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— Uh! — Tornò al suo lavoro.

Alla sera fece ritorno a casa di Tanajin. La donna era seduta accanto al fuoco e cucinava pesce in umido in una pentola appesa a un treppiede.

— Che cosa è stato? — domandò a Nia.

— La nuvola? Non ne sono certa. Ma la gente senza pelo si trova a sud di qui. — Nia si grattò il naso. — Mi chiedo quante isole ci siano nel lago. Vorrei avere una scatola parlante. Lo chiederei all’oracolo o a Li-sa.

Tanajin fece il gesto della domanda.

Nia le parlò delle isole che cadevano dal cielo. — Vengono giù con gran rumore. Forse salgono facendo fumo.

Tanajin fece il gesto del dubbio. — Molte cose cadono dal cielo. Pioggia di diversi colori, neve, grandine, pezzi di ferro e di pietra. Non ho mai sentito parlare di niente che tornasse su. Soltanto il fumo sale.

Nia fece il gesto che significava "non pensi a quello che dici". — Quando i demoni del fuoco sono attivi, le montagne scagliano in alto pietre, che possono viaggiare per lunghe distanze. Nello stesso tempo salgono la cenere e il fuoco.

— Credi che queste persone siano una specie di demoni?

— No. Credo che abbiano utensili che non assomigliano affatto ai nostri utensili, e strane cose accadono attorno a loro.

Tanajin fece il gesto del cortese dubbio. — Sono disposta a credere che le montagne sputino in aria pietre, anche se non l’ho mai visto fare da nessuna. Ma non sono disposta a credere che un lago possa sputare isole verso il cielo.

Il giorno seguente Nia incominciò a riparare gli utensili che appartenevano a Tanajin. Da est arrivarono viaggiatrici: otto donne che appartenevano al Popolo della Pelliccia e dello Stagno.

Tanajin le traghettò al di là del fiume. Le ci vollero due giorni. Quando tornò, disse: — Tornavano dopo aver fatto visita al Popolo dell’Ambra! Una visita spiacevole! Laggiù stavano litigando tutte. Una cerimonia era stata rovinata e si stavano scambiando accuse.

Nia rabbrividì e fece il gesto per evitare conseguenze sgradevoli.

Tanajin continuò. — Hanno visto la nuvola nel sud. Ho raccontato loro della gente senza pelo. Ho detto che sapevo dell’esistenza di quelle persone. Le avevo viste. Ma non avevo visto cadere dal cielo nessuna isola. Ho spiegato loro che quella notizia proveniva da Nia la lavoratrice del ferro.

— Hai fatto il mio nome?

Tanajin fece il gesto che significava "non preoccuparti". — Ho detto che venivi dall’est. Non hanno capito che sei la donna che amava un uomo.

— Meno male — osservò Nia.

Continuò a lavorare alle cose di Tanajin. Il tempo si mantenne caldo e luminoso. Il tempo dell’estate inoltrata. Il terreno era arido, perfino in prossimità del fiume. Sulla pianura tutto sarebbe stato coperto di polvere. Il villaggio, in viaggio, avrebbe sollevato grandi nubi scure.

Di notte il disegno di stelle chiamato Grande Carro scagliava molte frecce. Era una cosa normale. Quelle frecce apparivano alla fine di ogni estate. I Ragazzini Che Non Crescono Mai viaggiavano sul carro della loro madre, lanciando frecce con i loro archi. Aiya! Quando li acchiappava!

Nia finì con le pentole di Tanajin e incominciò a lavorare alla propria attrezzatura: morsi, anelli delle selle, coltelli che andavano affilati, punteruoli che non perforavano più niente. Tanajin aveva un rotolo di filo di ferro. Nia fabbricò degli aghi.

Di quando in quando vedeva nuvole di quella nuova specie: lunghe e sottili. Di solito erano a sud o sud-ovest. Si formavano rapidamente come la prima nuvola, e avevano la stessa forma, ma non salivano verso la sommità del cielo. Invece erano orizzontali. Era più facile vederle di sera. Il sole le illuminava da sotto. Risplendevano come striscioni colorati: rossi, gialli, color porpora, arancione, rosa. A volte a Nia sembrava di riuscire a scorgere il luccichio del metallo. La cosa che luccicava era sempre all’estremità anteriore della nuvola, nel punto dove questa iniziava.

Lavorava e rifletteva. Dopo un po’ le venne un’idea. Le sembrò folle. C’era solo una cosa da fare con un’idea folle. Raccontarla. Soltanto gli uomini stavano zitti quando qualcosa li preoccupava. O le donne che facevano o pensavano qualcosa di vergognoso.

Ne parlò con Tanajin.

— Le nuvole sono a sud, dove si trovano le persone senza pelo. Loro sono nuovi, e le nuvole sono nuove. Perciò sono loro i responsabili.

Forse.

— Ti ho parlato delle loro barche. Le barche lasciano una scia nell’acqua. La scia è bianca. Si forma rapidamente e poi sparisce. Forse anche le nuvole sono scie.

— Nel cielo? — disse Tanajin. — Non essere ridicola. Prima hai detto che queste persone sono capaci di lanciare per aria pietre come i demoni. Adesso sostieni che possono librarsi nel cielo come spiriti. Quanto è probabile una cosa del genere?

Nia fece il gesto della concessione. — Non molto.

— Hai passato troppo tempo da sola, Nia. Ti stai facendo idee strampalate.

Nia fece il gesto che significava "sì".

Arrivarono viaggiatrici da ovest e accesero un falò di segnalazione. Tanajin andò a prenderle: cinque donne grandi e grosse e immusonite. Le loro tuniche avevano strisce verticali dai vivaci colori. Le loro bisacce da sella non assomigliavano a niente che Nia avesse visto prima di allora: grossi canestri fatti con qualche specie di fibra vegetale e a righe orizzontali.

Le cinque donne parlavano con accento molto marcato. Appartenevano al Popolo dei Canestri Ben Intrecciati, dissero. Una barca era giunta nel loro villaggio dal cielo.

— Uh! — esclamò Tanajin.

— Dico che era una barca perché trasportava delle persone. — A parlare era stata la donna che guidava la comitiva. Era la donna più grossa, con un ventre che la faceva sembrare gravida. Ma le donne gravide di solito non viaggiavano. Forse era grassa. Nia non conosceva un modo cortese per domandarlo.

— Non assomigliava a nessuna imbarcazione che io abbia mai visto. Era simile agli uccelli che le nostre vicine fanno per appendere alle insegne. Gli uccelli sono d’oro. I loro corpi grassi. Le ali sono lunghe e sottili. Hanno occhi fatti di differenti specie di cristallo.

Un’altra donna disse: — Questa cosa… questa barca… aveva due grossi occhi sul davanti che brillavano come cristalli. C’erano altri occhi, piccoli, lungo i fianchi. Uh! Era curioso.

La donna capo della comitiva si accigliò.

L’altra donna fece il gesto che significava una scusa per aver interrotto.

La guida disse: — Le persone sulla barca erano quasi prive di pelliccia. Una di loro parlava il linguaggio dei doni, sebbene molto male. Questa persona ha detto che volevano venire a far visita e a scambiare storie.

Tanajin si rivolse a Nia. — Non eri pazza.

— Che cosa significa? — domandò la guida.

— Ci sono state nuvole nel cielo. Questa donna sosteneva che erano causate da imbarcazioni che appartenevano alla gente senza pelo.

— Come facevi a saperlo? — chiese una donna.

— Finisci la tua storia — rispose Nia. — Ve lo racconterò dopo.

— Non sapevamo che cosa fare — disse la guida. — La nostra sciamana ha deciso di chiedere consiglio. Ci ha mandate presso il Popolo dell’Ambra a chiedere la loro opinione. Un altro gruppo si è recato presso il Popolo del Ferro e un altro ancora presso il Popolo della Pelliccia e dello Stagno.

— Siamo in lite con il Popolo dell’Oro. Sono le nostre vicine più prossime. Hanno lingue simili a coltelli e amano comporre poesia satirica. Non intendiamo chiedere niente a loro.

— Inoltre — fece un’altra donna — vivono fra le alte montagne. Non ci piace andare lassù. Uh! È tetro! La pista va su e giù!

— Noi siamo gente di pianura — disse la guida. — Ci piace poter vedere tutto il cammino fino all’orizzonte.