Ci alzammo e altrettanto fece l’oracolo. Aveva una grossa sacca di cuoio bozzoluta: il suo cibo.
Guardai Nia. — E tu?
— Resterò qui ancora per un giorno o due. Poi ho intenzione di andare a nord a far visita a Tanajin.
— E dopo? — le chiesi.
Fece il gesto del dubbio, si alzò e mi abbracciò. Un abbraccio forte e stretto che mi lasciò senza fiato.
— Vieni al nostro villaggio — dissi.
Lei fece il gesto che significava "può darsi".
— Andate — disse Angai.
L’oracolo si incamminò. Io e la Ivanova lo seguimmo.
Quando arrivammo di nuovo dai bambini, stavano giocando con una palla. Addio al gioco dell’essere senza pelo.
Dissi loro: — Partiremo domattina. Quasi all’alba, credo. Venite giù allora se volete vedere le nostre barche.
— Lo faremo — rispose uno dei bambini.
Arrivammo sull’orlo della scogliera. La Ivanova si fermò e si voltò a guardare il villaggio e la pianura.
— Muovetevi — disse l’oracolo.
— L’oracolo è impaziente — osservai.
— Voglio ricordare tutto questo.
Restò lì ferma ancora un minuto e due. L’oracolo era irrequieto. Gli feci cenno di proseguire. Infine la Ivanova si volse verso di me. — Non sono stata particolarmente intelligente durante quest’ultimo anno. Ma non sono una stupida. Ho un’idea ben fondata di quello che succederà a Mesrop e a me.
Si avviò giù per la scogliera, seguendo l’oracolo.
Sarebbero stati processati per crimini contro la democrazia e per aver messo in pericolo la vita delle persone che avevano ibernato. Forse per omicidio. Non avevamo provvedimenti per la riabilitazione e neppure un luogo dove mandare le persone che avevano commesso gravi crimini. La sola cosa che potevamo fare era ibernarli finché non fossimo tornati sulla Terra o finché la nostra colonia non si fosse sviluppata abbastanza da avere una prigione o un’attrezzatura psicoterapeutica veramente avanzata.
Questa era probabilmente l’ultima volta che la Ivanova vedeva un villaggio indigeno o un paesaggio come quello. Diedi un’altra occhiata alla pianura battuta dal vento e ai bambini che inseguivano la loro palla. Poi seguii la Ivanova giù per la scogliera.
Nia
Le persone senza pelo partirono al mattino. Le abitanti del villaggio incominciarono a fare i bagagli nel pomeriggio. Nia aiutò Angai, ma solo con le cose che si trovavano nella parte anteriore della tenda. Il locale posteriore era il luogo dove Angai teneva i suoi oggetti magici. Tutto là dentro era nascosto da un tendone di stoffa rossa ricamata con animali e spiriti. Il tendone attraversava la tenda dall’alto in basso e da un lato all’altro. Non vi usciva nulla, a parte il profumo di erbe essiccate e la sensazione della magia, una sensazione che a Nia faceva pizzicare e formicolare la pelle.
Se ne stava il più possibile lontana da quel divisorio, inginocchiata accanto all’ingresso anteriore nella luce del sole pomeridiano, piegando indumenti e mettendoli in una cassa fatta di cuoio.
Hua era inginocchiata dall’altra parte della stanza, proprio accanto al telo divisorio e sotto l’immagine di uno spirito: un vecchio, nudo e con il membro sessuale ben visibile. L’Oscuro, pensò Nia, in uno dei suoi numerosi travestimenti.
Hua aveva disposto degli utensili e li stava contando prima di impacchettarli: coltelli di diverse misure, aghi, cucchiai fatti di corno e legno lucidati.
Angai era dietro il tendone, impegnata a impacchettare ciò che teneva lì dentro, oggetti che Nia non voleva neppure vedere.
— Come fai a sopportare di stare qui? — domandò Nia.
Hua alzò lo sguardo e fece il gesto della domanda.
— Vicino a quel sipario. In questa tenda.
Hua ripeté il gesto della domanda.
— A Nia non è mai piaciuta la magia — spiegò Angai.
— A me non dà fastidio — disse Hua.
— È un bene — osservò Nia. — Se hai intenzione di diventare la prossima sciamana.
— Certo che voglio diventarlo — ribatté Hua. — Chi altri c’è qui? — Adesso stava contando i pettini. Li dispose, grandi e piccoli, fatti di legno, corno e metallo.
Nia si rese conto che le prudeva tutta la pelle e la sensazione era particolarmente sgradevole fra le scapole e lungo la spina dorsale. — Lasciane fuori qualcuno. È passato tanto tempo dall’ultima volta che mi sono fatta dare una strigliata come si deve, da un’amica o una parente.
— D’accordo — fece Hua. Mise da parte due pettini: uno di grandezza normale e uno grosso con i denti molto radi.
Nia emise un suono soddisfatto. — Sarà qualcosa da ricordare quando mi troverò fuori sulla pianura.
— Non vieni con noi? — chiese Hua. La sua voce aveva un suono acuto e stridulo.
— No.
— Perché no? Qualcuno ti ha dato delle noie? Non sei preoccupata per Anhar, vero? Angai non ti ha detto che puoi restare?
Nia appoggiò sul pavimento una tunica dalle maniche lunghe. Piegò le maniche sopra il corpetto della tunica, lisciandone il tessuto. Era soffice e delicata, dono di un popolo che viveva nel lontano sud.
— Quando vivevo nelle Colline del Ferro, stavo con te, Anasu ed Enshi. Quando vivevo nell’est, mi trovavo ai margini del villaggio, lontana come un uomo. Non sono abituata a stare con molte persone. Non so più vivere in un villaggio.
— Non l’hai mai saputo realmente — disse Angai da dietro il telo divisorio. — Ti sei sempre comportata come se fossi sola.
Nia provò una certa sorpresa. Fece il gesto che significava "è proprio vero?". Ma Angai non poteva vedere, naturalmente.
Hua disse: — Mia madre vuole sapere se ne sei certa.
— Sì. — Il telo ondeggiò. Angai doveva averlo sfiorato. — Ti conosco meglio di chiunque altro, Nia. Tu sei come una roccia! Sei come una freccia! Sei quella che sei, e niente può cambiarti. Vai dove vuoi, e niente può farti cambiare direzione. Non sei mai stata una persona qualunque.
— Non lo sapevo — disse Nia.
Hua disse: — Desideravo che restassi con noi. Volevo sentire le tue storie.
— Non me ne vado via per sempre. Ma ho bisogno di stare un po’ di tempo da sola.
— È la decisione giusta — dichiarò Angai. — Mi piacerebbe che Nia restasse, ma ho notato come la guardano le persone del villaggio. Lei le fa sentire a disagio. Se Nia se ne andrà, dopo un po’ si calmeranno. Allora, credo, potrà tornare. Ma se resta adesso, si adireranno. Sono accadute troppe cose. Hanno visto troppe cose nuove. Se ora Nia rimane, la cacceranno via.
Hua fece il gesto del rammarico.
Continuarono a lavorare finché il cielo non cominciò a oscurarsi. Angai uscì da dietro il tendone. Cenarono. Angai pettinò la pelliccia di Nia. Aiya! Che bella sensazione! Soprattutto quando Angai le pettinò il folto pelame sulla schiena. Nia si piegò contro il pettine, quello grande, emettendo mormorii di piacere.
Quando l’operazione fu terminata, chiacchierarono per un po’. Non dissero niente di importante. Angai descrisse la pista che voleva seguire andando a sud e il luogo dove intendeva trascorrere l’inverno. Ogni tanto Nia faceva una domanda. Hua ascoltava in silenzio.
Alla fine andarono a dormire. Nia rimase sveglia. L’ingresso della tenda era aperto, ma c’era pochissimo vento. L’aria dentro la tenda era calda e stagnante. Guardò fuori dalla porta. Le stelle brillavano sopra le tende delle sue vicine di un tempo. Così numerose! Così grosse e splendenti!
Si alzarono all’alba e incominciarono a caricare i carri. Anasu portò gli animali da tiro per il carro: sei bellissimi cornacurve castrati. Li attaccarono al carro. Il cielo era sereno. La giornata sarebbe stata molto calda. Nia lo sentiva.