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La procedura è tutto.

Un’ora dopo aveva compiuto due cose importanti. Era riuscita, temporaneamente, a togliersi dalla mente le sue preoccupazioni per Kathy Wilson, e le mancava pochissimo per poter dimostrare che Roger Belanger era stato assassinato. Si sfilò i guanti, afferrò le Pagine Gialle di Boston e telefonò. Pochi minuti dopo faceva squillare il cercapersone di Brad Cummings.

«Cristo», esclamò, i piatti che tintinnavano in sottofondo, «questo cercapersone squilla tanto di rado, che mi sono spaventato a morte.»

«Hai finito?»

«Stavamo aspettando i flan.»

Nikki non aveva alcuna voglia di venire a sapere con chi stesse pranzando.

«Ho bisogno che tu vada a ritirare qualcosa per me e che torni immediatamente qui, Brad.»

«Ma…»

«Nessun ma, nessun flan. Vai al Pool and Patio di Mulvaney sulla Statale 9, proprio dietro il centro commerciale. Sai dov’è?»

«Sì.»

«Hanno un pacco a tuo nome. Undici dollari e novantacinque centesimi, più tasse. Ti renderò i soldi. Sbrigati.»

Nei successivi quarantacinque minuti, Nikki terminò di raccogliere campioni, quindi attese. Inesorabilmente riemerse l’ansia per l’amica. Si erano conosciute circa tre anni prima in un circolo folcloristico a Cambridge. Nikki suonava il violino da quando, a soli tre anni, suo padre l’aveva iscritta a un corso d’apprendimento con metodo Suzuki. Aveva suonato in complessi di musica da camera durante gli anni dell’università, ogni volta che trovava il tempo, e ciò che otteneva dalla sua musica l’aveva soddisfatta, almeno fino al giorno in cui aveva sentito suonare Kathy Wilson e i Lost Bluegrass Ramblers. Kathy era la prima voce e suonava strumenti a corda — mandolino, chitarra e contrabbasso — con talento straordinario e sentimento.

Nikki aveva già sentito quel genere di musica country, ma in verità non vi aveva mai prestato molta attenzione. Ma quella sera, i Ramblers, e Kathy in particolare, l’avevano entusiasmata come da tempo non le era successo ascoltando o suonando la sua musica. Dopo l’esibizione, aveva aspettato accanto alla porta del camerino.

«Non colleziono autografi», aveva spiegato appena Kathy era uscita, «ma volevo dirle che la sua voce e la sua energia mi piacciono moltissimo.»

«È una cosa naturale. Lei suona il violino professionalmente?»

«No, no. Ma come…»

«Ha il segno del violino proprio sotto la mascella.»

Nikki conosceva quel segno marrone rossiccio e la piccola protuberanza sotto il segno, provocati dalla pressione della mentoniera del violino.

«È diventata un’abitudine ai tempi dell’università», ammise. «Suono per lo più musica da camera.»

«Occhi e collo, è così che giudico una persona. Occhi e collo. E i suoi mi dicono che lei ha a cuore la gente e la musica.»

Mezz’ora più tardi, Nikki stava bevendo birra con il complesso e condividendo con Kathy dettagli intimi sulla sua ridicola mancanza di senno nella scelta degli uomini. Una settimana dopo, Kathy le diede una lezione di musica folcloristica bluegrass. Nei due anni successivi, Nikki divenne una musicista di bluegrass ragionevolmente esperta, sufficientemente brava da poter suonare con il gruppo quando il complesso non era in tournée.

«Ragazza mia, sei capace di andare a quattro cilindri quando ti impegni con tutta l’anima e la mente», aveva commentato Kathy. «Devi però imparare ad allontanare gli estranei, specialmente tutti quelli che vogliono un pezzo di te. Fallo, e mentre suoni ti sembrerà di galleggiare sopra il pavimento.»

Fin dal primo giorno, stare vicino a Kathy era stata un’avventura di spontaneità. Nikki aveva amici — buoni, intimi amici — anche di vecchia data. Eppure, fin dai primi tempi passati a ridacchiare e chiacchierare dalla fine dello spettacolo all’ora della colazione, Kathy e lei si erano sentite come due sorelle.

«Non ne posso più degli uomini», aveva borbottato una volta Kathy dopo che si era lasciata per la terza e definitiva volta con il suo amico, suonatore di contrabbasso. «Bere birra è tutto quello che sono capaci di fare.»

«Quello, e scusarsi per avere lasciato l’asse del water alzata.»

«Ma solo dopo che hai fatto all’amore.»

La notte in cui era avvenuta quella conversazione, un anno prima, avevano deciso che Kathy si sarebbe trasferita nell’appartamento al secondo piano di Nikki. Si erano accordate su un quarto dell’affitto per Kathy e lezioni settimanali per Nikki. Kathy le aveva insegnato scrupolosamente, quando lei e il suo complesso non erano in tournée. Era un tesoro, del tutto irrefrenabile e innamorata della vita in generale e della sua musica in particolare. Non aveva timore di giudicare ogni uomo con cui usciva Nikki, tanto che una volta aveva detto a un avvocato che lui era troppo interessato a se stesso e alla sua BMW per poter avere dei progetti sulla sua amica. Erano in un club, uno dei preferiti di Kathy e Nikki, e quell’uomo si stava agitando a disagio, come se fosse combattuto tra il desiderio di distruggere i mobili e probabilmente anche alcuni dei clienti. Schietta quando era sobria, quella sera Kathy aveva forse bevuto una birra di troppo.

«Arrenditi avvocato», era sbottata improvvisamente, mentre Nikki la fissava in silenzio. «So che questa donna è bella, e so anche che è intelligente, e so che sarebbe splendida al ricevimento di Natale nel tuo studio, per non dire nel tuo letto. Ma io sono il guardiano della sua castità, e ti dico io ciò che lei è troppo gentile per dire: non esiste alcun mazzo di chiavi capace di portarla dove vorresti tu.»

Pur non essendo molto istruita in senso classico, Kathy sapeva ascoltare con pazienza, era divertente quando lo voleva, e sempre serena in un modo realistico e semplice tatto suo. La compagna di stanza perfetta, almeno finché non erano iniziati i suoi sbalzi d’umore.

L’insonnia era cominciata circa quattro o cinque mesi prima. Alle tre, alle quattro o alle cinque del mattino si metteva a camminare per l’appartamento o usciva in strada. In seguito le era capitato di non tornare a casa per uno, due o addirittura tre giorni. Poco dopo, aveva iniziato ad avere scoppi d’ira imprevisti e incontrollabili, contro il complesso e a casa. Nikki l’aveva supplicata di farsi vedere da un medico e aveva addirittura fissato degli appuntamenti ai quali Kathy non si era presentata.

Alla fine, forse sei o sette settimane prima, sul suo volto erano comparse delle strane protuberanze, le prime due proprio sotto le sopracciglia, poi una vicino all’orecchio e un’altra sulla guancia. Non aveva permesso a Nikki di toccarle, anzi neppure di parlarne fino a dieci giorni prima. In un raro momento di assoluta lucidità, era crollata su una sedia in cucina, si era nascosta il volto tra le mani ed era scoppiata in singhiozzi.

«Nikki, che mi sta succedendo?… Dove è finita la mia mente?… Dove è andata la mia musica?… Perché mi stanno facendo questo?»

I singhiozzi parevano incontrollabili. Nikki l’aveva stretta a sé e aveva sentito nel suo corpo paura e confusione. Sotto i capelli aveva sentito altre protuberanze, più solide che cistiche, leggermente mobili, e, per quanto poteva dire, non iperestesiche. Nodi linfatici? Uno strano genere di cisti solida? Neurofibromi? Impossibile dirlo. Nikki l’aveva supplicata di andare con lei al pronto soccorso. Alla fine Kathy aveva accettato di farsi vedere dal medico di Nikki il giorno seguente, ma all’ora dell’appuntamento era scomparsa. Era tornata all’appartamento ancora una volta, poi era sparita nel nulla.

«Nikki, come va?»

Il dottor Josef Keller era entrato nella sala autopsie e ora era accanto al cadavere gonfio di Roger Belanger. Nikki aveva coperto con dei teli il torace e le cavità addominali aperti. A Keller, ebreo tedesco sfuggito all’olocausto, mancavano uno o due anni alla pensione, ma era ancora esuberante, curioso e carico di energie. La tensione di dirigere un reparto responsabile della valutazione di più di cinquantamila morti all’anno gli stava, tuttavia, costando cara. Zoppicava per l’artrite al fianco e una lombalgia gli rendeva doloroso chinarsi a lungo sui cadaveri.