Il traffico dell’ora di punta era intenso e Matt corse più di quanto non facesse di solito nell’attraversare il Potomac e nell’uscire dalla città. Erano le sette e mezzo di sera quando poté finalmente superare i centodieci chilometri orari.
Appena fuori White Sulphur Springs, lanciò un’occhiata al cicalino; in viaggio, lo teneva in un astuccio in plastica sul manubrio della Harley, che agganciava poi alla cintura. Era rimasto sulla Harley dalla sera in cui aveva seguito Bill Grimes alla casupola in montagna. La spia luminosa brillava a intermittenza, ma lui non poteva sapere da quanto tempo era accesa. Uscì dall’autostrada e chiamò il pronto soccorso dell’ospedale.
«Dottor Rutledge», esclamò la segretaria di guardia, «abbiamo cercato di rintracciarla da ore. C’è una esercitazione antisciagura in corso, solo che non è una esercitazione.»
Il polso di Matt accelerò.
«Che sta succedendo?»
«Non lo so con precisione. C’è una certa confusione. Credo vi siano problemi alla miniera. Forse un crollo o un’esplosione. I primi due casi dovrebbero arrivare in ambulanza a minuti.»
«Dica a chiunque è responsabile che sarò lì entro un’ora.»
Cinquanta minuti più tardi, Matt fece un’ampia curva a sinistra, una di quelle che amava percorrere, e vide le luci di Belinda racchiuse nella valle sottostante. Uno spettacolo stupendo, ingannevolmente sereno. Main Street era più calma del solito, ma l’ospedale compensava anche troppo quella tranquillità. Un’ambulanza vuota era ferma al suo posto, una seconda, che aveva appena scaricato qualcuno, si era spostata al lato dell’entrata, mentre una terza, il lampeggiante acceso, stava percorrendo il vialetto d’accesso. Matt parcheggiò la Harley e corse ad aiutare.
«Mai vista una cosa simile. Mai», stava dicendo, tutto eccitato, uno dei paramedici dell’ambulanza all’infermiera del pronto soccorso, Laura Williams. «Queste persone le abbiamo tirate fuori da un buco in cima a una parete. Vi erano dei fari che indicavano l’entrata di una caverna e una corda a terra che guidava all’interno dove era successo il disastro, ma nessuna indicazione su chi abbia messo lì quelle cose.»
«Lo so», commentò la Williams. «L’altra squadra ne sta ancora parlando.»
«E quei bidoni di sostanze chimiche. Mio Dio, che puzza. Impossibile siano legali. Ma come potevano pensare quelli della miniera che avrebbero potuto passarla liscia con una cosa simile?»
«Ha bisogno di una mano?» domandò Matt, lottando contro il desiderio di rispondere alla domanda del paramedico e scrutando nell’ambulanza dove vi erano due barelle.
«Certo. Quello a sinistra è pesante.»
Fred.
Matt si alzò in punta di piedi e notò che l’occupante dell’altra lettiga era Sara Jane Tinsley.
«Come avete fatto a sapere dove andare?» domandò.
«Uno dei poliziotti di servizio al momento della telefonata anonima conosceva la zona di cui parlava quell’uomo. Siamo partiti tutti in carovana.»
Matt afferrò un’estremità della lettiga di Carabetta, la trascinò sulla piattaforma in cemento e aiutò l’altro a sistemarla in modo da poterla spingere dentro l’ospedale. Il funzionario OSHA, che continuava a gemere e a ciondolare la testa da una parte all’altra, non pareva in pericolo immediato. Matt si avvicinò per parlargli, poi cambiò idea e corse nel pronto soccorso gremito. Ci sarebbe stato tempo per Fred.
Individuò subito l’ortopedico, Brian O’Neil, una mezza testa sopra tutto il resto della squadra di soccorso.
«Ciao, Brian», gridò, correndo da lui.
«Ehi, Matt, hai un aspetto tremendo. Dov’eri, a fare un po’ di motocross?»
«No, ero nella grotta con tutte queste persone.»
«Ma…?»
«Più tardi. Ti stai occupando di Nikki Solari?»
«La dottoressa?»
«Sì.»
«Che donna.»
«Comportati bene. Ha una brutta lesione?»
«Frattura del malleolo. Una leggera lussazione, ma nulla che un po’ di tempo nel reparto ortopedico e alcune viti ben piazzate non possano risolvere.»
«Promettimi di fare un buon lavoro e io ti prometto che non le dirò che sei laureato in veterinaria. Dov’è ora?»
«In ortopedia. Dille che sarò da lei tra due minuti.»
«Facciamo cinque.»
Occhi chiusi, una fleboclisi che le instillava fluido e antibiotici nel braccio, Nikki giaceva su una lettiga, il piede gonfio e scolorito e la caviglia appoggiati su un cuscino in un tutore ad aria trasparente. Le avevano lavato viso e braccia, ma i capelli erano ancora ricoperti di polvere e piccoli frammenti di pietra. Era, tuttavia, bellissima.
«Ehi, tu», sussurrò Matt, «dottoressa.»
Nikki fece un ampio sorriso ancora prima di aprire gli occhi. Matt le diede un bacio sulla fronte, poi sulla bocca.
«Ce l’hai fatta in tempo?» chiese Nikki.
«Nessuna vaccinazione oggi, signorina», rispose. «Torni un’altra volta. Mi spiace tanto.»
«Una notizia fantastica. Bravo.»
«C’entrava da sempre mio zio Hal, Nik. Possedeva la maggior parte delle azioni della Columbia Pharmaceuticals. Grimes e gli altri lavoravano per lui.»
L’espressione di Nikki s’incupì, aveva immediatamente compreso le implicazioni per lui e sua madre.
«Mi dispiace tanto», disse.
«Già. Probabilmente anche John Dillinger e Attila avevano dei nipoti.»
«Suppongo di sì», sospirò tristemente.
«Come siete usciti?»
Nikki scrollò le spalle. «Mentre i fratelli Slocumb facevano quello che dovevano fare, io mi sono trascinata di nuovo nella grotta per occuparmi di Fred e Morrissey e degli altri. È passato un sacco di tempo e cominciavo a preoccuparmi. Poi, all’improvviso, ho sentito dei rumori, quindi delle luci potenti hanno illuminato la caverna e, pochi secondi dopo, è iniziata la Carica di Calgary di paramedici dell’ambulanza, poliziotti e pompieri.»
«Gli Slocumb?»
«Non ho idea di dove siano.»
Matt la baciò di nuovo.
«Sono preoccupato», ammise. «Ora ti lascio riposare e vado a vedere se riesco a scoprire cosa è accaduto loro. Brian O’Neil, l’ortopedico che si prende cura di te, è una persona fantastica.»
«Ehi, grand’uomo, non sapevo t’interessasse», commentò con la sua profonda voce Brian dalla soglia.
«D’accordo, mi interessa. Non pensare però che il mio giudizio sia viziato anche in altri campi.» Premette la guancia contro quella di Nikki. «Tornerò presto, bambina», mormorò. «Sii coraggiosa.»
«Dopo tutto ciò che abbiamo vissuto, non c’è più nulla che mi spaventi.»
«Abbiamo una sala operatoria libera», annunciò l’ortopedico, «e penso che faremmo meglio a prenderla finché nessun altro è pronto.»
«Sì, sì, togliamoci il pensiero.»
«Voglio che ti rimetta in salute a casa mia», le sussurrò Matt nell’orecchio.
«Sei ancora nel commercio dei massaggi alla schiena?»
«Non chiudiamo mai.»
Matt diede un colpetto sul braccio di O’Neil, quindi tornò al pronto soccorso e si mise a passeggiare tra medici e infermieri e i loro pazienti. Sid, la guardia di sicurezza, era nella stanza 3, lo spazio chiuso da tende vicino a Fred. Due cubicoli più in là, un’aiutoinfermiera stava lavando Sara Jane e, vicino a lei, l’otorinolaringoiatra, Evan Julian, era chino su Colin Morrissey. Julian era il medico più meticoloso e compulsivo di tutto l’ospedale e non iniziava mai un intervento prima che ogni strumento non fosse perfettamente allineato sul vassoio dell’infermiera di sala. Matt sorrise pensando a Nikki, la caviglia lesionata immobilizzata alla bell’e meglio, che eseguiva con successo una tracheotomia d’urgenza alla luce di una lanterna in una grotta piena di polvere e esalazioni tossiche.