Oltre alla medicina e alle moto, la cosa che Matt conosceva meglio al mondo era il carbone. Aveva appreso nozioni sul carbone sulle ginocchia del padre e in seguito su Internet e nelle biblioteche. Sapeva che la Belinda Coal Coke Company e, invero, tutta la città, dovevano la loro esistenza a un enorme deposito di carbone semibituminoso scoperto nel 1901 nelle profondità delle alte colline a ovest della città. Il carbone semibituminoso, chiamato anche carbone che non fa fumo, era stato trovato in sole tre località dello stato. Quel tipo di carbone era relativamente privo di impurità, il che lo rendeva ideale per generare energia e produrre coke. I fondatori della BC C avevano avuto la lungimiranza di costruire impianti chimici e di cokificazione vicino alla miniera, come pure un raccordo ferroviario per inviare i loro prodotti ovunque dovessero andare.
L’intero complesso della BC C era situato su un ampio e polveroso altopiano ed era completamente circondato da parecchi chilometri di recinto alto tre metri, in buona parte sormontato da filo di ferro spinato. Matt era stato alla miniera una sola volta dopo la morte del padre, una visita guidata fatta con Ginny, poco prima di iniziare a lavorare al pronto soccorso.
Oggi era un ospite atteso. La guardia in divisa al cancello dei visitatori lo salutò chiamandolo per nome prima che lui potesse presentarsi e lo indirizzò al quartier generale, un edificio di due piani in legno di cedro e vetro. L’assistente di Blaine LeBlanc, Cannella Cassetta, lo stava aspettando nell’atrio coperto di moquette. Lei stessa ex minatrice, era una donna dai lineamenti duri ma attraenti che aveva sposato uno dei dirigenti della società. Nel corso degli anni, lei e Matt si erano incontrati in alcune occasioni ed erano andati piuttosto d’accordo.
«Matt, mi fa piacere rivederti», lo salutò calorosamente, tendendogli la mano.
Lui cercò, inutilmente, di leggere qualcosa nel fatto che avevano mandato lei a riceverlo. Indicò con la mano le spettacolari foto di due metri per lato, immagini della BC C, storiche e moderne, che ornavano le pareti dell’atrio.
«Grazie. Questo è proprio un bell’edificio.»
«La prima impressione è importante. Qui facciamo un sacco di affari, nazionali e internazionali. Ma… ora dovremmo affrettarci. Ci stanno aspettando nella sala conferenze. Penso che ciò che hanno da dirti ti emozionerà molto.»
Vuoi dire che hanno intenzione di lasciarmi vivere?
«Non vedo l’ora di sentire cosa hanno da dirmi.»
Mentre sì avvicinavano alla sala conferenze, venne loro incontro un’anziana donna di colore che spingeva un carrello con caffè e ciambelle.
«Saranno solo in quattro, Agnes», lo informò Cannella. «Io non mi fermerò.»
Matt credette di sentire una nota di delusione nella sua voce. Agnes indietreggiò di un paio di passi, mentre Cannella bussava una volta, indicava a Matt e Agnes di entrare e se ne andava. C’erano tre uomini in attesa, all’estremità di un tavolo in mogano lucido attorno al quale avrebbero potuto sedersi almeno venti persone: Blaine LeBlanc, Robert Crook e Armand Stevenson, il direttore capo dell’intera società. Stevenson era alto più di un metro e novanta e aveva capelli color sabbia che si stavano diradando e occhi molto acuti di un azzurro attraente che rimasero fissi su Matt dal momento in cui mise piede nella sala. La BC C era una delle società più grandi dello stato, e Stevenson una specie di leggenda per le tattiche aggressive che usava per mantenere proficuo l’impero.
Dopo aver lanciato un’occhiata curiosa alla sacca, LeBlanc salutò Matt con una energica stretta di mano, quindi lo lasciò di colpo, quasi volesse evitare una malattia contagiosa. La sua espressione tesa indusse Matt a chiedersi se ciò che stava per accadere non fosse di suo gradimento. Crook evitò di stringerli la mano, gli rivolse un secco cenno con il capo, borbottando qualcosa che avrebbe potuto essere il nome di Matt, aggrottando rapidamente le sopracciglia pelose. Armand Stevenson, invece, gli sorrise cordialmente, indicando che era lui il responsabile dell’incontro.
«La prego di accomodarsi, Matthew, se posso chiamarla per nome», disse, dopo che la sua offerta di qualcosa di più forte del caffè era stata respinta.
«Matt andrà bene.»
«E Armand per me. Le siamo grati che sia potuto venire con un preavviso tanto ridotto, Matt. Mi hanno detto che suo padre lavorava qui.»
«Era caposquadra dei turni.»
«Ed è morto in un incidente?»
«Un’esplosione, sì.»
«È da lì che nascono i suoi rancori verso la miniera e la nostra società?»
Stevenson stava sparando direttamente dal fianco. Nessun movimento sprecato. Matt ricordò a se stesso che persone come Stevenson non diventavano stramiliardarie ignorando ciò che stavano facendo.
«Forse è vero», replicò. «Alcune delle cose che mi sono state riferite da amici e colleghi di mio padre mi hanno spinto a credere che l’esplosione e il crollo che l’hanno ucciso avrebbero potuto essere evitati. Ricordi, all’epoca avevo solo quindici anni.»
«Molto di ciò che mi è capitato quando avevo quindici anni influenza ancora la mia vita», ammise Stevenson, sorseggiando la sua Perrier. «Da quanto tempo è tornato a casa per esercitare la professione medica?»
Matt avrebbe voluto chiedergli di arrivare al dunque, ma gli tornò in mente l’ammonimento dello zio. Per di più, Stevenson non gli pareva certo tipo da lasciarsi comandare a bacchetta.
«Circa sei anni», rispose, rendendosi conto che il suo ‘inquisitore’ conosceva le risposte a tutte le domande che stava ponendo.
Se lo scopo di queste domande preliminari era quello di metterlo a suo agio, era miseramente fallito. Stevenson aprì una cartella e pose un grosso fascìcolo sul tavolo.
«Matt, queste lettere sono state inviate da lei all’MSHA, al dipartimento del lavoro, all’EPA, al senatore Alexander, al senatore Brooks o al deputato Delahanty.»
Spinse il fascicolo verso Matt, che alzò il palmo per dire che non era necessario.
«Ho qui le mie copie», ammise, dando un colpetto alla sacca.
«Secondo le mie informazioni, senza avere mai messo piede nella miniera, lei ci ha accusati, di volta in volta, di aerazione fuori norma, attrezzatura antiquata e pericolosa, un maggior numero di ore di lavoro rispetto all’accordo di contrattazione collettiva con l’UMW, emissioni tossiche dagli impianti di lavorazione, discarica di rifiuti tossici, smaltimento illegale dei rifiuti e ogni altra immaginabile violazione, tranne quantità insufficiente di carta igienica nei bagni.»
«A dire il vero, mi pare che uno dei minatori con cui parlo di tanto in tanto si sia lamentato anche di quello.»
La risata di Stevenson parve sincera.
«E ora sta affiggendo volantini e offrendo ricompense», continuò. «Le sue accuse e asserzioni sono prive di fondamento, e io lo so meglio di chiunque altro. E, come lei sa meglio di chiunque altro, tutti gli scritti che ha prodotto non ammontano a più di uno sputo nell’oceano.»
«Perché sono qui, allora?»
«Blaine?»
Il capo della sicurezza e della salute nella miniera fece un sorriso che non aveva alcunché di caloroso. Si schiarì la gola e bevve un sorso d’acqua. A quanto pareva, non gli riusciva facile dire ciò che doveva dire.
«Matt», iniziò infine, «come ha detto Armand, lei non è riuscito a convincere l’MSHA o l’EPA o uno qualsiasi degli altri enti che ha contattato a condurre un’ispezione diversa da quelle di routine. Ciò non vuole dire che lei non sia stato un sassolino nella scarpa. Abbiamo sprecato un sacco di tempo rispondendo alle sue allegazioni, e di fatto abbiamo invitato qui due o tre volte quelli dell’MSHA proprio per dimostrare che siamo affidabili. Tutto ciò ha richiesto tempo prezioso. E allora il dottor Crook ha fatto una proposta.»
Matt lanciò un’occhiata di traverso a Crook e non vide altro che disprezzo e forse addirittura una traccia di disperazione. Qualsiasi proposta stava per essere fatta, era opera di Armand Stevenson, non di Crook o di LeBlanc.