali delle caldaie, che loro trasformavano in rifugi.
Insomma, ’sto ragazzino si è piazzato davanti a noi, s’è asciugato sulla manica della giacca il naso che gli colava e con la voce rovinata dai residui di colla ha detto:
— Ehi, fermatevi, dove state andando?
Per fargli capire chi eravamo gli ho fatto un corso accelerato d’educazione.
— Ma dove hai messo le buone maniere, le hai lasciate in tasca insieme al tuo fidanzato di nylon? Non ti hanno insegnato che ci sono posti dove per non aver salutato la gente si può finire come un baklan[9]? Torna dai tuoi amici, e digli che vengano tutti e si presentino come si deve, se vogliono parlare. Altrimenti andremo avanti facendo finta di non averli visti!
Alle mie ultime parole già si vedevano i suoi tacchi alzare la neve.
Presto è arrivata tutta la delegazione con il capo in testa, un ragazzetto sui dieci anni che per darsi un tocco criminale si girava in mano il cetki, un attrezzo fatto di pane usato dai borseggiatori per allenarsi le dita, renderle pili agili e sensibili.
Ci ha guardati un po’ e poi ha detto:
— Mi chiamo «Barba», buon giorno, dove state andando? — Nella sua voce si sentiva una nota spenta. Doveva essere anche lui rovinato dalla colla.
— Io sono Nicolai «Kolima», — ho risposto. - Lui è Andrej «Mei», siamo di Fiume Basso. Abbiamo una lettera da portare a uno dei vostri vecchi.
Barba si è come risvegliato.
— Conoscete di persona quello a cui dovete portarla? — ha chiesto con tono improvvisamente gentile. - Sapete la strada о avete bisogno di qualcuno che vi accompagna?
Strano, ho pensato. Mai successo che qualcuno di Ferrovia si offra di accompagnarti, sono famosi per la loro scortesia. Forse, mi sono detto, hanno ricevuto qualche ordine che gli impedisce di lasciare andare da soli quelli che entrano nel quartiere. Ma ci sarebbe da impazzire a seguire tutti, dovrebbero andare avanti e indietro giorno e notte.
Noi non conoscevamo né il destinatario né la strada.
— La lettera è per uno che si chiama Fédor «il Dito», se ci spiegate la strada lo troveremo da noi, grazie —. Cercavo di liberarmi dalla sua proposta di accompagnarci, non so perché ma sentivo qualcosa di poco buono in quell’offerta.
— Allora ve la spiego, — ha detto Barba, e ha cominciato a dire che dovevamo andare di là, svoltare di li, e poi ancora di là, e di nuovo di H. Insomma, mi sono accorto dopo pochi secondi, visto che conoscevo bene quel quartiere, che voleva farci fare un sacco di strada inutile. Però non riuscivo a capire il perché, e cosi ho continuato ad ascoltarlo fino alla fine facendo finta di niente. Poi ho detto apposta, come a dargli ragione:
— Eh già, sembra proprio complicato. Non troveremo mai la strada da soli.
Lui si è illuminato come una moneta appena uscita dallo stampo:
— Ve l’ho detto, senza l’aiuto di una guida…
— Allora aggiudicato, — ho concluso io sorridendo. - Andiamo, facci strada!
L’ho chiesto proprio a lui per valutare la gravità della situazione. Ogni capo di un gruppo che sorveglia un quartiere non abbandona mai la sua postazione, nel caso manda uno dei suoi. La mia era una specie di prova: se rifiutava di accompagnarci bene, potevo stare tranquillo, se invece accettava voleva dire che aveva l’ordine di portarci da qualche parte, e che stavamo per finire in un brutto guaio.
— Perfetto, andiamo! — ha risposto lui quasi cantando.
— Dico solo due parole alla mia kontora e arrivo.
Mentre Barba parlava in un angolo con i suoi, ho condiviso con Mei le mie preoccupazioni.
— Io li gonfio, — ha tagliato corto lui.
Gli ho detto che non mi sembrava una gran buona idea. Se li gonfiavamo, poi dovevamo abbandonare subito il quartiere senza consegnare la lettera. E che figura ci facevamo davanti al nostro Guardiano?
— Una figura da imbecilli, Mei, da veri imbecilli. Che gli diciamo? «Non abbiamo consegnato la lettera perché sospettavamo qualcosa di strano, e allora abbiamo massacrato di botte dei bimbi di nove anni che neanche stavano in piedi, storditi com’erano dalla colla»?
Gli ho proposto un piano diverso, più rischioso: farci accompagnare da Barba e al primo posto comodo «spaccarlo», che nel nostro gergo significa tirare fuori con la violenza la verità che nasconde una persona.
Dovevamo capire cosa c’era in gioco contro di noi — spiegavo a Mei — e farci dare l’indirizzo giusto di questo Dito. Se scoprivamo che c’era un rischio grosso, potevamo tornare indietro e raccontare tutto al nostro Guardiano; se invece il rischio era basso consegnavamo la lettera, e tornando a casa raccontavamo tutto lo stesso, cosi diventavamo gli eroi del quartiere.
L’ultima parte del mio discorso gli è piaciuta moltissimo. L’idea di tornare a Fiume Basso con una storia gloriosa da raccontare lo attirava decisamente. Già batteva le mani, per applaudire alla mia geniale strategia. Io sorridevo e lo rassicuravo che sarebbe andato tutto bene, ma dentro di me avevo qualche dubbio in proposito.
I ragazzini di Barba intanto stavano radunati in cerchio intorno a lui, a qualcuno scappava una risata, guardandoci. Per loro eravamo già finiti in trappola e tutto era stato così facile…
Ho detto a Mei di comportarsi come se nulla fosse, e quando Barba è tornato da noi Mei gli ha fatto un sorriso così largo e falso che mi sono sentito sprofondare.
Siamo partiti. Barba camminava tra noi due, parlavamo del più e del meno. Abbiamo superato una decina di cortili vuoti: con il freddo che faceva la gente se ne stava in casa.
Siamo passati vicino a una vecchia scuola, chiusa e semidistrutta, dove d’estate si radunavano i ragazzi di Ferrovia per fare casino tutti insieme. Lì due anni prima era stata brutalmente ammazzata una ragazza minorenne, una povera sventurata senza famiglia, costretta a prostituirsi per sopravvivere. Erano proprio i suoi amici, altri minorenni come lei, a costringerla a prostituirsi per loro, e poi le prendevano quei pochi soldi che guadagnava. L’hanno ammazzata perché voleva uscire dal giro e andare a vivere in un altro quartiere, dove aveva trovato lavoro come aiuto sarta.
La storia era sconvolgente, perché l’avevano violentata e torturata per quasi tre giorni di fila, tenendola legata a un vecchio telaio di un letto senza la rete: lei era sempre lì, sospesa, i polsi e le caviglie non avevano retto il peso del suo corpo e si erano spezzati. L’hanno trovata con tagli ovunque e segni di bruciature di sigarette in faccia, nell’ano le avevano infilato una chiave idraulica di grosse dimensioni, e nella vagina un bollitore elettrico con cui l’avevano ustionata poco alla volta, per farla soffrire di più.
Nei primi tempi la gente di Ferrovia aveva cercato di nascondere quest’orribile assassinio, ma presto tutta la città aveva saputo e le autorità criminali erano intervenute. Avevano ordinato al Guardiano di Ferrovia di trovare in pochi giorni tutti i responsabili, ammazzarli di botte a bastonate e appendere i loro corpi sulla scena del delitto per una settimana, poi seppellire i cadaveri in una tomba senza croce e nessun segno di riconoscimento.
9
Nome dispregiativo con cui vengono chiamati coloro che non rispettano le norme che regolano il comportamento tra criminali.