Cominciò ad andare a caccia con gli uomini, ad aiutare loro anziché i lupi con cui era nato e cresciuto. Un giorno, durante la caccia, un uomo sparò a un vecchio lupo che cadde a terra ferito. Il giovane lupo corse verso di lui per portarlo al suo padrone, e mentre cercava di prenderlo con i denti si accorse che era il vecchio capo branco. Si vergognò, non sapeva cosa dirgli. Fu il vecchio lupo a riempire quel silenzio con le sue ultime parole:
«Ho vissuto la mia vita come un lupo degno, ho cacciato molto e ho diviso con i miei fratelli tante prede, cosi adesso sto morendo felice. Invece tu vivrai la tua vita nella vergogna, da solo, in un mondo a cui non appartieni, perché hai rifiutato la dignità di lupo libero per avere la pancia piena. Sei diventato indegno. Ovunque andrai, tutti ti tratteranno con disprezzo, non appartieni né al mondo dei lupi né a quel lo degli uomini… Così capirai che la fame viene e passa, ma la dignità una volta persa non torna più».
Questa parte finale era la mia preferita, perché quelle parole del vecchio lupo erano un autentico distillato di filosofia criminale, e mentre nonno Kuzja le pronunciava ci rispecchiava dentro la sua vita vissuta, il suo modo di vedere e capire il mondo.
Mi sono tornate in mente qualche anno dopo, mentre con un treno mi stavano portando in un carcere minorile. Una guardia aveva deciso di sua volontà di distribuire dei pezzi di salame. Avevamo fame, e tanti si erano buttati avidamente su quel salame per divorarlo. Io l’avevo rifiutato, un ragazzo mi avevo chiesto perché e io gli avevo raccontato la storia del lupo indegno. Lui non mi aveva capito, ma quando siamo arrivati a destinazione la guardia che aveva distribuito il salame ha annunciato sul piazzale principale, davanti a tutti, che prima di darcelo lo aveva messo nel cesso.
Per questo motivo, secondo la regola criminale, tutti quel li che lo avevano mangiato erano stati «contagiati», e quindi erano passati nella casta più bassa della comunità criminale, automaticamente disprezzati da tutti ancora prima di entrare in carcere. Questo era uno dei giochetti che gli sbirri facevano spesso per sfruttare le regole criminali come un’arma contro i criminali stessi; gli riuscivano meglio con i minori, che spesso non sapevano che dalle mani di uno sbirro un criminale onesto non può prendere niente. Come diceva mio zio buonanima:
«Un criminale degno prende dagli sbirri solamente le botte, e pure quelle le ridà indietro, quando arriva il momento giusto».
Dunque, grazie all’improvviso aumento della mia autorità tra i miei amici, avevo iniziato a fare una specie di propaganda dell’educazione che ricevevo da nonno Kuzja. Lui era contentissimo, perché così riusciva a inquadrare tutti noi, attraverso uno solo dava a tanti la giusta base educativa per sviluppare il rapporto siberiano con la vita, per poter tramandare idee e ideali. Non a caso noi ragazzi del quartiere Fiume Basso venivamo chiamati da tutti gli altri «Educazione siberiana». Questo era il nome che era stato dato ai siberiani in esilio per via della loro fedeltà alle tradizioni criminali, per il loro spirito estremamente conservatore, a differenza di quello di altre comunità.
Nella nostra città ogni comunità criminale, soprattutto se composta da gente giovane, si distingueva dalle altre per qualche capo di abbigliamento particolare о per un modo diverso di portarlo. Si usavano anche dei simboli, che subito ti identificavano come appartenente a quella banda, quel quartiere о quel gruppo di connazionali. Molte comunità usavano marchiare il proprio territorio con disegni о scritte, ma questo mezzo di comunicazione sociale era parecchio malvisto dalle comunità potenti e antiche. Ad esempio i nostri vecchi ci avevano sempre vietato di scrivere о disegnare sui muri qualsiasi cosa, perché dicevano che era vergognoso e maleducato. Nonno Kuzja una volta mi aveva spiegato che la nostra comunità criminale non ha bisogno di affermare in nessuna maniera la sua presenza: esiste e basta, e la gente lo sa non perché vede ogni giorno delle scritte sui muri di casa sua, ma perché sente la nostra presenza, ed è certa di poter contare sempre sull’aiuto e la comprensione di noi criminali. Lo stesso discorso vale per un criminale singolo: anche se è un personaggio leggendario, si comporta come il più umile di tutti.
In altri quartieri era tutto diverso. I membri delle bande del Centro portavano dei ciondoli d’oro con una forma ben precisa, da cui si sentivano rappresentati. Ad esempio la banda gestita da un giovane criminale soprannominato «Pirata», che aveva costruito intorno a sé una specie di culto della personalità, si distingueva dalle altre per i ciondoli con il teschio e due ossa, come nella bandiera dei pirati. Un’altra banda del quartiere Ferrovia obbligava tutti i suoi membri a portare vestiti neri, per sottolineare la loro volontà di far parte della casta Seme nero. Gli ucraini del quartiere Balka invece si vestivano all’americana, о più spesso come gli afroamericani. Cantavano canzoni che sembravano senza senso, perché le parole venivano pronunciate cosi veloci che non si capiva un accidenti. E disegnavano dappertutto cose strane con bombolette spray; uno di loro una volta nel quartiere Riva aveva disegnato qualcosa sul muro di casa di una persona anziana, un vecchio galeotto, e per questo un criminale giovane, suo vicino, gli aveva sparato. Mi ricordo di aver commentato la cosa con nonno Kuzja: gli ho detto che secondo me ammazzare per un simile reato è ingiusto, si può chiedere un risarcimento per l’offesa e il dispetto, e poi si può sempre picchiare, dopo le botte una persona di solito capisce qualcosa. Lui non era d’accordo con me e mi ha detto che ero troppo umano, troppo umano e troppo giovane. Mi ha spiegato che quando i ragazzi prendono una strada sbagliata e non vogliono ascoltare i loro vecchi, nella maggior parte dei casi danneggiano se stessi e quelli che gli stanno intorno. I ragazzini ucraini stavano mettendo a rischio molti giovani di altri quartieri, che li avrebbero imitati, perché fare i maleducati è sempre più facile e più affascinante che seguire la strada della buona educazione: quindi gli ucraini, comportandosi così, avevano messo in dubbio il potere criminale e l’ordine nella nostra città. Per questo era necessario trattarli con crudeltà e severità totale, per far capire a tutti dove può portare la via della disobbedienza alle tradizioni. E aggiungeva:
— E poi, perché fanno finta di essere neri americani e non, per dire, coreani del Nord о palestinesi? Te lo dico io perché: questa è sporcizia che arriva dal diavolo, attraverso la televisione, il cinema, i giornali e tutte le porcherie che una persona degna e onesta non tocca mai… L’America è un Paese maledetto dimenticato da Dio, e ogni cosa che esce da lì dev’essere ignorata, invece questi stupidi si divertono a giocare agli americani, tra un po’ cominceranno pure a parlare urlando come scimmie…
Nonno Kuzja odiava tutto ciò che era americano perché, come tutti i criminali siberiani, si opponeva a quello che rappresentava il potere nel mondo. Quando sentiva parlare di gente fuggita in America, di tanti ebrei che negli anni Ottanta avevano fatto una grandiosa fuga dall’Urss, diceva stupito:
— Ma come mai vanno tutti in America dicendo che cercano la libertà? I nostri antenati si sono rifugiati nel bosco, in Siberia, mica sono andati in America. E poi perché fuggire dal regime sovietico per finire in quello americano? Sarebbe come se un uccello scappato dalla gabbia andasse volontariamente a vivere in un’altra gabbia…
Per questi motivi, a Fiume Basso era vietato usare qualsiasi cosa americana. Le macchine americane, che circolavano liberamente per tutta la città, non potevano entrare nel nostro quartiere, e così erano banditi i capi di abbigliamento, gli elettrodomestici о qualsiasi altro oggetto «made in Usa». Per me personalmente quest’aspetto era abbastanza doloroso, dato che io avevo un debole per i jeans: mi piacevano, ma non li potevo mettere. Ascoltavo di nascosto la musica americana, mi piaceva il blues, il rock e il metal, ma rischiavo di grosso a tenere in casa i dischi e le cassette; quando mio padre faceva ispezione nei miei nascondigli e li trovava scatenava un inferno, mi picchiava e mi obbligava a rompere tutte le registrazioni con le mie mani davanti a lui e al nonno, e poi per una settimana di seguito ogni sera dovevo suonare con la fisarmonica per un’ora a lui e agli altri membri della famiglia le melodie russe, e cantare le canzoni popolari о criminali russe.