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— Parli come un marxista.

Lui si alzò, sorridendo. — Quei tristi individui superati? — Mise giù il bicchiere. Era ancora pieno a metà. — Povero, stupido Agopian! Buonanotte.

Entrò nella cabina. Io finii di bere, poi lo seguii e spensi le luci.

Mi svestii al buio, aprii il letto e mi coricai. Come potevo dormire? Ascoltavo il respiro dei miei compagni e pensavo a casa. Il Libero Stato delle Hawaii. La Confederazione dei Grandi Laghi. L’Alta California. Il Nuevo Mexico. Spariti. Tutti spariti. Le nazioni e le tribù del Nord America.

Mi svegliai e trovai la cabina deserta, mi vestii e uscii all’aperto. Eddie e Derek erano seduti e bevevano caffè. C’era una caffettiera sul tavolo e una tazza vuota. Riempii la tazza, poi mi sedetti.

Una splendida mattina! Le nuvole vagavano sulla valle, illuminate dal sole mattutino. Il fiume era in ombra. Luccicava bruno come bronzo.

— Dov’è l’oracolo? — domandai.

— Su al villaggio — rispose Derek. — Si sta procurando del cibo. Tatiana è andata con lui. Voleva dare un’altra occhiata ai nativi sul luogo.

Lanciai un’occhiata a Eddie. La sua espressione era insolitamente cupa. — Glielo hai detto?

Derek fece il gesto dell’affermazione.

— Che cosa faremo?

Eddie disse: — Mi piacerebbe passare sotto silenzio l’intera faccenda, ma non credo che sia possibile.

— Lo faresti? — Bevvi un po’ di caffè, poi mi appoggiai allo schienale della poltroncina. Esisteva un piacere simile al caffè in una fresca mattina d’estate?

Be’, sì. Ma non era questo il momento di fare un elenco.

— Se ho capito correttamente, Mesrop sostiene che non ci adatteremo più sulla Terra. Credo che sentiremo argomenti favorevoli a rimanere qui e a fondare una colonia. — Fece una pausa. — Dovevano essere pazzi. Per me non ha alcun senso logico. Non avevano alcuna possibilità di mantenere un segreto così grosso. Né di riuscire a riscrivere tanta storia. — Fece un’altra pausa. — Credo di riuscire a capire ciò che Agopian sta facendo ora. Ci sta spingendo verso l’intervento.

Feci il gesto del dissenso. — Non credo che stia complottando, ma piuttosto che stia cercando di tirarsi fuori da un complotto.

— Può darsi.

— Non sottovalutarlo — disse Derek. — E non pensare mai che faccia qualcosa per ragioni semplici. È un uomo pericoloso. È convinto che le idee siano importanti.

— E tu no? — chiesi.

— Le idee vanno bene per trastullarcisi all’università. Ma non hanno molto a che fare con la vita. Non riesco a immaginare di uccidere per una qualsiasi astrazione. E di certo non sacrificherei me stesso. Agopian sì. L’ha fatto.

Eddie disse: — Che cosa intendete fare tu e Derek? È questo che voglio sapere.

Lo guardai.

— Hai intenzione di riferire questa storia alle persone al campo?

— No.

Eddie sembrò sorpreso, e fiducioso, se interpretavo correttamente la sua espressione.

— La decision spetta ad Agopian. Se decide di tacere, o se gli succede qualcosa, io e Derek parleremo. Altrimenti no.

— Cancella il piano A — disse Derek. — Che consisterebbe nel chiudere la bocca ad Agopian in un modo o nell’altro. Lixia, tu sei più vicina al caffè.

Riempii di nuovo la sua tazza.

— Non c’è modo di evitarlo, Eddie. Agopian farà la sua grande confessione. E noi incominceremo a pensare di restare su questo pianeta. Ha fatto sembrare la Terra un luogo davvero sgradevole.

— Potrebbe avere torto — disse Eddie. — O mentire. Non c’è ragione di credergli.

Mi protesi in avanti. — Ha conservato le copie dei messaggi. Quelle originali. Ci sono i dati.

— Deve avere l’archivio personale più voluminoso della nave — osservò Derek.

— Potrebbe aver alterato quei messaggi. Forse sono quelli i falsi.

Derek disse: — Stai suggerendo che la storia di Agopian sia tutta una menzogna e che lui abbia passato il suo tempo libero creando una storia contraffatta della Terra, che ora presenterà come la vera storia tenuta nascosta.

— Perché no? — fece Eddie.

— È un’eccellente fantasia paranoide. Ma quando incominceremo a cercare, troveremo le sue istruzioni al sistema di comando. Le cancelleremo e poi incominceremo a ricevere messaggi che non sono stati cambiati. Agopian non ha alcuna possibilità di alterare le informazioni che stanno ancora passando. Può darsi che sia riuscito a cambiare il passato, ma non può cambiare il futuro.

Eddie scosse il capo. — Non riesco ancora a capire perché l’abbiano fatto. Se Agopian dice la verità.

— Perché tu ci hai chiesto di alterare quello che avrebbe detto la Ivanova quando avremmo tradotto per lei? — gli domandai.

Eddie parve irritato, ma dopo un momento disse: — Farò ciò che devo: impedire alla popolazione di qui di soffrire come ha sofferto il mio popolo.

— Loro stavano cercando di salvare la spedizione — disse Derek. — E, credo, anche quel che potevano del loro passato. Non volevano che noi perdessimo ciò che è andato perduto sulla Terra. — Si alzò in piedi. — Credo che sia ora di colazione. — Andò nella cabina.

Eddie e io restammo seduti in silenzio, a bere caffè.

Derek tornò con focaccine, burro, marmellata e un bricco di caffè fresco.

Mangiammo. Alla fine Eddie si alzò. — Vado a parlare con la Ivanova e il signor Fang. Dobbiamo decidere quando partire.

Raccolsi i piatti e li portai nella cambusa, li lavai e tornai sul ponte. Derek se ne era andato via da qualche parte. La mia iniziale felicità mattutina era svanita e ora mi sentivo tesa e un po’ depressa. Non avevo alcuna voglia di tornare al campo. Ci sarebbe stato uno scontro veramente atroce. Mi piaceva Agopian. Ora si era trasformato in qualcuno che non riconoscevo. Avevo creduto di conoscere la storia del mio pianeta. Ma stava cambiando e svanendo… come che cosa? Nebbia o foschia. Il mio passato stava andando in cenere.

Decisi di salire al villaggio.

Oggi c’era un’atmosfera diversa. Una tensione sotterranea. Niente che potessi indicare esattamente. Qualcosa nel modo in cui le persone si muovevano, nel modo in cui parlavano o non parlavano.

Mi faceva sentire a disagio. Andai fino ai margini del villaggio e gironzolai lì attorno, evitando le persone e osservando gli insetti fra la vegetazione. La giornata si fece caldissima. L’aria odorava di letame e dell’arida pianura. Di quando in quando il vento mi portava l’odore del fumo di legna.

Tanta bellezza!

Tanta bellezza!

Perché sprechiamo il nostro tempo?

Feci il mio yoga, guardando verso la pianura, poi mi voltai e vidi una dozzina di bambini. C’erano i piccoli simili a cuccioli: rotondi, grassi e nudi a parte la pelliccia. E c’erano quelli alti e dinoccolati come puledri: nervosi, pieni di energia, pronti a correre. Questi ultimi portavano indumenti: tuniche sbiadite e gonnellini laceri. Vestiti per giocare.

Uno dei bambini più grandicelli mi chiese: — Che cosa stai facendo?

Non conoscevo la parola per "esercizio" né quella per "meditazione".

— Sto estendendo il mio corpo e frenando la mia mente.

— Uh! Sei strana!

— È possibile.

Chiesi i loro nomi. Me li dissero. Mi domandarono quando sarei partita. Risposi che non lo sapevo.

— Diccelo prima di andartene — fece uno. — Vogliamo venire giù al fiume a vedere le vostre barche che si muovono da sole.

Un altro, uno dei piccoli, esclamò: — Come pesci! Come lucertole!

— D’accordo.

Tornai attraversando il villaggio. I bambini mi accompagnarono. Tacquero quasi tutto il tempo. Ogni tanto uno parlava.