— Non riesci a fare niente nel modo giusto? — le domandò Hua.
Nia la fissò, sbigottita.
— Be’, è comunque una risposta, ma non è una buona risposta — osservò Hua.
Da ultimo raccolse la lama di un coltello che era ancora rovente e si bruciò seriamente la mano. Hua si prese cura della bruciatura, poi disse: — Adesso basta. Vattene. Non tornare finché non sarai in grado di lavorare.
Angai le diede una pozione che le calmò il dolore. Dormì parecchio. I suoi sogni erano frammentari, oscuri, e la turbavano. Le pareva che in essi ci fosse sempre Anasu.
Finalmente la mano smise di farle male. Ma ora le sembrava che tutto il suo corpo fosse pieno di strane sensazioni: pizzicori e formicolii. Spesso provava un gran calore, sebbene si fosse ancora all’inizio della primavera. Il tempo non era particolarmente caldo.
Andò a trovare Ti-antai.
— La smania primaverile — sentenziò la cugina. — La scorgo sul tuo viso. Bene, sei abbastanza grande. Adesso prepara i tuoi bagagli. Cibo e un dono per l’uomo. Qualcosa di utile. Della stoffa o un coltello. Sarai pronta a partire fra un giorno o due.
Lei preparò i bagagli. Quella notte non dormì affatto. Il suo corpo era in fermento e scottava. Al mattino uscì. La carezza del vento la fece rabbrividire. È ora di andare, pensò. Prese il suo cornacurve preferito e lo sellò, poi andò a prendere le sue bisacce da sella.
— Sii prudente — le disse Hua.
Per un attimo non si rese conto di chi fosse l’anziana donna; poi se ne ricordò. — Sì. — Uscì, montò in sella e partì al galoppo.
Passò a guado il fiume. L’acqua era poco profonda e c’era un po’ di foschia. Sul lato opposto c’era un albero e dai suoi rami penzolavano un paio di stracci. C’era un coltello conficcato nel legno, la lama e l’impugnatura arrugginiti. Nia osservò di sfuggita tutto ciò, poi se ne scordò e procedette sulla pianura.
A metà pomeriggio arrivò ai margini di una mandria. Il primo animale che vide era un grosso maschio. Un corno era spezzato e il pelo lungo e arruffato che gli copriva il collo e il busto era di un bruno argenteo. L’animale mugghiò, poi abbassò il capo come se stesse per caricare. Quindi sollevò il capo e lo scosse. Un istante dopo si allontanava al trotto.
Bene, pensò Nia. Non era dell’umore giusto per un confronto.
Proseguì. Ben presto si imbatté in altri animali: bestie di un anno o due. Erano troppo grandi per le cure materne e troppo giovani per tenere testa ai grossi maschi, i guardiani della mandria. In quel periodo dell’anno si tenevano ai margini della mandria, ben lontani dalle femmine e dai loro nuovi piccoli. Non gradivano di dover stare lì ai margini e spesso gli animali di un anno cercavano di entrare per trovare la madre, ma i grossi maschi li allontanavano.
Nia si fermò all’imbrunire. Trovò un albero e vi legò il suo cornacurve. Poi accese un fuoco. La notte era fredda e si era dimenticata il mantello. Restò alzata e mantenne vivo il fuoco.
La mattina seguente, al levar del sole, comparve un uomo. Dall’aspetto doveva avere trenta o trentacinque anni, era pesante e con le spalle ampie. La sua pelliccia era color bruno scuro. Indossava una tunica gialla, alti stivali, una collana d’argento e bronzo.
Tenne a freno il suo cornacurve e la osservò per un momento. Il suo sguardo era fermo e calcolatore. Poi smontò. Nia indietreggiò; all’improvviso si sentiva a disagio.
— Dall’aspetto mi eri sembrata abbastanza giovane — fece lui. — Mi causerà un sacco di problemi?
— Non lo so.
La sua pelliccia era folta e lucente. Aveva un’interessante cicatrice: una striscia bianca che gli scendeva lungo il braccio destro dalla spalla fino all’interno del gomito.
— Chi sei? — s’informò Nia.
Lui sembrò irritato. — Inani. Ti dispiace se non parliamo? Parlare mi rende nervoso.
Lei fece il gesto dell’assenso. Lui le si avvicinò, poi tese le braccia e la toccò. Nia rabbrividì. Dolcemente, lui la cinse con un braccio. Ciò che accadde in seguito non le fu del tutto chiaro.
Quando ebbero finito, Nia si alzò e riaccese il fuoco. Scaldò del latte. Inani sonnecchiava con la schiena appoggiata all’albero. Ogni tanto si destava di soprassalto. Si guardava attorno, poi si rilassava e si appisolava di nuovo. Alla fine si svegliò del tutto. Nia gli offrì una tazza. Sedettero uno di fronte all’altra attorno al fuoco e bevvero.
Inani disse: — Chi sei?
— Nia. La figliastra di Suhai. Hai incontrato mio fratello Anasu?
— No. Conosco gli uomini che hanno il proprio territorio accanto al mio. Mi tengo lontano da loro il più possibile, ma durante le migrazioni tutto si confonde. Gli individui stanno troppo vicini. A volte penso che sarebbe meglio andarsene via del tutto.
— Chi è tua madre?
— La fabbricante di tende. Enwa. È viva?
— Sì.
— Bene. — Inani si alzò. — Ti va di restare qui? — Montò in sella al suo cornacurve. — Causi meno problemi di quanto mi aspettassi. Tornerò questa sera.
Si allontanò al galoppo. Nia dormì per buona parte della giornata. Alla sera, Inani tornò. Si accoppiarono di nuovo. Lui si accampò a breve distanza. Nia osservò per un po’ il suo fuoco di bivacco, poi si addormentò.
Il giorno seguente Inani se ne andò di nuovo e tornò nel tardo pomeriggio. Si accoppiarono. Lui fece ritorno al proprio bivacco. La notte era nuvolosa e c’erano raffiche di vento gelido. Nia se ne stava raggomitolata accanto al fuoco e tremava. Dopo un po’ alzò lo sguardo e vide Inani. Era in piedi sul limitare della luce del fuoco, appena visibile.
— Sì? Che cosa c’è?
L’uomo fece qualche passo avanti e le tese qualcosa. Un mantello. Svolazzava al vento.
Nia si alzò. — Grazie.
Prese il mantello. Inani rimase dov’era. Per un istante Nia pensò che stesse per parlare. Ma lui non lo fece. Fece invece il gesto che significava "oh, bene". Si voltò e si allontanò nelle tenebre.
Che strano! Lei si avvolse nel mantello, poi si coricò.
La mattina seguente l’uomo se ne andò di nuovo. Nia restò presso l’albero. Cominciava a sentirsi irrequieta, ma non osava andare a cavalcare. Non sapeva dove terminasse il territorio di Inani. Se avesse sconfinato nel territorio di un altro uomo, costui l’avrebbe rivendicata. Inani avrebbe potuto seguirla. Poi ci sarebbe stato un diverbio. Aveva sentito parlare di cose del genere. Di solito i due uomini si minacciavano a vicenda finché uno di loro rinunciava e se ne andava. Qualche volta, però, si battevano. La vecchia Hua aveva visto morire un uomo, con una lama di coltello nel petto. Che cosa terribile! Ma anche interessante. Che effetto avrebbe fatto stare a guardare un combattimento che era veramente serio?
Inani tornò quella sera. Si accoppiarono. Questa volta, lui si trattenne alla fine. Si sedette all’altra estremità del fuoco e si mise a fare domande. Come stava Enwa? E le sue sorelle? Il vecchio Niri era ancora vivo?
— No.
Inani si grattò la testa. — Be’, era vecchio. Mi ha insegnato lui a intagliare. Posso restare qui stanotte?
Nia fece il gesto dell’assenso.
Si destò al sorgere del sole. L’aria era fredda e senza vento. Inani se n’era andato. Nia si alzò, stiracchiandosi e gemendo. Il fuoco era spento. Accanto alle ceneri c’erano due oggetti.
— Che cosa? — esclamò ad alta voce. Si avvicinò e li esaminò: un sacchetto pieno di sale e una scatola. Lei la rigirò, ammirandone la lavorazione. Era un abile artigiano, Inani.
Dopo un istante o due si rese conto del significato degli oggetti. Erano i doni dell’accoppiamento. Queste cose venivano date quando era terminato il periodo dell’accoppiamento. Inani l’aveva finita con lei.
Così presto? Nia si sentiva imbarazzata e insultata. Aveva forse fatto qualcosa di sbagliato? O Inani aveva trovato un’altra donna nel proprio territorio? Qualcuna che trovava più attraente.