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Dopo un po’ Derek ci raggiunse e bevve una birra, con i piedi appoggiati sul parapetto, le scarpe nuove che luccicavano. — Molto meglio! Non mi piacciono i discorsi. Non hanno niente a che vedere con la vita. Se la vita ha a che vedere con qualche cosa.

Feci il gesto dell’approvazione.

— Che cosa faranno? — s’informò Yunqi. — Ci permetteranno di restare?

— Non lo so — risposi.

Yunqi assunse un’aria corrucciata. — Il nostro lavoro è importante.

— Questo è il loro paese — disse il signor Fang.

Decisi che ero accaldata e appiccicosa e non mi sentivo affatto dell’umore adatto per ascoltare congetture sulla gente del villaggio. — Vado a fare una nuotata.

Derek fece il gesto che significava "è una buona idea".

Andai sull’altra barca.

Agopian e la Ivanova erano seduti sul ponte. Stavano chiacchierando in russo, in tono sommesso e attento. Mi rivolsero un’occhiata, poi tornarono alla loro conversazione.

Eddie era seduto su un divano nella cabina e leggeva.

— Dov’è Tatiana? — chiesi.

— Al villaggio. Voleva vedere le persone. Potrebbe essere la sua unica opportunità. Potrebbero dirci di andarcene. — C’era qualcosa nella sua voce. Speranza? Soddisfazione?

Presi un asciugamano e una bottiglia di sapone dal bagno. — Di che cosa stanno parlando i compagni?

— Non ne ho idea. Non mi è mai passato per la testa che mi sarebbe servito conoscere il russo. Il loro lavoro nelle scienze sociali non è niente di speciale, soprattutto nei campi che interessano a me.

— Non è probabilmente niente. — Presi una tuta nuova, di un giallo intenso. — Vado a nuotare nel fiume. Se non sarò di ritorno fra un’ora, tirate fuori le reti.

— Okay.

Mi lavai nell’acqua bassa in prossimità della riva, poi nuotai verso il centro del fiume. Era ormai metà pomeriggio. Le scogliere sopra di me erano ancora illuminate dalla luce del sole, ma la foresta lungo il fiume era in ombra. Galleggiai sulla schiena, lasciando che la corrente mi portasse verso sud-est.

Qualcosa fischiò. Sollevai la testa. C’era un bipede sulla riva. Era alto due metri, giallo a strisce blu e con una bella gola azzurra. Un predatore. Vidi le zampe anteriori munite di artigli e la bocca piena di denti aguzzi. Forse un osupa? Mi osservò, impavido, poi fischiò di nuovo. Altri animali emersero dalle ombre: un branco. I piccoli erano grandi la metà dei loro genitori e a chiazze invece che a strisce. Dieci in tutto. Sulla terra mi avrebbero fatto paura, ma non avevano l’aria di nuotatori. Mi rigirai e nuotai lentamente contro corrente in direzione della barca. La corrente era più forte di quanto mi fossi resa conto e quando mi issai a bordo ero stanca. Mi sedetti a prua, respirando affannosamente.

I predatori dominanti sembravano essere gli animali chiamati assassini. Erano a quattro zampe e avevano una certa somiglianza con i tassi o i leopardi, se l’arte dei nativi era precisa. I bipedi predatori stavano forse venendo espulsi? Oppure riempivano un’altra nicchia ecologica? Forse gli assassini predavano prevalentemente cornacurve, mentre questi animali predavano i loro cugini erbivori. Altre domande a cui Marina avrebbe dovuto trovare una risposta. Mi vestii e andai a poppa.

La Ivanova se ne era andata. Agopian era seduto al tavolo pieghevole sul quale stava disponendo delle carte da gioco. Un nativo lo osservava, in piedi all’altra estremità del tavolo e appoggiandosi in avanti sulle mani pelose.

Agopian alzò lo sguardo. — Credo che costui, o costei, voglia te. È davvero difficile cercare di stabilire rapporti con esseri totalmente estranei che non parlano una lingua che io capisca.

— Che cosa sta facendo? — domandò il nativo. Era il figlio di Nia.

— È un… — Esitai. Non conoscevo ancora la parola per definire un gioco. — Una cerimonia. O piuttosto, è il genere di cosa che i bambini fanno con un bastone e una palla.

— Uh! Lui mette rosso su nero e nero su rosso. Ma non capisco il resto. I colori sono importanti?

Tradussi.

Agopian disse: — Rosso come sangue e fuoco. Nero come notte e morte. — Mise giù una carta. — Nero come anarchia. Rosso come rivoluzione.

Guardai Anasu. — Lui dice che sono i colori del sangue e del fuoco, della notte e della morte, della confusione e del cambiamento.

— È un mucchio di roba! Che cerimonia che sta eseguendo questa persona! Vero? Non conosco la parola. È una sciamana maschio?

Tradussi.

— Io sono un marxista.

Feci il gesto che significava "sì".

— Aiya! - Il ragazzo si raddrizzò, togliendo le mani dal tavolo. — C’è un posto dove possiamo andare? Non voglio disturbare uno sciamano. — Fece una pausa. — Una persona sciamano.

— Lui non vuole disturbarti — spiegai in inglese.

— Portalo via — disse Agopian. — Devo riflettere un po’. — Alzò lo sguardo. — Forse avrò voglia di raccontarti qualcosa più tardi.

— A proposito della conversazione che stavi facendo con la Ivanova?

— Sì. Credo di essermi ficcato in qualcosa di stupido e adesso devo tirarmene fuori. — Guardò la disposizione delle carte, aggrottando la fronte. — Così è la vita, come diceva Lenin. Un passo avanti. Due passi indietro. — Mise giù un’altra carta. — Preferirei che non accennassi alle mie osservazioni con la Ivanova.

— Okay.

Il ragazzo mi seguì verso la prua. Ci sedemo sul ponte di fibra di vetro. Lui si cinse le ginocchia pelose con le braccia pelose.

— Una della vostra gente si trova al villaggio, va in giro e guarda. Non capisce una parola di quello che le dice la gente. O è un maschio? Non lo so.

— Una donna. Si chiama Tatiana.

Lui fece il gesto dell’intesa: un rapido scatto della mano. — Hua è con lei, per assicurarsi che non si metta nei guai.

Una voce chiamò nella lingua del villaggio. Proveniva da un albero che si sporgeva sopra il fiume. Guardai in su e vidi delle foglie che si muovevano. — Quello è un tuo amico?

— Gerat. Fa sempre un sacco di baccano. Gli altri non li sentirai. Mi hanno detto che non avrei osato salire sulla barca.

— È per questo che siete venuti qui?

— Per la sfida? No. Volevamo vedere le barche, e nel villaggio sono tutte impegnate a discutere. — Si strinse le ginocchia con le braccia. — Uh! Che situazione! Non vogliono avere intorno i figli, soprattutto i maschi. Non vogliono lasciarci vedere che sono confuse.

— Sai che cosa decideranno?

— No. Dipende da Angai e dagli spiriti. E anche dalle donne anziane. Credo che le anziane diranno che dovete andarvene, ma non so che cosa farà Angai. — Inclinò il capo, riflettendo. I suoi strani occhi color grigio chiaro erano socchiusi. Infine fece il gesto del dubbio. — Hua potrebbe avere qualche idea. Lei capisce Angai meglio di me, e ne sa di più sugli spiriti. — Aprì gli occhi. — Ho qualcosa da chiederti.

Feci il gesto che significava "va’ avanti e chiedi".

— La gente dice che questa barca si muove da sola. Mi piacerebbe vederlo. È possibile?

Riflettei un momento. Era una richiesta ragionevole. Bisognava sempre aiutare i giovani ad acquisire conoscenza. E quel ragazzo mi piaceva. Era intelligente e affascinante. Strano che il fascino potesse attraversare i confini delle specie. E strano che il suo fascino dovesse avere una componente sessuale. Ma l’aveva.

— Okay. — Mi alzai. — Parlerò con la persona sciamano.

Anasu sollevò una mano. — Non voglio interrompere una cerimonia.

— Può darsi che ormai abbia finito.

Tornai a poppa. Agopian stava ancora facendo il suo solitario. — Sai condurre la barca?

— Naturalmente.

— Falla partire.

— Perché?

— Il ragazzo. Anasu. Vuole vedere una barca in movimento.

Agopian aggrottò la fronte.

— Non è poi una grande richiesta.

Agopian si alzò e raccolse le carte. — Okay.

Il ragazzo ci raggiunse. Appariva nervoso. — La persona sciamano aveva finito?