Yohai raccolse la pentola. Quelle cose verdi erano ancora vive. Strisciavano l’una sull’altra, cercando di uscire.
— Vieni. — Mi fece cenno di seguirla.
Raccattai i miei stivali. Procedemmo per un po’ seguendo la corrente del fiume. Dopo alcuni minuti gli orti erano spariti e tutt’attorno a noi c’erano alberi. L’aria odorava di chissà cosa: la fragranza della foresta, penetrante e caratteristica, per la quale non avevo un nome.
C’erano rapide nel fiume. Niente di eccezionale. L’acqua scrosciava superando una serie di piccoli salti. Qua e là vidi un po’ di schiuma. In fondo all’ultima cascatella c’era un laghetto. Qui l’acqua era calma, verde e profonda.
La mia compagna mise giù la pentola che aveva in mano. Si tolse con un calcio i sandali e si sfilò la tunica dalla testa. Il suo corpo era grazioso, scuro e lucente. Mi ricordava le lontre e gli orsi e anche la mia stessa specie. Era sorprendentemente umanoide. La sola differenza notevole era la pelliccia. Certo, anche gli occhi erano un po’ insoliti. Le pupille erano fessure verticali. L’iride, che era di un giallo chiaro, riempiva l’occhio e non riuscivo a vedere assolutamente il bianco. Le mani avevano tre dita e un pollice. I piedi avevano quattro dita. Se si escludeva questo e il torace piatto, somigliava al nostro primo pilota, Ivanova.
Lei puntò il dito verso di me. — Tu. Li-sha.
Mi svestii.
— Tsa! - Mi toccò la spalla nuda. — Cosa?
Rimasi immobile. Lei mi girò intorno e si fermò alle mie spalle. — Uh! — Sentii il tocco della sua mano, molto leggero, su una scapola. Rabbrividii. Poi venne a fermarsi di fronte a me e fissò il mio torace. Per una donna umana, ero abbastanza piatta. Tuttavia, i miei seni erano di gran lunga più evidenti dei suoi.
— Madre? Tu? — domandò.
— No.
Mi guardò dritto negli occhi, aggrottando la fronte. — Tu cosa?
Le risposi in inglese. — Non riesco a spiegarlo, Yohai. Non ancora. Non so come voi dite "mondo", o "stella", o "amico". Ma non c’è niente di sbagliato in me. Non sono pericolosa. Non ho cattive intenzioni.
Yohai mi fissò ancora per un minuto, poi si voltò e si tuffò nel laghetto. Era un’eccellente nuotatrice. La vidi scivolare nell’acqua verde con l’eleganza di una foca.
Mi tuffai a mia volta, ma scivolai col piede sull’argine e il mio tuffo si trasformò in una tremenda panciata. Tornai a galla, tossendo e sentendomi imbarazzata. Yohai emise un suono scoppiettante. Una risata?
Nuotai verso il centro del fiume, mi girai sulla schiena e mi lasciai galleggiare. L’acqua era fresca e non c’era quasi corrente. Alto nel cielo sopra di me si librava un uccello. Ah!
Dopo un po’ di tempo nuotai verso riva. Mi inerpicai sulla sponda e lavai i miei vestiti, usando un paio di pietre, una tecnica che avevo appreso dagli aborigeni della California. Poi li appesi ad asciugare su un cespuglio.
Yohai mi raggiunse, strofinandosi via l’acqua dalla pelliccia. Sedemmo insieme sulla riva del fiume. Teneva gli occhi semichiusi e il suo pelame luccicava alla luce del sole. Aveva un’aria così serena! Perché io non riuscivo a rilassarmi così? Forse avrei dovuto seguire un altro corso di yoga.
Yohai si scosse dal torpore e mi disse il nome degli animaletti nella pentola.
Quella sera imparai a uccidere e a sgusciare quegli animali. Non lo trovavo divertente, ma lo feci. Yohai bollì quel che ne restava. Il risultato era delizioso. Mangiai troppo. Poi mi sedetti sulla soglia. Nella strada c’erano bambini intenti ai loro giochi. Sembrava che giocassero a rincorrersi. Li osservavo, sentendomi più o meno appagata, anche se avrei bevuto volentieri qualcosa per completare la cena. Qualcosa di leggero e secco. Magari del vino bianco.
La mattina seguente feci un’altra lunga visita alla latrina. Chiamai la nave e trovai di nuovo Eddie.
— Ho delle notizie per te — disse. — Ma prima trasmettimi le tue informazioni.
Infilai il medaglione nella radio e attesi. C’era una mezza dozzina di insetti nella latrina; due mi ronzavano attorno alla testa. Li scacciai con la mano. La radio emise un bip. Tirai fuori il medaglione.
— C’è dell’altro?
— Sì. Abito da due persone. Nahusai e Yohai. Nessuno viene a far loro visita. Quando io e Yohai lavoriamo nell’orto, nessuno ci rivolge la parola. Credo di essere io il problema.
Ci fu una pausa. — Credi che la situazione sia pericolosa? Vuoi venir via?
— No. Non ancora.
Un’altra pausa. — Di solito il tuo intuito è eccellente. Okay. Ma voglio che chiami più spesso.
— Cercherò, ma non sarà facile. Non c’è molta intimità qui.
— Fa’ quello che puoi. Ora, per tua conoscenza, Harrison Yee è stato scacciato dal suo villaggio. Sono stati cortesi, ma categorici. È successo dopo che ha fatto un bagno. Pensiamo che abbia violato un qualche tabù sulla nudità o uno contro il lavarsi nell’acqua corrente o magari solo in quel particolare fiume. Cerca di scoprire come si lava la tua popolazione, prima di fare un bagno.
— Ne ho già fatto uno, Eddie.
— Davvero? Dove?
— Nel fiume più vicino.
— Da sola?
— Insieme a Yohai. La figlia della mia ospite. È sembrata un po’ sorpresa quando mi ha vista nuda. A quanto pare, non si era resa conto che non avevo peli su ogni parte del corpo. Be’, quasi niente peli. A ogni modo, non è successo niente.
— È interessante. Naturalmente, Harrison non si trovava dalle tue parti. Tuttavia, la lingua che stai imparando è simile a quella che stava imparando lui, prima che facesse quel bagno.
— Lui si trova all’altra estremità del continente.
— Già. E la tua lingua è quasi identica a quella che sta imparando Derek. Lui sta sulla costa, più a sud di dove ti trovi tu.
Un insetto mi si posò sulla faccia. Cercai di colpirlo e lo mancai. La radio prese a scivolarmi dalle ginocchia. — Dannazione! — L’afferrai prima che potesse finire nel buco sottostante.
— Lixia?
— Niente. Che cosa significa tutto questo?
— Non lo sappiamo, ma ci sono delle teorie. Può darsi che stiate imparando un linguaggio commerciale, qualcosa di simile all’inglese delle colonie. O forse tutti i popoli contattati finora sono strettamente imparentati e fanno parte di una recente migrazione.
— Quante probabilità ci sono?
— Non molte. Il linguaggio commerciale è una buona possibilità, o almeno così pensiamo al momento.
Chiusi il collegamento e uscii dalla latrina. Fuori, a un paio di metri di distanza, c’era una persona in attesa. Portava una lunga veste e un alto cappello. La veste era coperta di ricami e il cappello ornato di conchiglie. Dopo un attimo riconobbi l’inividuo, era lo stesso che aveva interrotto la festa di Nahusai.
— Sì? — feci nella lingua del posto.
L’individuo fece un gesto, un fendente verticale, poi si girò e si allontanò.
Tornai verso la casa in preda a un certo nervosismo. Quella persona emanava ostilità. Chi era? Non potevo domandarlo. Non conoscevo le parole giuste.
Durante i sei giorni che seguirono il cielo si mantenne sereno. Il tempo era molto caldo. Io e Yohai lavoravamo nell’orto. Per lo più, portavamo acqua dal fiume: un pesante recipiente dopo l’altro. Versavamo l’acqua sul terreno arido, poi tornavamo al fiume. Riempivamo di nuovo i nostri recipienti e tornavamo nell’orto.
Mi dolevano le braccia. Mi dolevano le spalle. Avevo un terribile male alle reni. Cercai di ripensare al perché mi ero cacciata in quella situazione. Aveva qualcosa a che vedere con l’avventura romanzesca del viaggio interstellare. O era la ricerca della conoscenza?