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Uh! Era confortevole starsene seduta a osservare le fiamme che danzavano, rosse e gialle. Macchia Bianca era lì vicino. Nia sentiva lo scricchiolio della vegetazione e il gorgoglio del fluido nello stomaco del cornacurve.

In lontananza, sulla pianura, un tulpa gridava: — Up-up. Up-up.

Nia restò per un po’ ad ascoltare, poi si addormentò.

Seguì la pista del villaggio per altri due giorni. La mattina del terzo giorno arrivò a un’altra pista, stretta e profonda. L’avevano fatta delle viaggiatrici. Loro non usavano mai i carri, ma conducevano file di cornacurve carichi di splendidi doni del Popolo dell’Ambra e del Popolo della Pelliccia e dello Stagno. Nia girò verso est, seguendo la nuova pista. Viaggiò per un altro giorno. Il tempo si manteneva lo stesso: molto caldo, sereno e radioso. Uh! Era noioso! Compose poesie. Si chiese che ne fosse stato dell’oracolo e di Li-sa e Deragu. Erano tornati al loro villaggio? E che ne era dei suoi figli? Stavano bene? Erano felici?

Angai aveva fatto un buon lavoro allevandoli. Perché non aveva lodato la sua amica? Perché non aveva detto a Hua e ad Anasu: "Siete dei bravi figli"?

Verso sera ci fu un rumore simile a un tuono: fragoroso e penetrante. Macchia Bianca si lanciò in una corsa.

Nia tirò le redini. L’animale non si fermò. Invece abbandonò la pista e si precipitò fra la vegetazione. Nia continuò a tirare, ma l’animale proseguì la sua corsa finché non arrivarono a un boschetto di foglie-lama che li sovrastava entrambi. L’animale s’impennò, poi atterrò di colpo sulle quattro zampe, tremando, sbuffando e sudando come una delle persone senza pelo.

— Non è questo il modo di comportarsi — lo rimproverò Nia. — Sta’ calmo! Contento! Non c’è niente che possa farti del male. — Nia accarezzò il collo dell’animale, poi si guardò attorno. Il cielo era sgombro. — L’ho già sentito prima — disse al cornacurve. — Significa che un’isola è caduta nel Lago Lungo.

L’animale agitò la testa e sbuffò di nuovo. Ma lo fece tornare sulla pista.

Al crepuscolo arrivò alla valle del fiume. Si accampò in cima a una scogliera e al mattino scese giù per una stretta gola. Le pareti erano ricoperte di piante rampicanti dalle foglie rosse come rame. L’aria odorava di polvere e vegetazione secca.

In fondo alla gola il terreno era piatto e ricoperto dalla foresta. Nia proseguì verso est. La pista era asciutta, ma si capiva che in primavera doveva essere in buona parte sommersa dalle acque. Nei punti più bassi erano stati posati dei tronchi sopra i quali era stato ammucchiato terriccio, in modo che la pista fosse rialzata. Aiya! Che costruzione! Non aveva mai visto niente di simile in precedenza. Chi poteva averla fatta? Tanajin? O qualcuna delle viaggiatrici? Era un eccellente dono. Molte persone l’avrebbero lodato.

A metà pomeriggio arrivò al fiume. L’acqua bruna scorreva in un letto stretto al di là del quale sorgeva un’isola. C’era una zattera tirata sulla riva dell’isola fra il fiume e gli alberi.

Nia smontò di sella. Il terreno attorno a lei era disseminato di cenere e frammenti di legno bruciato. C’erano orme nella terra, di persone e cornacurve, e mucchi di sterco. Tutto lo sterco era vecchio.

Nia si prese cura dell’animale, poi raccolse legna e accese un fuoco. Anzitutto legna morta. Non i pezzi marci che erano stati mangiati dagli insetti, ma dei bei pezzi asciutti, compatti, senza su niente a parte qualche chiazza della pianta rossa a scaglie. Quando il fuoco ardeva ormai veramente bene, vi aggiunse legna viva. Questa fece fumo, che si alzò come il tronco di un albero, denso e scuro.

Non successe nulla per il resto della giornata. Nia mantenne il fuoco acceso. Durante la notte dormì accanto al fuoco e si svegliò parecchie volte per aggiungere legna. Nella foresta poteva esserci di tutto: lucertole grosse come gli umazi, assassini dagli artigli affilati, osupai o tulpai. Molto meglio la pianura. Le piaceva vedere che cosa la seguiva.

Al mattino raccolse altra legna. Il cibo era quasi finito. Alimentò bene il fuoco, poi si sedette ad aspettare. Aveva il corpo irrigidito e si sentiva la mente come una pentola di ferro: pesante e vuota.

A metà della giornata una persona emerse dalla foresta sull’isola. Spinse in acqua la zattera e vi salì. Sul lato della zattera era attaccato un bastone biforcuto. La persona sistemò nella biforcazione un lungo remo.

La zattera si allontanò lentamente dalla riva. La persona incominciò a muoversi in un modo che in un primo momento Nia non riuscì a capire: chinandosi e raddrizzandosi. Il remo si alzava e si abbassava. L’acqua gocciolava dalla pala lunga e larga.

Su e giù. Dentro e fuori dall’acqua. Dopo un po’ Nia si rese conto di quello che stava accadendo. Il remo spingeva la zattera. Invece di scendere la corrente, la zattera l’attraversava.

Un lavoro lento! E duro! Nia osservava, sentendosi irrequieta. Non era mai facile stare seduti a mani vuote quando altre persone facevano qualcosa di utile. Si alzò e si diresse verso la riva.

La zattera era vicina. La persona sulla zattera era Tanajin. Lanciò un’occhiata a Nia, ma non fece alcun cenno di riconoscimento. Continuò invece a muovere il remo. Nonostante tutti i suoi sforzi, la zattera veniva trascinata dalla corrente. Sarebbe arrivata a riva più a valle di Nia.

Nia s’incamminò lungo l’argine, poi si tolse i sandali ed entrò con i piedi nell’acqua. — Che cosa posso fare? — gridò.

Tanajin si chinò e afferrò qualcosa. — Ecco! — Lo gettò.

Una fune. Si srotolò a mezz’aria e cadde nell’acqua. Nia afferrò un’estremità. L’altra era fissata alla zattera.

— Tira! — ordinò Tanajin.

Nia si avvolse la fune attorno all’avambraccio finché non fu tesa, poi allargò i piedi e conficcò le dita nel fondo fangoso, afferrò saldamente la fune e incominciò a tirare.

Hunh!

La zattera rallentò.

Hunh!

La zattera si fermò.

Hunh!

La zattera incominciò a virare.

Tanajin tirò fuori dall’acqua il remo, che restò sollevato, sostenuto dal bastone biforcuto, anche se Nia non riusciva a capire esattamente come. Poi saltò nel fiume. Aiya! Che tonfo! Era nell’acqua fino al torace, appoggiata alla zattera e spingeva con forza. Nia continuava a tirare. Grugnivano tutte e due come cornacurve. La zattera arrivò a riva.

Le due donne uscirono dall’acqua. Tanajin prese la fune e la legò attorno a un albero. — Dov’è Ulzai? — chiese. — Non è tornato.

Nia fece il gesto che significava "non lo so".

Tanajin fece il gesto della domanda.

— Una lucertola ci ha seguiti nelle rapide. Ulzai si è alzato in piedi per affrontarla. È successo qualcosa. Non so esattamente che cosa. La barca si è capovolta. Tutti noi… — Chiuse la mano a pugno, poi l’aprì. Il gesto significava "dispersi" o "spariti".

— Ahi! — esclamò Tanajin.

— La lucertola non era un umazi. Ulzai ha osservato bene l’animale. Ha detto che non era niente di eccezionale. Ci ha parlato del suo sogno. Gli umazi gli avevano promesso che sarebbero stati loro la sua morte.

— Che ne è stato delle persone senza pelo? — s’informò Tanajin. — E del pazzo? Sono affogati?

Nia fece il gesto che significava "no". — C’è un nuovo villaggio sul lago. L’hanno costruito le persone senza pelo e non assomiglia a nessun altro villaggio che io abbia visto. Li-sa e Deragu sono laggiù. E anche l’oracolo. Io sono venuta ad aggiustare la tua pentola.