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«Solo il solito.»

«Ne stai bevendo molto di quel torcibudella che fabbricate lassù?»

Ventre molle. Forse un leggero irrigidimento muscolare protettivo sopra lo stomaco.

«Naturalmente. Ma lo bevono anche gli altri.»

«Le tue feci hanno un colore insolito?»

«Le mie cosa?»

«Le tue feci. Le evacuazioni.»

«Le mie cosa?»

«La tua merda, Kyle. La tua merda.»

«Oh, quella. Come faccio a saperlo? Nessuna persona sana di mente guarderebbe nel buco di un gabinetto esterno.»

«Che diavolo ha, dottore?» chiese Lewis.

«Non lo so, Lewis. Forse soffre di anemia.»

«Lo rimetterai a posto.»

«Lo rimetterò a posto, Lewis.»

Matt fece un esame efficiente e accurato che rivelò un notevole calo della pressione sanguigna quando Kyle si metteva seduto. Bassa massa sanguigna, esame emocromocitometrico scarso. Anemia. Ora bisognava cercare la causa di quella emorragia, partendo dalla più probabile. Matt s’infilò un guanto di gomma.

«A che serve?» domandò Kyle.

«Immagino tu l’abbia indovinato, Kyle. Girati, faccia verso la parete e tira le ginocchia al petto. Ho bisogno di vedere se stai sanguinando internamente.»

Kyle fece come gli era stato chiesto, ma, appena il dito inguantato di Matt gli toccò l’ano, gridò, irrigidì le gambe e iniziò a urlare come un animale ferito. I sanitari, due infermieri e un medico, si precipitarono nella stanza.

«Non credevo avrebbe fatto tutte queste storie», si scusò Lewis, biascicando le parole.

«Perché diavolo non hai detto qualcosa?» replicò Matt a voce più alta di quanto aveva voluto.

Jeannie Putnam e gli altri due rimasero sull’uscio, paralizzati. Matt, il dito inguantato teso verso l’alto come quello di un tifoso che, durante un bizzarro evento sportivo, proclama che la sua squadra è la migliore, sorrise loro con imbarazzo.

«Io… credo di non avere atteso l’approvazione di Kyle a questa procedura. A quanto pare questa è una zona delicata.»

«A quanto pare», ripeté Jeannie. «Ehm, dottor Rutledge, possiamo esserle d’aiuto?»

«Potrebbe assicurarsi che venga eseguita la prova crociata di compatibilità su sei unità di sangue e avvisare il laboratorio che abbiamo realmente bisogno del suo ematocrito.»

«Ha una emorragia interna?»

«Suppongo di sì.»

«Lo suppone?»

«Ne sarei più sicuro se potessi fare un controllo del sangue nelle feci. Kyle, che ne dici se vado lassù con un piccolo tampone?»

«No.»

«Senti, Kyle. Sono le tre e mezzo del mattino, tu sei malato e io ho bisogno di sapere perché. Per cui, o mi lasci eseguire questo procedimento o me ne vado a casa e torno a dormire.»

«Cosa?» esclamarono all’unisono Kyle e Jeannie.

«Non mi lasceresti mai, vero, dottore?» piagnucolò Kyle.

«Come no. Credimi, lo farei. Il dottor Ellis si prenderà cura di te ora e al mattino troveranno un altro medico. Naturalmente, se sarai ancora vivo. Allora, cosa facciamo?»

Per trenta secondi regnò il silenzio, poi, lentamente, Kyle si girò con il volto verso la parete e tirò su le gambe.

«Maledizione, sei proprio un cocciuto medico figlio di buona donna», rispose Kyle. «Eri cocciuto da bambino e non hai fatto che peggiorare.»

«Sarò delicato», promise Matt.

Alle sei e mezzo, l’incombente crisi attorno a Kyle Slocumb era passata. L’esame rettale, effettuato con tanta fatica, aveva rivelato feci nere risultate positive alla presenza di sangue, intimidito forse dall’intervento, non aveva opposto troppa resistenza all’inserimento di un sottile tubo in plastica, che Matt aveva fatto scivolare su per una narice e scendere lungo la faringe fino nello stomaco. Anni di forti sigarette di tabacco coltivato in casa avevano distrutto il riflesso faringeo e reso così quella difficile inserzione una bazzecola. Il contenuto dello stomaco aspirato attraverso il tubo era composto di sangue vecchio che assomigliava a caffè macinato e alcune strisce di sangue fresco, rosso brillante. Le trasfusioni avevano rimpiazzato il sangue perso e la massa ematica circolante, così che, quando Kyle era stato portato nel reparto gastrointestinale per sottoporsi a un esame eseguito dal gastroenterologo Ed Tanguay, aveva ripreso il suo colorito e la pressione sanguigna si era stabilizzata.

«Tutto a posto», commentò Lewis mentre usciva con Matt dal pronto soccorso. L’aria umida del mattino era fragrante.

«Quasi», replicò Matt. «Incrociamo le dita e speriamo che il dottor Tanguay trovi solo una gastrite. È una specie di infiammazione del rivestimento dello stomaco. Andrebbe bene anche se fosse una piccola ulcera.»

«Se invece fosse un tumore, sarebbe finita per lui.»

«Non necessariamente. Possiamo curare il cancro allo stomaco chirurgicamente. Ma non pensiamoci, fino a che non sappiamo cosa ha trovato il dottor Tanguay. Siamo fortunati che abbia potato visitare Kyle immediatamente.»

«Anche se quel medico dice che Kyle deve passare la notte in ospedale, penso che se ne andrà.»

«Secondo me dovrebbe rimanere in ogni caso, almeno per assumere alcuni farmaci per lo stomaco e fare forse un’altra trasfusione.»

«Senti, se può camminare, non rimarrà di certo.»

«Sono riuscito a fargli fare quell’esame, Lewis. Posso indurlo a rimanere.»

Lewis Slocumb si girò e guardò Matt. L’acutezza nei suoi occhi verde-azzurro era mascherata dal resto del volto sporco e segnato.

«Noi siamo diversi, Matthew», osservò. «È uno stile di vita che ci siamo scelti da soli e non c’importa che la maggior parte della gente ci consideri pazzi o addirittura malvagi. Cioè, finché non attraversiamo il confine con il loro mondo. Non è qualcosa che ci piace fare, credimi. Kyle e io abbiamo attraversato quel confine questa mattina. Ora vogliamo tornare indietro il più rapidamente possibile. Per cui, fa’ che accada, dottore, e noi correremo i nostri rischi. La nostra razza, i montanari, pensa che, finché non si fa del male a nessuno, si può essere come si vuole. La maggior parte della gente quaggiù in città non è affatto gentile con noi, e questo vale anche per il tuo ospedale.»

Matt era talmente stupito che non riuscì quasi a replicare. Da quando era tornato con il dottorato in medicina, Lewis Slocumb l’aveva sempre e soltanto chiamato dottore. E ora aveva anche pronunciato molte più parole di quante Matt potesse ricordare.

«D’accordo», riuscì a dire. «Farò tutto il possibile per far dimettere Kyle ma, se ritengo che sia in pericolo dovrai firmare l’autorizzazione contro il mio parere.»

«Lo farò. E tu smettila di preoccuparti. Non ti citeremo in giudizio, qualsiasi cosa succeda.»

Sghignazzò, tossì e sputò.

Matt fissò a est il primo bagliore del sole che illuminava il cielo da dietro le colline. Distrattamente, infilò la mano in tasca e sfiorò la busta.

«Ehi, Lewis, dimmi che ne pensi di questa», disse, porgendogli il biglietto.

Era certo che tutti gli Slocumb sapessero leggere più o meno bene.

«Non mi dice niente», rispose Lewis.

«Vuoi dire che non sai di che cosa sta parlando il tipo che ha scritto questo biglietto? Che non sai dov’è questo crepaccio?»

Lewis fregò il terreno con la punta dei suoi logori scarponcini.

«Non lo so, ma forse lo so.»

«Lewis, ho appena salvato la vita a tuo fratello e per anni sono venuto alla fattoria per visitarvi. Questo biglietto è molto importante per me. Ha a che fare con la miniera.»

«So con cosa ha a che fare. Ce l’hai proprio con quella vecchia miniera.»

«Ho le mie ragioni», borbottò Matt, esasperato. «Mio padre e mia moglie, e sono due. Un paio di minatori deceduti, altri due… Lewis?»

«Apprezzo ciò che hai fatto per Kyle là dentro, davvero.»

«E allora?»

«È realmente importante per te?»