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Al mattino traghettò Inzara sull’altra sponda del fiume. — Non c’è una buona pista lungo il fiume. Dovrai andare a ovest sulla pianura e poi girare a sud.

Lui fece il gesto che significava che aveva capito.

Nia tornò alla casa di Tanajin.

Trascorsero altri giorni. Ci fu parecchia pioggia. Caddero le foglie. Il sole si spostò a sud. Quando era visibile, era del pallido colore invernale. Stava diventando affamato, come solevano dire le vecchie, benché questo non avesse alcun senso per Nia. Il sole era una fibbia. Lo sapevano tutti. L’aveva fatto la Signora della Fucina e l’aveva donato allo Spirito del Cielo, che lo portava sulla sua cintura. Com’era possibile che una fibbia avesse fame?

Non c’era nessuno che potesse rispondere alla sua domanda.

Da ovest arrivò un gruppo di viaggiatrici: donne del Popolo dell’Ambra, che tornavano a casa. Erano silenziose e sembravano turbate. Nia non domandò loro il perché. Le traghettò e loro le diedero una coperta fatta di pelliccia maculata e una pentola di stagno.

Il tempo si faceva sempre più freddo. Ora c’era ghiaccio nelle paludi: sottile e delicato. Lo si trovava nelle prime ore del mattino ed entro mezzogiorno era sparito. Se lo toccava, si spezzava. Aiya! Era simile alle tazze per bere delle persone senza pelo o ai loro strani pezzi di ghiaccio quadrati e cavi.

Il sole si spostò ancora più a sud. Il cielo era basso e grigio. Una mattina Nia udì un tuono, ma non vide niente.

Un’altra isola, pensò. Che saliva o scendeva. Quante ce n’erano ormai nel lago? Dove andavano quando partivano?

Inzara tornò. Accese un fuoco e Nia andò a prenderlo.

— Non ce l’ho fatta. Ho visto le loro barche e i loro carri. Ero consapevole che mio fratello avrebbe voluto saperne di più, ma non sono riuscito a farmi forza per entrare nel villaggio. Neppure dopo che l’uomo senza pelo mi ha invitato.

Nia fece il gesto della domanda.

— Quello che ho incontrato prima. Deragu. Mi ha trovato sulla scogliera sopra il villaggio. Abbiamo parlato. Ha detto che altre persone, persone vere, erano venute a guardare il villaggio ma non erano entrate. Non molte. Tre o forse quattro. Mi ha chiesto di portarti un messaggio.

— Sì?

— Vieni al villaggio per l’inverno. Tu hai fatto molti doni alla gente senza pelo, ha detto, soprattutto a lui e a Li-sa. Loro ti hanno dato pochissimo. Questo li fa sentire a disagio, ha detto. Un carro non procede in linea retta se i cornacurve che lo tirano non sono ben appaiati. Un arco non scaglia una freccia diritta se i due bracci non sono di uguale lunghezza.

Nia aggrottò la fronte. — Non ricordo di aver dato loro niente di importante.

Inzara fece il gesto che significava "può darsi". — Uno scambio non è concluso finché non sono tutti d’accordo che lo sia. È difficile dire che tipo di persona causi maggiori problemi: quella che rifiuta di dare o quella che rifiuta di prendere.

Nia non disse nulla.

Inzara continuò: — Un anno mi sono accoppiato con una donna a cui non piaceva prendere. Mi ha fatto quasi uscire di senno. Tutto quello che le davo era "troppo" o "troppo bello" o "troppo buono" per lei. Quanto ai suoi doni, che erano eccellenti, sosteneva che erano "piccoli" e "brutti". Avrei voluto picchiarla. L’ho lasciata il più in fretta possibile.

Nia emise un grugnito.

Inzara disse: — Conoscevo la madre della donna. Aveva occhi come aghi e una lingua simile a un coltello. Niente era mai abbastanza buono per lei. Credo che la donna abbia imparato a scusarsi per tutto ciò che faceva. Uh! Che brutta abitudine!

Raggiunsero la sponda orientale del fiume. Inzara l’aiutò a tirare sulla riva la zattera. Si tolse la collana d’oro e ambra e gliela porse. Nia stava per dire che era troppo come dono in cambio della traversata del fiume. Ma Inzara sembrava nervoso, e non voleva discutere con lui. Accettò la collana.

Lui montò in sella al suo animale e raccolse le redini, poi guardò Nia. — Ero solito pensare che niente mi facesse paura, a parte la vecchiaia. Ma quel villaggio laggiù mi ha spaventato. — Fece un cenno della mano verso sud e ovest. — Sono adirato con me stesso e inquieto. È meglio che me ne vada. — Diede uno strappo alle redini. L’animale si voltò. Inzara si volse indietro. — Forse verrò di nuovo in primavera. O forse verrà Ara. Il villaggio non lo spaventerà. E Tzoon è come una roccia. Non c’è mai niente che lo preoccupi.

Si allontanò. Nia si mise la collana. Era una splendida fattura. L’ambra aveva la forma di perline rotonde e il pesce era fatto di minuscoli pezzi d’oro legati insieme. Si dimenava come un pesce vero.

Nia tornò all’accampamento.

Il giorno seguente cadde la neve: grandi fiocchi soffici che si scioglievano non appena toccavano il suolo. Nia impacchettò le proprie cose e pulì la casa. Lasciò un sacco di cibo essiccato appeso al palo del tetto. Potevano venire delle persone. Potevano essere affamate. Lasciò anche una pentola per cucinare, una brocca per l’acqua e un coltello.

Dopo di che controllò bene i cornacurve. I loro zoccoli erano sani. Non avevano piaghe sulla schiena. Camminavano senza usare di più una zampa o uno zoccolo. Gli occhi erano puliti, e così le narici. Non trovò tracce di vermi o insetti scavatori.

Nia fece il gesto della soddisfazione.

Non era completamente a mani vuote. Aveva tre animali, cibo, e gli utensili per lavorare il metallo che le aveva lasciato Tanajin. Era più di quanto avesse portato con sé dal Villaggio del Popolo del Rame. Più di quanto avesse portato con sé dal proprio villaggio quando l’aveva lasciato la prima volta o la seconda o la terza.

Il giorno seguente attraversò il fiume. Doveva fare due viaggi. Il primo fu facile. L’aria era ferma. Il cielo era basso e grigio, ma non scendeva niente. Portò due dei cornacurve e li legò sulla sponda occidentale, poi tornò indietro.

Caricò il resto delle sue cose e condusse il terzo cornacurve sulla zattera. L’animale sbuffò e pestò uno zoccolo.

— Sii paziente! Tranquillo! Gli altri non mi hanno causato problemi.

Spinse la zattera verso il largo. Cominciava a cadere la neve. I fiocchi erano grandi e soffici e scendevano lenti. Quando arrivò alla prima isola, la riva orientale era sparita, nascosta dal biancore. Nia attraversò l’isola e caricò tutto sulla seconda zattera.

Questa volta la neve attecchiva, fermandosi sui rami spogli, sull’attrezzatura caricata sul cornacurve: le sacche e le coperte. C’era neve sulle spalle di Nia e neve sulla ruvida corteccia dei tronchi che formavano la zattera. Tutt’attorno i fiocchi sfioravano la grigia superficie dell’acqua e svanivano.

Aiya! Quel biancore! Nascondeva l’isola che aveva appena lasciato e le impediva di vedere quella dov’era diretta. Nia azionava il remo e grugniva.

Approdarono sull’estremità meridionale dell’isola. Nia tirò a riva la zattera, poi la guardò. Avrebbe dovuto portarla più a monte dov’era il punto giusto per l’approdo, ma ciò avrebbe richiesto tempo e la bufera stava peggiorando.

— Che siano altri a occuparsi di questo problema — disse.

Condusse il suo animale attraverso l’isola fino all’ultima zattera.

L’ultima traversata fu più facile. Il letto del fiume in quel punto era stretto, ma la neve si faceva più fitta. Copriva la zattera, il cornacurve e Nia. Perfino il remo era coperto di neve. Quando lo sollevava e lo muoveva, cadevano pezzi di neve. Facevano dei rumori quando toccavano l’acqua.

A Nia venne in mente una poesia. Non sapeva se l’avesse imparata da bambina o l’avesse composta proprio lì in mezzo al fiume.

Perché vieni,oh, perché vieni adesso,o popolo della neve?
Popolo dalle scarpe bianche,perché mi infastidisci?

Nia raggiunse la riva occidentale e condusse a terra il cornacurve, lodandolo per le sue buone maniere. L’animale sbuffò e agitò le orecchie.