Tanajin fece il gesto che significava "andiamo avanti".
Si diressero all’accampamento di Nia. Il fuoco era quasi spento. Tanajin disperse i rami con un calcio. Era impazzita? Era a piedi nudi. Senza dubbio sembrava furiosa. Aveva un’espressione corrucciata e il pelo sulle arcate sopraccigliari scendeva a tal punto che le nascondeva gli occhi.
Nia sellò Macchia Bianca, muovendosi con circospezione e facendo il minimo rumore possibile. Condusse l’animale fino alla zattera e lo fece salire. Non fu un’impresa facile. L’animale tremava e sbuffava. — Non è il modo di comportarsi di un castrato — disse Nia. — Calmati! Non comportarti come un maschio! — L’animale agitò le orecchie. La coda fremeva, ma non si alzò. Era un buon segno. L’animale era inquieto, ma non realmente spaventato. Non era sul punto di fuggire per il terrore. Nia tenne saldamente le briglie e fece dei suoni per calmarlo.
Tanajin slegò la fune, poi spinse la zattera verso il largo, usando il remo.
La zattera si mosse dolcemente. Era fatta di tronchi legati insieme. La corda non era del tipo usato sulla pianura, fatto con lunghi e sottili pezzi di cuoio intrecciati. Questa corda era fatta di una fibra pelosa. Nia aveva visto qualcosa di simile nell’est. Il Popolo del Rame la usava per fabbricare reti. Proveniva dal lontano sud.
Quanti tipi di persone c’erano? Quante specie di doni?
Si spostarono lentamente verso il centro del fiume. Macchia Bianca sbuffava e batteva uno zoccolo. Nia gli massaggiava il collo peloso. Si voltò a guardare indietro. C’era una lucertola nel fiume fra loro e la riva occidentale. Era grossa, diretta a sud.
Aiya! Nia tirò con forza la briglia, facendo girare la testa al cornacurve e assicurandosi che Macchia Bianca non la vedesse. — Ce ne sono state parecchie? — chiese.
Tanajin alzò lo sguardo. — Lucertole? Sì.
Riprese a spingere con il remo. Quando arrivarono all’isola, parlò di nuovo. — Vedo le lucertole quando trasporto le persone attraverso il fiume. Loro amano viaggiare lungo questa riva. L’acqua scorre lentamente e ci sono le paludi dove cacciano. La lucertola che vi ha seguiti si è comportata in modo molto strano.
— Seguiva il sangue — disse Nia. — L’oracolo aveva una ferita. Perdeva sangue nell’acqua.
— È lui la causa!
Nia fece il gesto del dissenso. — Credo che la causa risalga a molto prima. Penso che siano stati gli spiriti della caverna.
Tanajin fece il gesto della domanda.
Nia le parlò della caverna con le pitture sulle pareti. — L’oracolo ha detto che era piena di spiriti. Erano affamati. Li ha nutriti, ma non erano soddisfatti. Volevano altro sangue. Questa è la mia opinione, comunque. Non lo so con certezza.
— È troppo complicato per me — ribatté Tanajin. — Ho bisogno di una sciamana. Forse dovrei andare a cercarne una.
Tirarono fuori dall’acqua la zattera e la lasciarono lì, attraversando l’isola a piedi. Gli alberi erano pieni di uccelli chiassosi. Il terreno era ricoperto di escrementi: bianchi, rossi e color porpora.
Dall’altra parte dell’isola c’era un’altra zattera. La usarono per attraversare un altro ramo del fiume.
Successe la stessa cosa. Tirarono sulla riva la zattera e attraversarono l’isola. Trovarono un’altra zattera.
— Quanto ce n’è ancora? — domandò Nia.
Tanajin fece il gesto della fine o del completamento. — Questo è l’ultimo ramo. Non c’è un buon passaggio attorno alle isole e se cerco di attraversare tutto il fiume in una sola volta, la zattera viene trascinata troppo a valle. Lo so. Ci ho provato.
Nia disse: — Le persone senza pelo hanno una barca che si muove da sola come se avesse zampe o pinne.
— Si tratta di magia?
— No. È spinta dal fuoco, anche se non capisco come.
Tanajin fece il gesto dello stupore, ma non sembrava sorpresa, soltanto stanca.
Attraversarono l’ultimo ramo del fiume. Il sole era già sparito, ma il cielo era ancora pieno di luce. L’aria era quasi stagnante, satura dell’odore del fiume e del cornacurve, che aveva lasciato un mucchio di sterco sui tronchi vicino a Tanajin.
— Fa’ attenzione al tuo animale — disse la donna.
— Faccio del mio meglio.
Raggiunsero la riva e tirarono in secco la zattera. Il cielo si era fatto buio. S’incamminarono verso nord lungo il fiume finché non arrivarono alla casa di Tanajin.
Nia condusse Macchia Bianca sul retro. Tolse la sella al castrato e lo legò, usando una corda di cuoio. C’erano anche gli altri due cornacurve, che pascolavano fra la bassa vegetazione. Tornò sul davanti dell’abitazione. Tanajin aveva acceso il fuoco.
Mangiarono senza parlare. Quando ebbero finito, Tanajin entrò nella tenda. Tornò portando una coperta. — Non ti voglio dentro la mia casa, Nia. Sono in collera per la notizia che mi hai portato. Perché Ulzai è il solo che non è ricomparso?
Nia fece il gesto del dubbio.
Tanajin entrò.
Nia si coricò. Gli insetti le ronzavano attorno. La morsicarono nei punti in cui la pelliccia era sottile: sui bordi delle mani, sulla punta delle orecchie. Si tirò su la coperta finché non la riparò del tutto e sognò di essere intrappolata in un luogo buio: una grotta o una foresta. Attorno a lei c’erano persone che parlavano e si muovevano. Non riusciva a vederle e non conosceva la loro lingua.
Si svegliò all’alba. Tanajin uscì dalla tenda e riaccese il fuoco. Mangiarono poltiglia.
Tanajin disse: — Ho sognato Ulzai. Aveva i vestiti fradici e la sua pelliccia grondava acqua. Mi ha parlato. Non sono riuscita a capire le sue parole.
— Ho sognato anch’io — disse Nia.
— Che cosa?
— Oscurità. Ero intrappolata. E c’erano persone. Non so quali persone. Parlavano. Non riuscivo a capirle.
— Questi sono brutti sogni. C’è bisogno di una cerimonia di prevenzione. — Tanajin aggrottò la fronte. — Ci sono momenti in cui penso che questo non sia un modo di vivere. Non ho parenti femmine. Non ho una sciamana. Adesso se ne è andato anche Ulzai.
Nia fece il gesto del cortese assenso. — Hai detto che hai degli utensili. Ho intenzione di iniziare a erigere un posto per lavorare.
Tanajin fece il gesto dell’intesa.
Nia costruì una fucina più a valle della tenda. Ci vollero nove giorni di duro lavoro. Il tempo rimase lo stesso. C’erano insetti ogni notte. Tanajin raccoglieva legna viva e la metteva sul fuoco. Il fumo scacciava la maggior parte degli insetti. Nia era troppo esausta per preoccuparsi se ne rimaneva qualcuno.
Ogni mattina si svegliava irrigidita, ma l’indolenzimento lentamente passava. Il vero problema erano le mani. Sulle palme dove i calli si erano assottigliati le si formavano vesciche. Queste si rompevano e la carne sotto era rossa e tenera. Si avvolse pezze di stoffa fra le dita e sui palmi. Aiya! Questo la rendeva maldestra. Ma continuò a lavorare.
— Non è necessario che ti affretti — le disse Tanajin.
— Mi piace. Capisco quello che sto facendo. Da tanto tempo non ero in grado di dire una cosa del genere. — Fece una pausa, cercando di pensare a un modo di spiegarsi. — Questa è la cosa che faccio. È il mio dono.
Tanajin fece il gesto della dubbiosa comprensione.
Il giorno in cui la fucina fu completata successe qualcosa di strano. Apparve una nuvola. No. Una scia di fumo. S’innalzò da sud, muovendosi diagonalmente verso ovest e formandosi con sorprendente rapidità. Diverso da qualsiasi tipo di fumo che Nia avesse mai visto. Andava sempre più su. Nia si riparò gli occhi con la mano. C’era qualcosa sulla punta della nube? Qualcosa che lasciava la scia di fumo? Era piuttosto improbabile.
Restò in ascolto. Non si udì il fragore del tuono e nel cielo non c’era niente all’infuori della scia che era salita così in alto che non riusciva più a vederne la fine.