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La donna si fermò davanti a una casa particolarmente grande. — O sciamana, vieni fuori!

La porta si aprì. Uscì una donna, bassa e grassa, che indossava una lunga veste tutta macchiata. La veste era biancastra e le macchie si vedevano facilmente. Una scelta infelice per una persona evidentemente rozza. Aveva addosso almeno una dozzina di collane. Alcune erano comunissimi fili di perline, altre erano elaborate, con catene, campanelle e ciondoli a forma di animali. Erano tutte di rame, e tutte aggrovigliate. Pensai che in nessun modo la donna si sarebbe potuta togliere una sola collana.

— È arrivata questa stranissima persona, o santa. Sostiene di avere un messaggio della Voce della Cascata.

La sciamana mi scrutò con attenzione. — Dov’è la tua pelliccia? Sei stata ammalata?

— No. Vengo da molto lontano. La mia gente è priva di pelliccia.

— Aiya! Ciò è davvero strano. Qual è il tuo messaggio?

— La Voce della Cascata dice che vuole che tu mi aiuti.

— No.

— Che cosa?

— Quell’uomo non può aver detto così. Lui non ha desideri. Non ha opinioni. Egli è la Voce della Cascata. Quando parla, è la cascata che parla. Perciò, quello che hai detto era sbagliato. Non è quell’uomo che vuole che io ti aiuti. È la cascata che vuole che ti aiuti.

L’altra donna fece il gesto dell’approvazione.

— Di che cosa hai bisogno? — domandò la sciamana.

— Ho un’amica che è stata ferita. Si trova a una giornata da qui, verso est, nel canyon. Vuoi andare a cercarla?

La sciamana corrugò la fronte e si grattò il mento. Poi fece il gesto dell’assenso. — Domani. — Si voltò e tornò in casa. La porta si chiuse.

— Aiya! - esclamò l’altra donna. — È una cosa che lei non fa mai. Non va mai dalle persone, sono loro che devono venire da lei. Ma tutti ascoltano la Voce della Cascata. E quell’uomo un tempo era suo figlio, e lei gli voleva molto bene. Vieni con me.

La seguii fino a un’altra casa. All’interno c’era un unico, vasto locale con grossi pilastri che sostenevano il tetto. Erano stati intagliati e dipinti di rosso, bianco, nero e marrone. I disegni erano complessi, costituiti da linee ricurve. Sembravano raffigurare degli animali. Qui e là vidi delle facce e delle mani munite di artigli. Le facce avevano occhi di rame e lingue di rame che sporgevano arrotolate dal pilastro.

Al centro della casa un fuoco ardeva in una buca e lì vicino erano sedute tre persone. Erano bambini abbastanza grandicelli. Stavano facendo un gioco. Uno scagliava una manciata di bastoncini, un altro si chinava a osservare il disegno che avevano formato. — Aiya! Che fortuna che hai!

Il terzo guardò nella nostra direzione. — E questa che cos’è?

— Una persona. Sii cortese. Portaci qualcosa da mangiare.

Ci sedemmo. La donna disse: — Io sono Eshtanabai, la mediatrice. È stata una fortuna che ci fossi io al cancello invece di una donna qualunque.

— Tu sei che cosa?

I bambini ci portarono delle scodelle di poltiglia e una caraffa piena di liquido. Il liquido era aspro. La poltiglia era quasi insapore. Mangiammo e bevemmo. Eshtanabai mi spiegò.

— Le persone si arrabbiano le une con le altre. Non si parlano. Se ne stanno sedute nelle loro case e tengono il broncio. Io vado da ciascuna di queste persone. Ascolto ciò che hanno da dire. Dico: "Questa controversia non è bene. Non c’è un modo per mettervi fine? Che cosa vuoi? Quale soluzione ti soddisferà?". Allora vado avanti e indietro, avanti e indietro finché tutti sono d’accordo su ciò che andrebbe fatto. È un lavoro difficile. Mi causa dei gran mal di testa.

— Posso immaginarlo.

— Qualcuno deve farlo. La sciamana è troppo santa. La Voce della Cascata non sempre parla in modo logico. Come potrebbe un uomo, perfino quell’uomo, appianare una controversia?

Non avevo una risposta a quell’interrogativo. Finimmo di mangiare, poi mi coricai, usando il mio zaino come guanciale. Uno dei bambini mise altra legna sul fuoco. Un altro bambino incominciò a suonare un flauto. La melodia era dolce e malinconica. Chiusi gli occhi e ascoltai. Un momento dopo mi addormentai.

Mi svegliai nel cuore della notte con un terribile torcicollo. Il fuoco era quasi spento. Attorno a me, nella casa buia, sentivo il suono del respiro. I miei compagni dormivano. Mi tirai su a sedere e mi massaggiai il collo, poi tornai a coricarmi. Questa volta non usai lo zaino come guanciale. Quando mi svegliai di nuovo era mattina. La luce del sole splendeva attraverso la porta aperta. Eshtanabai era seduta accanto al fuoco. I bambini erano spariti.

— La sciamana ha lasciato il villaggio — mi disse. — Con lei sono andate altre persone. Porteranno qui la tua amica.

— Bene. Quando?

— Domani o il giorno dopo.

Feci colazione, ancora poltiglia, poi uscimmo. Il cielo era sereno, l’aria tiepida. Odorava di mucchi di letame. Decisi di dare un’altra occhiata alla pianura. Trovai il cancello del villaggio e lo varcai.

Una pista conduceva attorno al villaggio. La seguii. La pianura si estendeva verso sud e verso est, quasi assolutamente piatta. C’erano animali in lontananza: puntini neri che di quando in quando si muovevano. Mi riparai gli occhi con la mano, ma non riuscii a distinguerli.

Sul lato settentrionale del villaggio c’erano orti che somigliavano in tutto e per tutto agli orti del villaggio di Nahusai. Mi fermai nei pressi di uno degli orti.

Una donna alzò lo sguardo. — Sei tu la straniera.

— Sì.

— Sei certamente strana.

Indicai con la mano gli animali sulla pianura. — Che cosa sono quelli?

Lei sgranò gli occhi. — Non lo sai?

Feci il gesto che significava "no".

— Com’è possibile che qualcuno sia così ignorante?

Non dissi nulla. Dopo un momento la donna parlò. — Sono cornacurve. Il grosso della mandria è a nord. In autunno gli uomini li porteranno indietro. Allora l’intera pianura sarà nera.

— Dove sono gli uomini adesso?

Lei si accigliò. — Ma non sai proprio niente? Sono con la mandria. Dove altro dovrebbero essere?

— Grazie. — Proseguii.

Il giorno seguente il cielo era nuvoloso. Scesi al fiume, portando con me il mio zaino. Mi sistemai ai piedi di un albero e tirai fuori la radio.

Eddie era tornato. — Come sta la tua amica? — s’informò.

— Non lo so. Sono andata in cerca di aiuto, e l’aiuto è andato in cerca di Nia. Scoprirò come sta nel corso della giornata.

— Tu dove sei?

Gli descrissi l’ubicazione del villaggio e gli riferii il mio incontro con la Voce della Cascata.

— Be’, sembra proprio affascinante. — Tacque per un minuto o due, poi disse: — Non ne so molto sugli oracoli. Erano importanti in Grecia, non è vero?

— Sì.

— Forse dovrei leggere un po’. Com’è il villaggio?

Glielo descrissi. — Per quanto sono in grado di stabilire, tutti gli adulti sono donne. Gli uomini si trovano su al nord e si prendono cura di una mandria di animali. Sono migratori. Le donne invece non si spostano. Come va la nave?

— Più o meno come sempre. Abbiamo ricevuto un messaggio dalla Terra.

— Ah, sì? — Provai la consueta eccitazione. — Qualcosa di interessante?