— Nicolai[2], figliolo, ammazza una gallina e portala a tua madre. Dille di pulirla e fare una zuppa per stasera, che zio Osso rimane da noi a parlare un po’.
«Parlare un po’» significa che i maschi della famiglia stanno insieme a bere e mangiare tutta la notte fino all’esaurimento fisico, finché non crollano esausti uno dopo l’altro. Quando i maschi parlano un po’ nessuno li disturba, tutti fanno le loro cose fingendo che il posto dove si svolge la riunione non esista.
Io sono corso nel pollaio in fondo al giardino e ho preso il primo pollo che ho trovato. Era un pollo normale, rossiccio, abbastanza robusto e molto tranquillo. L’ho stretto tra le mani e mi sono diretto verso un ceppo di legno poco lontano, che usavamo per tagliare la testa ai polli come lui. Non tentava di fuggire e non aveva l’aria preoccupata, anzi si guardava intorno come se stesse facendo una gita turistica. L’ho preso per il collo posandolo sul ceppo, e quando ho alzato il coltello in aria, per eseguire il mio movimento mortale, il pol lo ha cominciato a fare una violenta serie di movimenti vitali, fino a quando è riuscito a liberarsi dalla mia presa dandomi pure una forte beccata in testa. Ho perso l’equilibrio e sono caduto sul sedere: ero stato sconfitto da un pollo. Subito dopo ho notato che mio padre e gli altri stavano guardando lo spettacolo. Zio Vitali] rideva, anche Osso aveva sulla faccia una specie di sorriso, mio padre invece era più serio che mai, si era alzato e ora stava venendo verso di me.
— Alzati, assassino! Dammi ’sto coltello, te lo faccio vedere io come si fa! — E andato verso il pollo, che nel frattempo stava scavando un buco in terra a pochi metri dal punto in cui era avvenuta la commedia. Arrivato vicino al pollo, mio padre si è inarcato tutto, come una tigre che sta per acchiappare la preda; il pollo se ne stava tranquillo, continuava a scavare la terra per ragioni che sapeva solo lui. A un certo punto, mio padre ha fatto una mossa veloce per prenderlo, ma il pollo ha ripetuto l’azione di prima, e con un movimento rapidissimo ha evitato la presa di mio padre e lo ha colpito in faccia, proprio sotto l’occhio.
— Madonna Santissima! Mi ha centrato l’occhio! — ha urlato mio padre, e a quel punto mio zio e Osso si sono alzati dalla panchina sotto il noce e sono corsi verso di lui. Zio Vitalij prima ha rimesso in gabbia il colombo e poi ha appeso la gabbia a qualche metro da terra, per tenerla lontana dalla nostra gatta Murca che amava molto ammazzare i colombi, ragion per cui stava sempre vicina a zio Vitalij che trafficava con loro tutto il giorno.
Gli adulti hanno cominciato a fare attentati al pollo, il quale mantenendo sempre la calma e in maniera decisamente efficace riusciva ogni volta a sfuggire. Dopo un quarto d’ora d’inutili tentativi, i tre uomini erano senza fiato, e guardavano il pollo che con la stessa determinazione di prima continuava a scavare la terra e a farsi i suoi affari da pollo. Mio padre mi ha sorriso, dicendo:
— Lasciamolo vivere, questo pollo. Non ammazziamolo mai: che stia qui, in giardino, libero di fare quello che vuole.
La sera ho raccontato a mio nonno quello che era successo. Lui ha riso tanto, e poi mi ha chiesto se io ero d’accordo con la decisione di mio padre. Gli ho risposto con una domanda:
— Perché liberare quel pollo e non gli altri?
Nonno mi ha guardato con un sorriso e ha detto:
— Solo chi apprezza veramente la vita e la libertà, e combatte fino in fondo, merita di vivere libero… Anche se è un semplice pollo.
10 ci ho pensato un po’ su e gli ho chiesto:
— E se tutti i polli un giorno diventano come lui?
Dopo una lunga pausa nonno ha detto:
— Allora bisognerà abituarsi a cenare senza zuppa di pollo…
11 concetto della libertà è sacro per i siberiani.
Quando avevo sei anni, mio zio Vitali] mi ha portato a trovare un suo amico che io non avevo mai visto, perché quand’ero nato stava già in prigione, a scontare una lunga condanna. Si chiamava Aleksandr, ma mio zio lo chiamava «Riccio».
Riccio era stato liberato proprio quel giorno, dopo quindici anni di galera. Si usava da noi siberiani che i primi ad andare a trovare un galeotto appena rilasciato si portassero dietro i bambini: era una forma di buon augurio, un portafortuna per la vita futura, libera e criminale. La presenza dei bambini serve per far capire alle persone che sono state a lungo escluse dalla società che il loro mondo ha comunque un futuro, e che quello che loro hanno fatto, i loro ideali e Г educazione criminale, non sono stati e mai saranno dimenticati. Io, ovviamente, non capivo niente di tutto questo e sentivo solo la curiosità di conoscere ’sto personaggio.
Nel nostro quartiere ogni giorno qualcuno finiva in prigione о ne usciva, e quindi a noi ragazzini non faceva strano vedere un uomo che era stato in prigione, eravamo cresciuti per essere pronti a finirci anche noi, ed eravamo abituati a parlare di galera come di una cosa assolutamente normale, come altri ragazzini parlano del servizio militare о di cosa faranno da grandi. Però in alcuni casi le figure di certi galeotti prendevano nei nostri racconti una forma eroica, diventavano i modelli a cui volevamo somigliare a tutti i costi: volevamo vivere le loro vite avventurose che brillavano di fascino criminale, quelle vite che noi sentivamo raccontare dagli adulti e poi ci raccontavamo tra di noi, spesso e volentieri modificando i particolari, rendendo quelle storie simili a fiabe e a racconti fantastici. Riccio era questo: un mito, una di quelle figure di cui si nutriva la nostra giovane immaginazione. Di lui si diceva che era ancora minorenne quand’era stato accolto come rapinatore in una delle bande più famose della nostra comunità, composta da criminali siberiani anziani e autorevoli e gestita da un altro personaggio leggendario, conosciuto da tutti noi come «Taiga».
Taiga era un esempio perfetto di criminale siberiano puro: figlio di genitori criminali, da piccolo aveva partecipato a rapine di treni blindati portavalori e aveva ucciso molti agenti di polizia. Sul suo conto esistevano un sacco di storie favolose in cui lui appariva come un saggio e potente criminale in grado di svolgere in maniera perfetta le attività fuorilegge, e al tempo stesso, essendo molto umile e umano, di aiutare i più deboli e punire ogni tipo d’ingiustizia.
Taiga era già vecchio quando aveva incontrato Riccio, che allora era un ragazzo orfano. Lo aveva aiutato alla sua maniera, insegnandogli la legge e la morale criminale, e molto presto Riccio era diventato per lui come un nipote. Del resto Riccio aveva saputo guadagnarsi la sua stima.
Una volta era stato circondato dalla polizia insieme ad altri cinque criminali; non c’era via di scampo, tutti quelli della sua banda erano di vecchia fede siberiana e quindi non si sarebbero lasciati prendere vivi, avrebbero resistito fino alla vittoria о alla morte. Per pietà verso di lui, cosi giovane, i suoi compagni gli avevano proposto di scappare, offrendogli una sicura via di fuga, ma lui per rispetto verso di loro aveva rifiutato. Erano certi che sarebbero morti tutti, i poliziotti non mollavano l’assedio, ma a un certo punto Riccio aveva fatto una cosa furba: aveva nascosto dietro la schiena il mitra, e con urla di spavento era uscito verso i poliziotti chiedendo aiuto, come se lui fosse stato una semplice vittima estranea alla faccenda tra criminali e polizia. Gli sbirri lo avevano fatto passare dietro le loro schiene e lui, appena finito li, aveva tirato fuori il mitra e li aveva seccati tutti. Grazie al suo gesto i vecchi si erano salvati, e Riccio era diventato membro fisso della loro banda, con tutti i diritti di un criminale adulto. Per noi ragazzini era un esempio: un minorenne che riesce a far valere la sua parola come quella di un adulto è merce rara.
Riccio poi era finito in galera più tardi, verso i trent’anni, per tentato omicidio di poliziotto. Mancavano le prove e i testimoni, però era stato incastrato sfruttando l’articolo della «partecipazione a gruppo criminale», per dimostrare il quale bastavano un paio di pistole sequestrate dall’abitazione e un po’ di precedenti penali: facendo un accordo con gli sbirri, il giudice poteva tirare la condanna fino a venticinque anni con vari regimi punitivi. La giustizia in Urss non era affatto cieca, anzi a volte sembrava che ci guardasse tutti attraverso un microscopio.
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Si è scelto di mantenere in tutto il libro la grafia «Nicolai», anziché la corretta traslitterazione dal russo «Nikolaj», poiché è questo il nome che l’autore usa quotidianamente e che compare anche nei suoi documenti italiani [N.d.R],