— Ho delle notizie per te — disse. — Ma prima trasmettimi le tue informazioni.
Infilai il medaglione nella radio e attesi. C’era una mezza dozzina di insetti nella latrina; due mi ronzavano attorno alla testa. Li scacciai con la mano. La radio emise un bip. Tirai fuori il medaglione.
— C’è dell’altro?
— Sì. Abito da due persone. Nahusai e Yohai. Nessuno viene a far loro visita. Quando io e Yohai lavoriamo nell’orto, nessuno ci rivolge la parola. Credo di essere io il problema.
Ci fu una pausa. — Credi che la situazione sia pericolosa? Vuoi venir via?
— No. Non ancora.
Un’altra pausa. — Di solito il tuo intuito è eccellente. Okay. Ma voglio che chiami più spesso.
— Cercherò, ma non sarà facile. Non c’è molta intimità qui.
— Fa’ quello che puoi. Ora, per tua conoscenza, Harrison Yee è stato scacciato dal suo villaggio. Sono stati cortesi, ma categorici. È successo dopo che ha fatto un bagno. Pensiamo che abbia violato un qualche tabù sulla nudità o uno contro il lavarsi nell’acqua corrente o magari solo in quel particolare fiume. Cerca di scoprire come si lava la tua popolazione, prima di fare un bagno.
— Ne ho già fatto uno, Eddie.
— Davvero? Dove?
— Nel fiume più vicino.
— Da sola?
— Insieme a Yohai. La figlia della mia ospite. È sembrata un po’ sorpresa quando mi ha vista nuda. A quanto pare, non si era resa conto che non avevo peli su ogni parte del corpo. Be’, quasi niente peli. A ogni modo, non è successo niente.
— È interessante. Naturalmente, Harrison non si trovava dalle tue parti. Tuttavia, la lingua che stai imparando è simile a quella che stava imparando lui, prima che facesse quel bagno.
— Lui si trova all’altra estremità del continente.
— Già. E la tua lingua è quasi identica a quella che sta imparando Derek. Lui sta sulla costa, più a sud di dove ti trovi tu.
Un insetto mi si posò sulla faccia. Cercai di colpirlo e lo mancai. La radio prese a scivolarmi dalle ginocchia. — Dannazione! — L’afferrai prima che potesse finire nel buco sottostante.
— Lixia?
— Niente. Che cosa significa tutto questo?
— Non lo sappiamo, ma ci sono delle teorie. Può darsi che stiate imparando un linguaggio commerciale, qualcosa di simile all’inglese delle colonie. O forse tutti i popoli contattati finora sono strettamente imparentati e fanno parte di una recente migrazione.
— Quante probabilità ci sono?
— Non molte. Il linguaggio commerciale è una buona possibilità, o almeno così pensiamo al momento.
Chiusi il collegamento e uscii dalla latrina. Fuori, a un paio di metri di distanza, c’era una persona in attesa. Portava una lunga veste e un alto cappello. La veste era coperta di ricami e il cappello ornato di conchiglie. Dopo un attimo riconobbi l’inividuo, era lo stesso che aveva interrotto la festa di Nahusai.
— Sì? — feci nella lingua del posto.
L’individuo fece un gesto, un fendente verticale, poi si girò e si allontanò.
Tornai verso la casa in preda a un certo nervosismo. Quella persona emanava ostilità. Chi era? Non potevo domandarlo. Non conoscevo le parole giuste.
Durante i sei giorni che seguirono il cielo si mantenne sereno. Il tempo era molto caldo. Io e Yohai lavoravamo nell’orto. Per lo più, portavamo acqua dal fiume: un pesante recipiente dopo l’altro. Versavamo l’acqua sul terreno arido, poi tornavamo al fiume. Riempivamo di nuovo i nostri recipienti e tornavamo nell’orto.
Mi dolevano le braccia. Mi dolevano le spalle. Avevo un terribile male alle reni. Cercai di ripensare al perché mi ero cacciata in quella situazione. Aveva qualcosa a che vedere con l’avventura romanzesca del viaggio interstellare. O era la ricerca della conoscenza?
Nel pomeriggio tornavamo a casa a riposarci. Alla sera Yohai usciva: tornava nell’orto o forse andava da qualche altra parte. Io restavo con Nahusai. Lei mi insegnava qualcosa di più della lingua. Cominciavo a capire delle frasi complete.
Non mi lasciavano mai sola, a parte quando andavo alla latrina. Non ero certa del perché. Nahusai e Yohai avevano forse paura di me? O temevano che qualcuno potesse cercare di farmi del male?
Non mi sentivo del tutto al sicuro, neppure nella latrina. Forse qualcuno mi osservava. Senza dubbio l’individuo col cappello l’aveva fatto. Le persone potevano notare se passavo parecchio tempo là dentro. Potevano decidere di avvicinarsi di soppiatto e ascoltare. Non avrebbero compreso la mia conversazione, ma avrebbero capito che parlavo con qualcuno che non era presente.
Andò a finire che chiamai dalla casa una notte in cui le mie compagne si addormentarono presto.
— Dove diavolo sei stata? — domandò Eddie.
Abbassai il volume e spiegai la situazione.
— Lixia, devi tenerti in contatto. Eravamo preoccupati. La Ivanova comincia a parlare di venire a cercarti. Riesci a immaginare la scena? Piomberebbe lì come il Settimo Cavalleria, e noi dovremmo trovare il modo di rimediare allo scompiglio che provocherebbe.
— D’accordo — dissi e abbassai ancora di più il volume. All’altra estremità della casa, Yohai e Nahusai russavano. Sembravano quasi del tutto umane.
Eddie mi riferì le notizie. Harrison Yee era tornato sulla nave e altrettanto aveva fatto Antonio Nybo. Tony era stato nell’arcipelago. Vi aveva trovato numerosi luoghi cerimoniali: massi sistemati in modo da formare dei cerchi e rocce con pittogrammi, ma nessun abitante. La sua isola era deserta.
— Di interesse esclusivamente archeologico — disse Eddie. — Lo abbiamo richiamato a bordo.
C’erano altre cinque persone della Terra ancora sul pianeta. Quattro di loro si trovavano in villaggi più o meno simili al mio. La quarta, Gregory, stava con un popolo delle montagne occidentali.
— Allevano greggi e fanno fantastici lavori di tessitura, o così almeno mi dice Gregory.
— Uhu.
— Non sembra che ci siano grandi centri abitati. Non sappiamo ancora il perché. Non abbiamo neppure delle teorie in proposito.
— Una situazione disperata — commentai.
Eddie rise.
Yohai si lamentò e si rigirò.
Dissi: — Devo andare.
Il quattordicesimo giorno del mio soggiorno nel villaggio decisi che dovevo chiamare di nuovo. Attesi finché non si fece buio, poi andai alla latrina. L’unica grande luna del pianeta stava sorgendo. Era sospesa sopra i tetti, di un arancione intenso, all’ultimo quarto. Lasciai aperto l’uscio della latrina. Entrando, il chiarore lunare, mi permetteva di vedere abbastanza bene per far funzionare la mia radio.
Quella sera Eddie aveva una nuova e interessante notizia.
— Yvonne sostiene che non ci sono uomini adulti nel suo villaggio. Ci sono alcuni vecchi. Vivono ai margini del villaggio, a quanto dice, ciascuno per proprio conto. E ci sono ragazzi, bambini di sesso maschile. Ma nessuno nell’età di mezzo.
Riflettei per un momento. — Conosco la parola che significa "ragazzo" e ho visto dei ragazzini giocare nella strada. I bambini più piccoli non portano indumenti. Il sesso è evidente, e un interessante esempio di evoluzione parallela. Ma non conosco il termine per "uomo". — Mi morsicai il labbro per uno o due minuti. — Lascia che indaghi su questo fatto.
— Okay — disse Eddie.
Chiusi il collegamento e mi appesi la radio alla spalla, quindi uscii dalla latrina. La luna era proprio sopra di me. Era più piccola della nostra Luna, ma più prossima al suo pianeta principale, con un’albedo assai maggiore. Illuminava l’area circostante: lo spiazzo di erbacce, la latrina e una mezza dozzina di abitazioni.
Mi incamminai verso la casa di Nahusai. Qualcosa si mosse nell’ombra lungo la parete.
— Sì? — chiamai. — Che cosa c’è?
Qualcos’altro si mosse alla mia destra, nei pressi di una delle case circostanti. Mi voltai. C’era una persona ritta nel chiarore lunare. Indossava una veste lunga.
— Che cosa c’è? — domandai.
— Sono Hakht — fece una voce aspra. O forse la voce disse "Akht". Non ero certa dell’aspirazione iniziale.