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Mi svegliai di buon’ora. La cabina era buia e fresca. Qualcuno russava. Mi alzai e andai in bagno, poi uscii sul ponte, portando con me i miei vestiti. Dai finestrini dell’altra imbarcazione usciva luce. Una folata di vento mi portò l’aroma della cucina cinese e una musica: la versione al piano di "Quadri di un’esposizione".

Feci il mio yoga, mi vestii e risalii la scogliera del fiume.

Il sole era visibile dalla cima. Era sospeso appena sopra l’orizzonte: un disco di un arancione rossiccio, troppo luminoso per poterlo guardare direttamente. Seguii una pista fra la pseudo-erba. Le foglie mi sfioravano, bagnate di rugiada. Nel giro di un minuto o due avevo i pantaloni fradici.

Un fiore era sbocciato appena fuori dalla pista: grande e basso sul terreno. I petali erano di un giallo pallido, quasi dello stesso colore della pianura. Il centro era scuro. L’intera pianta era carnosa, come una pianta grassa terrestre.

Mi inginocchiai e toccai il bordo del fiore. Maledizione! Agitai in aria la mano. Il fiore si chiuse a palla. Guardai il mio dito. Sembrava che fosse stato punto da un’ape.

Un’ombra scese su di me. Alzai lo sguardo e vidi Nia.

— Quello è un fiore pungente.

— Non l’avrei mai immaginato.

— Vieni nell’accampamento. C’è una lozione che ti farà sentire meglio. Mia cugina deve averla sicuramente.

Mi alzai, con la mano che pulsava. Ci incamminammo in direzione del villaggio.

Nia disse: — Mangiano insetti e altri animali. Piccolissime lucertole. A volte un aipit.

— Un che cosa?

— È un animaletto a quattro zampe, coperto di pelliccia. Il corpo è lungo come la prima articolazione del mio pollice. Il veleno della pianta uccide qualcosa di così piccolo, ma la piante non causa alcun vero danno alle persone. Non riesce ad attraversare una buona pelliccia, come quella che abbiamo noi. Le persone vengono punte se toccano la pianta come hai fatto tu, o se sono abbastanza sciocche da camminare a piedi nudi sulla pianura. — Tacque un momento. — Un cornacurve può camminare attraverso una macchia di quelle piante e non sentire niente, a meno che non sia un cucciolo e non cerchi di mangiucchiarla. Lo fanno una volta soltanto.

Arrivammo al villaggio. Nia si fermò di fronte a una grossa tenda. C’era una donna seduta davanti all’entrata, grande e di bell’aspetto, vestita con una tunica color blu marino. La sua collana era d’argento e ambra. I braccialetti erano d’oro.

— Questa persona ha toccato un fiore pungente — disse Nia.

La donna parlò nella lingua del villaggio. Una bambina uscì portando una brocca.

— Siediti — disse la donna. — Il mio nome è Ti-antai. Nia ha detto che la tua gente assomiglia ai bambini, sempre a toccare e a capovolgere cose. Vedi che cosa è successo? Allunga la mano.

Seguii i suoi ordini. Lei osservò il mio dito, che ormai era gonfio e di un rosso acceso. — Aiya! Che strano.

— Che cosa? — domandai, provando un certo nervosismo.

— Il colore della tua pelle. — Infilò la mano nella brocca e tirò fuori una massa rotonda e gialla, afferrò saldamente la mia mano e unse il mio dito con quella roba. Il dolore diminuì subito.

— Che cos’è quel fiore? — domandai. — Una pianta o un animale?

— È difficile da dire. Quando è cresciuto del tutto, ha radici come una pianta. Ma caccia come un animale e ha una bocca, il buco scuro al centro. L’hai visto?

— Sì, ma non mi ero resa conto di che cosa fosse.

— Non stavi guardando attentamente — disse la donna. — Devi sempre guardare attentamente prima di toccare.

Feci il gesto della cortese accettazione di un buon consiglio.

Nia disse: — I fiori hanno piccoli che si muovono.

Riflettei un momento. — Come si riproducono i fiori?

Ti-antai guardò Nia. — Hai ragione a proposito di queste persone. Curiosano in cose di cui non sanno niente e fanno un sacco di domande. — Si volse verso di me. — I fiori avvizziscono al tempo della prima gelata. Non rimane niente all’infuori di un baccello nero. Quello rimane così tutto l’inverno. In primavera si apre e vengono fuori i piccoli. Sono verdi e simili a vermi con le zampe. Strisciano via fra la vegetazione. Non so che cosa facciano sotto le foglie. Ma col tempo mettono radici. Crescono. Diventano fiori. È tutto quello che so… a parte questo. La lozione che cura la puntura viene dai corpi dei piccoli. Li raccolgo in primavera e li lego su una rastrelliera per asciugare. Si muovono per uno, due o tre giorni, poi si essicano. Quando sono completamente secchi, li macino.

"Entrano altre cose nella lozione, ma quello che conta sono i corpi dei piccoli."

Strano, pensai. Ed ero la persona sbagliata per essere lì ad ascoltare. Ci sarebbe dovuta essere Marina In-vista-dell’Olimpo.

— Adesso vattene — mi disse la donna. — Mi fai sentire a disagio. Nia è sempre stata amica dei tipi di persone più strane.

Mi alzai e feci il gesto della gratitudine.

Nia disse: — Verrò con te fino alle barche. Ho un messaggio di Angai.

Lasciammo il villaggio, seguendo la pista che scendeva lungo la scogliera del fiume.

Nia disse: — Angai ha preso una decisione.

— Qual è?

— Ve la riferirà lei questo pomeriggio. Venite su al villaggio appena prima del tramonto. Tutti quanti. Le donne e gli uomini. — Mosse le spalle e si massaggiò il collo. — Aiya! È stata dura! Per tutto il giorno abbiamo parlato e discusso. Angai, io e l’oracolo. Le donne anziane. Il resto del villaggio. Mi è venuto mal di testa.

"Di notte c’è stata una festa. Angai ha mandato via l’oracolo. È dovuto restare in una tenda che era stata abbandonata da uno degli uomini anziani, un uomo che è impazzito all’improvviso e se ne è andato via sulla pianura. A me è stato permesso di restare.

"Organizziamo sempre una festa dopo un’importante discussione. Ci ricorda che siamo un solo popolo. Ma le discussioni non sono finite. Anhar ha raccontato una storia."

— Chi?

— È la migliore narratrice del villaggio. Piace alla maggior parte delle persone. A me no. È stata una delle donne che hanno parlato contro di me l’ultima volta che sono stata qui. Aveva molte ragioni per le quali non potevo restare con il Popolo del Ferro.

Eravamo a metà della discesa della scogliera e procedevamo nella foresta ombrosa. Il dito aveva smesso di farmi male.

— La storia non è una delle nostre, ma proviene dal Popolo dell’Ambra. Parla dell’Imbroglione.

— Te la ricordi? — chiesi.

Nia fece il gesto che significava "sì". — Arrivò in un villaggio, nascosto sotto i panni di una vecchia. Le donne del villaggio pensarono che fosse l’Oscuro. Tirò parecchi tiri mancini. Vuoi sentirli? Credo di riuscire a ricordarne la maggior parte.

— Non ora. Più tardi, quando avrò una delle piccole scatole che ricordano ciò che si dice.

— Aiya! - esclamò Nia.

— Che cosa successe poi? — chiesi.

— Nella storia? Le donne del villaggio si resero conto che non poteva trattarsi dell’Oscuro. Era troppo malvagio. Perfino l’Oscuro pone dei limiti al proprio comportamento.

"Con uno stratagemma lo fecero entrare in una pentola d’acqua. Vi misero sopra il coperchio e lo fecero bollire finché non morì. La storia si conclude con una canzone. La canzone fa così." Nia cantò:

"Uh! La mia carne

data in pasto alle lucertole!

"Uh! Le mie ossa

trasformate in flauti!

"Uh! La mia musica

è forte e sgradevole!

"Uh! La mia musica

suona così!".

— L’Imbroglione è morto? — chiesi.

— Solo per un po’ di tempo. Lui ritorna sempre. Angai era furiosa.

— Perché? — Eravamo arrivate sull’argine del fiume. Davanti a noi c’era la mia imbarcazione, da cui proveniva un aroma di caffè e pancetta affumicata.

— Anhar stava dicendo che voi siete degli istigatori come l’Imbroglione, che ingannate il villaggio. Ma la discussione era terminata e la decisione presa. Era arrivato il momento di essere cordiali le une con le altre. Ma Anhar non riusciva a farla finita. Ci sono persone così. Stuzzicano la conclusione di una lite come un bambino stuzzica i lembi di una ferita che sta guarendo.